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appunti di storia

della Chiesa genovese

di Luigi Mons. Borzone

 

titoli :

 

copertina

 

Un primato ?

 

Primi vescovi e arcivescovi

 

i Santi Patroni

 

Genova e Maria Santissima

 

Genova e il Papa

 

i suoi Figli

 

GENOVA E IL PAPA

La fedeltà al Papa costituisce un vanto dei genovesi i quali ne diedero ripetute prove e ne ebbero riconoscimento dagli stessi Sommi Pontefici.

Alcuni fatti - che sembrerebbero smentire l'antica fedeltà e che riporteremo per la verità storica - non si possono attribuire a Genova come tale, ma a isolate persone che non rappresentavano il sentimento comune, come vedremo.

 

LA PAROLA AI FATTI

Nell'877 i Genovesi liberarono papa Giovanni VIII minacciato dalle armi dei saraceni e del principe di Spoleto e lo condussero sano in Francia presso il re Ludovico.

Nel 1118 i genovesi liberano papa Gelasio II assediato a Gaeta dalle truppe di Enrico V e lo portano trionfalmente a Genova. In quello stesso anno Gelasio II consacra la cattedrale di S. Lorenzo.

Nel viaggio di ritorno a Roma il Papa si fermò a Pisa e concesse non pochi privilegi a quella città, tra i quali l'elevazione a sede metropolitana, assegnandole come diocesi suffraganee le diocesi della Corsica. La notizia giunse fulminea a Genova e il vescovo della città, Ottone I, si rese interprete dello sdegno popolare presso la S. Sede per l'alto onore attribuito alla vicina Repubblica. La gelosia scavò altri solchi di rivalità fra le due repubbliche e il gesto del pontefice verso la città di Pisa venne considerato un aperto affronto a Genova.

 

Nel 1241 Federico II, al quale più volte Genova aveva rifiutato di prestare omaggio, minaccia gravemente papa Gregorio IX. I soli Genovesi si offrirono per scortare con 27 galee i vescovi che dalla Provenza

dovevano recarsi a Roma per un Concilio che di fatto non si tenne mai. Purtroppo per un atto di temerarietà dell'ammiraglio genovese Giacomo Malocello, che aveva attaccato l'armata imperiale senza attendere le galee di rinforzo, spedite da Genova, i genovesi furono battuti, salvo rifarsi qualche anno dopo con due vittorie consecutive su Federico II (1248, 1249).

Nel 1244 i genovesi liberarono il papa, loro concittadino, Innocenzo IV assediato a Sutri dall'esercito di Federico II: armate 22 galee partirono assieme al Podestà della città il quale, sbarcato a Civitavecchia, fece avvertire il Papa dell'arrivo della flotta genovese e lo invitò a portarsi a Civitavecchia per partire con le navi genovesi. Innocenzo IV lasciò nascostamente Sutri con cinque cardinali e raggiunse Civitavecchia, accolto con grandi onori. Il 7 luglio entrava trionfalmente in Genova.

Dal 1378 al 1417 la chiesa cattolica visse uno dei periodi più tristi e travagliati della sua storia: lo scisma di occidente. Al papa Urbano VI, legittimamente eletto, ritenuto eccessivamente duro e severo, alcuni cardinali - per la maggior parte francesi - contrapposero l'antipapa Clemente VII. La cristianità era divisa nell'obbedienza a questo o quel pontefice e lo sarà ancor più nel 1409 quando i papi saranno tre.

Genova si schierò subito col papa legittimo Urbano VI e nel 1385 corse in suo aiuto con 10 galee, quando il Papa era assediato a Nocera da Carlo III, re di Napoli. I genovesi portarono il Papa a Genova e lo fecero alloggiare nella Commenda di S. Giovanni di Pré, dove rimase per 14 mesi e 23 giorni. Da qui Urbano VI fece uccidere cinque cardinali che avevano cospirato contro di lui. "I genovesi non hanno avuto mai dubbi sulla legittimità di Urbano VI", il pontefice pur da essi costretto a fuggire da Genova per la sua crudeltà, e perciò dei suoi successori diretti". 31 Ü

Nel 1401 Jean le Maingre, maresciallo di Francia e signore di Boucicault, detto Bucicaldo, assume il governo di Genova a nome di Carlo VI di Francia.

Il Bucicaldo, uomo d'armi, spietato ed ambizioso, parteggiava - com'era naturale - per l'antipapa Benedetto XIII perché eletto e sostenuto dai cardinali avignonesi e si adoperava in ogni modo per portare Genova all'obbedienza all'antipapa. Ma Genova non lo segui, restando fedele al legittimo Papa Bonifacio IX.

Il Bucicaldo tuttavia riuscì a far venire l'antipapa a Genova e a far si che fosse accolto solennemente. L'antipapa rimase a Genova cinque anni, abitando nel castelletto, sotto la protezione delle armi francesi. "E' sintomatico che l'antipapa al suo arrivo il 16 aprile, dopo brevissima sosta a S. Lorenzo e a S. Siro, ripara a S. Francesco e nel Castelletto che è congiunto alla chiesa a mezzo di un corridore riservato e chiuso; e non se ne allontanerà mai , perché sente intorno a sé la città ostile. E quando, dopo il secondo breve passaggio genovese tra il 7 e l'8 va a Portovenere per l'incontro di Pietrasanta, l'arcivescovo Pileo, vedendo che il papa Benedetto non si curava troppo dell'unione della chiesa, si parti dalla città e si ridusse in Toscana (Giustiniani) ove si sta preparando il concilio di Pisa", 32 Ü

"Il Castelletto, di foggia quadrangolare, era protetto dai quattro lati da 4 grandi torri riparate a loro volta, da cortine, bastioni e palchi minori", 33 Ü

Nel 1606 la Repubblica di Venezia - colpita da interdetto di Paolo V - scriveva a varie nazioni per riunirle contro il Papa. Alcune (Olanda, Francia, Savoia) aderirono; Genova si rifiutò. Nulla di più eloquente che trascrivere la lettera di risposta del doge genovese al doge veneziano il quale, fra l'altro aveva accusato Genova di aver ottemperato al desiderio del Papa, revocando un decreto del 1605 relativo alle Compagnie e Oratori. "Habbiamo ricevuto la lettera di V. Serenità, la quale ha cagionato in noi diverso effetto di quello che ella pensava perché l'haver noi ceduto alla volontà del sommo pontefice in revocare li decreti da noi fatti contro gli oratorii non solo non torna in pregiudizio nostro, ma più tosto è un augumento della dignità della nostra Repubblica et vergogna di coloro, i quali in simili occazioni fussero renitenti alla pia mente di Sua Santità. Habbiamo per l'istorie che li antecessori vostri hanno qualche volta difesa l'autorità del Papa, ma che ancora alcune volte sono stati renitenti et dichiarati contumaci verso quella Santa Cattedra: ma noi habbiamo questa gloria non solo d'esser stati difensori della fede cattolica in oriente et occidente contro de' Tuchi, Mori et Saraceni, ma l'haver difeso sempre li Sommi Pontefici contro l'ingiurie di altri potentati, etiamdio Imperatori senza esser mai noi incorsi in vizio di contumatia contro li Sommi Pontefici. (...) La vostra Repubblica stima more suo non ceder punto al Papa, etiamdio in cose debite ad esso et noi giudichiamo più riputatione nostra concedere non solo il suo, ma il nostro ancora al Successore di S. Pietro, non havendo risguardo al pontefice presente, sebbene merita molto per se stesso, per la santa intenzione sua, et integrità della sua vita, et per il modo admirabile col quale fu assunto a quel grado, ma solo alla dignità et alla persona di cui è luogotenente.(...) Quello che la vostra Repubblica stima honore di competere col Papa, noi stimiamo vergogna, et al contrario stimiamo che saremo veri successori et imitatori degli antichi nostri, se defenderemo colla robba e con il sangue il sommo pontefice. La vostra Repubblica fa professione di voler resistere a Sua Santità, et noi habbiamo resoluto voler offerire contro quelli che vogliono opprimere et disprezzare l'autorità sua, i danari et la vita nostra. La vostra Repubblica tien gran della pace et amicitia delli turchi, et noi stimiamo più la gratia et amicitia del vicario di Cristo. La lettera che Vostra Serenità ci ha scritto, ci riprende di viltà in haver così facilmente consentito al Papa; et noi stimiamo indegnità della nostra Repubblica resistere in cose tanto giuste alla sede apostolica. La nostra Repubblica fa conto grandissimo delle scomuniche et interdetti ecclesiastici perché quella fede cattolica la quale fu seminata nei nostri maggiori, l'habbiamo sempre conservata nella medesima purità. (...) E' minor male errare, ma non consigliar male ad altri di errare et indurli al medesimo errore; onde poteva Vostra Serenità far di meno di scriver quella lettera et noi non siamo pentiti d'haver revocati li decreti nostri contro gli oratori, ma bene sentiamo disgusto di veder la vostra Repubblica tanto dura in non condiscendere alle giuste voglie di Sua Beatitudine mettendosi in pericolo per cagion leggera, di accendere un fuoco in Italia inestinguibile et tanto pericoloso et nocivo quanto sarà necessario la vostra Repubblica chiami in servitio suo genti di falsa religione et mala conscienza. Questo è quanto havemo giudicato dire alla Serenità Vostra per risposta" (Cod. Pal. 922-1043; pg. 95, riportato in "Rivista diocesana genovese" 1931; pg. 147).

 

AUTOREVOLI RICONOSCIMENTI

 

La fedeltà di Genova alla Sede Apostolica romana è attestata dagli stessi papi in diversi tempi. Citiamo alcuni documenti:

Anzitutto la Bolla "Justus Dominus" (1133) di Innocenzo II con la quale Genova veniva elevata a sede metropolitana. In essa il Papa si rivolge al vescovo di Genova, Siro II, con queste parole: "... personam tuam et per te januensem ecclesiam praefatae civitatis, quae beato Petro et sanctae romanae ecclesiae fidelis et ad serviendum

prompta exstitit, et de coetero se id facturam propensius pollicetur. 34 Ü

Alessandro IV (1254-1261) in un "Breve" alla Repubblica di Genova così si esprime: ...vos in fide ac devozione ecclesiae constantiam firmissimam et clarissimam habuistis».

Nel 1288 papa Nicolò IV incaricava fra' Giacomo da Varazze, o.p. e fra Ruffino da Alessandria, o.f.m., di assolvere dalla scomunica alcuni genovesi "nonnulli de civitate Januen" che erano incorsi nella scomunica per aver intrattenuto relazioni commerciali coi siciliani scomunicati, "ob devotionem sincera quam ab olim eorum universitas (=città) ad romanam gessit ecclesiam". 35 Ü

Nel 1635 Urbano VIII nella Bolla di nomina del card. Stefano Durazzo ad arcivescovo di Genova affermava: "la devozione dei genovesi alla Sede apostolica e gli aiuti in ogni tempo ad essa prestati sono le ragioni per cui abbiamo disposto di affidare il governo di codesta chiesa arcivescovile ad un tant'uomo, il quale, sebbene nato fra voi, pure da lungo tempo è nostro".

 

 

TRE INTERDETTI

 

Nel 1262 papa Urbano IV colpiva con l'interdetto Genova, colpevole di aver fatto lega (Trattato di Ninfeo, 1261) con Michele Paleologo e di avergli prestato aiuto. Il Paleologo aveva deposto nel 1261 l'imperatore di Costantinopoli, Baldovino II ed aveva assunto per sé il titolo.

Urbano IV prese il provvedimento di interdetto spinto sia dal deposto Baldovino, che dalla repubblica di Venezia. "Alla notizia che l'interdetto era sulla città i genovesi o quanto meno la parte guelfa contraria al capitano Guglielmo Boccanegra, ne chiamarono in colpa colui che aveva il supremo potere e una forte congiura popolare si organizzò contro di lui". 36 Ü La congiura fu scoperta; ne seguì una seconda che obbligò il Boccanegra a dimettersi (1262). I genovesi allora pregarono l'arcivescovo Innocenzo Gualtiero di ristabilire l'ordine pubblico e di adoperarsi presso il Papa per ottenere l'assoluzione dall'interdetto.

Nel 1274 Gregorio X colpì di altro interdetto la città di Genova "per opera di messer Ottobono cardinale, Fieschi, il quale diceva che il comune di Genova teneva occupate alcune possessioni di esso Ottobono". 37 Ü

Gregorio X morì nel 1276 e gli successe proprio il cardinale Ottobono Fieschi, che assunse il nome di Adriano V.

"Subito dopo la sua elezione fece assolta la città di Genova che il papa Gregorio nel 1274, a richiesta di esso Ottobono nel tempo del suo cardinalato, aveva sottoposto all'interdetto e togliendo l'interdetto restituì la città ai riti". 38 Ü

Nel 1300 papa Bonifacio VIII colpiva Genova con l'interdetto "poiché quelli Di Oria e gli Spinoli avean mandato molte galee in soccorso dell'emulo suo di Sicilia (Federico d'Aragona) delle quali galee fu condottiero Tedisio d'Oria acclamato ammiraglio dalla plebe". 39 Ü

Pochi mesi dopo lo stesso Bonifacio VIII liberava Genova dall'interdetto.

 

UNA BRUTTA PAGINA

 

La Repubblica genovese possedeva la Corsica da circa 700 anni, quando questa si sollevò (1730), stanca di un governo che, troppo occupato nelle guerre interne, ledeva i diritti dei corsi. Il governo genovese affrontò la sollevazione con le maniere forti, propugnate dai più giovani, contro il parere di Gerolamo Veneroso.

Le diocesi corse di Aleria, Accia-Mariana e di Nebbio, abbandonate dai vescovi e da parte del clero, caddero nel disordine più grave, mentre i rivoltosi si abbandonavano ad ampie epurazioni nel clero secolare e regolare.

Per rimediare a questa situazione papa Clemente XIII nel 1760 venne nella determinazione di inviare un visitatore apostolico in Corsica e comunicò questa sua decisione al governo genovese per mezzo di un suo messaggero personale, il cardinale genovese Cosimo Imperiale.

Ma il doge e il senato deliberarono per ragion di stato di respingere il visitatore apostolico.

Attesa invano per tre mesi una ritrattazione, il Papa ordinò a Mons. Cesare Crescenzio De Angelis, vescovo di Segni, di sostituire i vescovi corsi assenti con pienezza di giurisdizione.

Il governo genovese rispose con arroganza: un editto del doge Matteo Franzone, dei governatori e del procuratore della Repubblica prometteva a chiunque arrestasse e consegnasse il prelato alle autorità un congruo premio! La santa Sede rispose a sua volta all'atto provocatorio della Repubblica annullando l'editto e comminando pene canoniche per i responsabili.

Il doge Franzone spinse i suoi atti inconsulti all'estremo della ribellione facendo pubblicare un bando contro il "Breve" pontificio.

Fu questo un episodio completamente estraneo alla nobile tradizione di fedeltà dei genovesi alla Sede apostolica, una macchia che resta, ma che va attribuita non alla Città, bensì ai suoi scriteriati e orgogliosi governanti.

E' l'espressione deteriore di un governo aristocratico troppo spesso assolutista, spesso inviso al popolo, di un governo guidato in quel momento da un uomo altezzoso, qual era il doge Matteo Franzone, 40 Ü è l'espressione di una Repubblica che sta vivendo il suo crepuscolo e che vede nel possesso della Corsica, allora minacciatole dal re di Sardegna, dall'Austria, dalla Francia e dalla Toscana, la condizione inderogabile per la sua stessa sopravvivenza. Genova resta macchiata da quell'episodio, ma la responsabilità non ricade sulla Città. Del resto, pochi decenni dopo, nel 1797, le popolazioni della Polcevera, del Bisagno, della Città e delle due Riviere dimostreranno il loro attaccamento alla religione cattolico-romana insorgendo contro i francesi dai quali pretenderanno sì la libertà politica, ma anche ed esplicitamente la libertà religiosa, sicché, placata l'insurrezione e iniziate le trattative, "le cose si concordarono (...) guarantendo i seguenti patti: serberebbesi intatta la Religione cattolica, apostolica e romana così nel dogma, come nella disciplina". 41  Ü

 

LA VICENDA CARON

Potrebbe apparire a chi non abbia una precisa conoscenza dei fatti, quasi una ferita alla secolare fedeltà della chiesa genovese alla Cattedra di Pietro. Per uno studio completo si rimanda all'opera "Mons. Andrea Caron e un periodo critico di storia genovese" di Mons. Antonio Durante. Qui si fornisce solo la successione dei fatti ed una conclusione sintetica.

La vicenda si svolse nel secondo decennio del 1900: epoca travagliata dal modernismo, dall'anticlericalismo settario e da gravi divisioni tra gli stessi cattolici.

L'eresia modernista era stata condannata dal decreto 'Lamentabili' (1907) e dall'enciclica 'Pascendi' (1907) di S. Pio X.

La reazione al modernismo assunse presso alcuni un carattere esasperato ed integralista, che portò ad eccessi di polemica e ad autentiche violazioni della giustizia, sotto pretesto di combattere l'errore.

A Genova operava allora il P. Giovanni Semeria, barnabita, uomo di grande cultura, celebre oratore e scrittore. Fu ingiustamente accusato dagli integralisti di modernismo e con lui venne coinvolto lo stesso arcivescovo di Genova Mons. Edoardo Pulciano, accusato di tollerare il barnabita 'eretico'.

Il 25 dicembre 1911 l'arcivescovo moriva e veniva eletto vicario capitolare Mons. Giacomo M. De Amicis. Nell'aprile del 1912 Pio X designava ad arcivescovo di Genova Mons. Andrea Caron.

In quello stesso anno P. Semeria, colpito da una furiosa campagna di stampa integralista, doveva lasciare Genova e ritirarsi a Bruxelles.

La stampa non cattolica attribuì la responsabilità dell'allontanamento a pressioni di Mons. Caron, che non aveva ancora preso possesso dell'archidiocesi, sulle alte autorità ecclesiastiche.

Frattanto il governo dilazionava la concessione del 'regio exequatur' alla nomina del nuovo arcivescovo. La polemica infuriava.

La questione finì in Parlamento. Il Papa, da parte sua, non poteva accettare l'ingerenza del governo italiano nella nomina di un vescovo e l'implicita limitazione dell'autorità ecclesiastica.

Con lettera del card. De Lai, in data 29 novembre 1912 il Papa sospendeva in Genova e nell'intera diocesi ogni funzione pontificale (e quindi l'amministrazione della Cresima, le Ordinazioni sacre, ecc.)

Genova rispose con (obbedienza e la fedeltà alla Sede Apostolica: nel 1913 le rappresentanze genovesi si recarono a Roma per manifestare al S. Padre la loro fedeltà.

Nel 1914, anche per l'interessamento di alcuni vescovi liguri, tra i quali: Mons. Gavotti, vescovo di Casale e il cardinale Della Chiesa che in quell'anno diventerà papa col nome di Benedetto XV, la S. Sede nominò un Amministratore apostolico nella persona di Mons. Tomaso Boggiani il quale, venendo a Genova, nominò suo vicario generale Mons. De Amicis, fino allora vicario capitolare.

Il 20 agosto 1914 moriva Pio X e la Provvidenza chiamava a succedergli il cardinale Della Chiesa, genovese: Benedetto XV. Egli escogitò una soluzione diplomatica che avrebbe salvato il prestigio della S. Sede e del Governo italiano: questo avrebbe concesso l'exequatur e la S. Sede si sarebbe adoperata a che Mons. Caron rinunziasse alla diocesi di Genova. Così avvenne: e il caso fu chiuso.

Nel gennaio 1915 Benedetto XV nominava arcivescovo di Genova Mons. Ludovico Gavotti.

 

In tutta questa vicenda vanno rilevati alcuni punti:

 

1. la chiesa genovese (clero e laici) non si schierò mai né contro il P. Semeria, né contro Mons. Caron, né contro il Papa. Se ne hanno le prove: atti del vicario capitolare, dichiarazione della Rivista diocesana ufficiale, ripetute dichiarazioni pubbliche e proteste del capitolo metropolitano, del collegio dei parroci, umile accettazione del provvedimento papale, atti dell'assemblea dell'Unione per la difesa del clero, prese di posizione di tre altre associazioni del clero, della Mutua del clero, ripetute lettere e atti di fedeltà e di ossequio verso Mons. Caron in attesa di prendere possesso della diocesi, ecc.

 

2. non si può escludere che qualcuno abbia compiuto passi presso la S. Sede, con ingiuste accuse sia contro il Semeria prima, sia contro Mons. Caron dopo, né si può escludere che le stesse o altre persone abbiano compiuto passi presso il governo italiano per indurlo a negare l'exequatur alla nomina.

In ogni caso si tratterebbe di persone isolate, che non possono coinvolgere nella responsabilità il clero o il laicato, in quanto tali.

 

3. non si può negare la infausta parte giocata nella vicenda dagli integralisti - don Boccardo e don Coletti - e dalla loro stampa. Non si giudica, evidentemente dell'intenzione, ma dei fatti: gli integralisti erano pronti a vedere eresia in ogni parte, intolleranti e arroganti anche verso i vescovi italiani. Ma il fenomeno dell'integralismo non si verificò solo a Genova, né qui ebbe numerosi sostenitori. Essi offrirono esca e involontario aiuto alla stampa anticlericale, essi, che si presentavano come i più intransigenti custodi della ortodossia: gli eccessi di zelo sono sempre dannosi. E la storia si ripete ...

 

4. gran parte della polemica e delle accuse vennero e furono sostenute dalla stampa anticlericale, particolarmente agguerrita a quell'epoca, malevola e ironica, portavoce di quella massoneria che ebbe troppa parte nella politica del tempo. Fu la stampa che travisò spesso i fatti, che lanciò accuse e sospetti, che accusò Mons. Caron e il Papa.

 

Si può dunque concludere che la vicenda Caron non toccò affatto la secolare devozione e fedeltà dei genovesi verso il sommo Pontefice. Se qualcuno tradì questa secolare fedeltà, se qualcuno agì subdolamente e segretamente con metodi di chiaro stampo massonico, qualunque fosse lo scopo inteso, si trattò sempre di 'qualcuno', che non può chiamarsi chiesa genovese, né può identificarsi con essa, col clero, col laicato genovese. Genova, come tale, non ha agito né contro Caron, né contro il papa. Ha continuato a protestare la sua fedeltà al Vicario di Cristo e al legittimo vescovo eletto, ha chinato la testa senza contestazioni e dimostrazioni anche davanti al provvedimento papale che la colpiva in ciò che essa aveva di più caro. Chi agì nell'ombra, se ci fu, non era con la chiesa di Genova.

 

PAPI A GENOVA

 

Più volte Genova ebbe l'onore di ospitare il Papa.

Nel 1118 Genova ospitò papa Gelasio II: (vedi capitoli precedenti).

Nel 1130 ospitò Innocenzo II che all'inizio del suo pontificato, non potendo resistere al partito dell'antipapa Anacleto II, si rifugiò in Francia dove fu ricevuto con grandi onori dal re Luigi VI, detto il Grosso. Il Papa partì segretamente da Roma via mare, sostò a Pisa (20 giugno 1130), poi a Genova ove anche si adoperò per ristabilire la pace tra Genova e Pisa. Durante la sua permanenza nella nostra città, clero e popolo elessero vescovo di Genova il concittadino Siro II nel 1130.

Da Genova il Papa salpò per la Provenza. Tre anni dopo elevava la sede vescovile ad archidiocesi e sede metropolitana (vedi capitoli precedenti).

Nel 1244 Genova ospitava Innocenzo IV: (vedi capitoli precedenti).

Nel 1367 venne a Genova Urbano V: "venne da Marsiglia con otto cardinali e 25 galee (...) alloggiò nel monastero di Fassolo e poi in S. Giovanni di Pré, ove celebrò messa papale, passò indi a Roma accompagnato da otto galee genovesi". 42 Ü

Nel 1376 passò per Genova Gregorio XI, proveniente da Avignone via Marsiglia. Fu accolto solennemente dal doge Domenico Fregoso e da santa Caterina da Siena, allora ospitata in via Canneto il Lungo al numero 6 da Donna Orietta Scotto-Centurione.

Nel 1385 fu a Genova Urbano VI: (vedi capitoli precedenti).

Nel 1815 fu a Genova Pio VII. Nel febbraio di quell'anno Napoleone lasciò l'isola d'Elba, nella quale era stato praticamente confinato dopo la sconfitta di Lipsia, per tornare in Francia. Pio VII - che nel 1809 era già stato arrestato per ordine di Napoleone - saputa la cosa, credette opportuno lasciare Roma. D'altra parte Gioacchino Murat aveva invaso lo stato Pontificio ed avrebbe voluto relegare il Papa a Gaeta. Vittorio Emanuele I invitò il Papa a riparare a Genova, da poco unita al suo regno.

Pio VII vi arrivò il 3 aprile 1815, accolto trionfalmente dalle salve di cannone e dal suono delle campane. Fu ricevuto allo scalo di Ponte Reale dal cardinale arcivescovo G. Spina, dai Capitoli, dal Governatore Des Geneys e dalla Giunta di governo. Attraversò Genova tappezzata a festa, sino al palazzo Durazzo-Pallavicini, in Via Balbi. È il primo palazzo a destra, nella direzione di Piazza Acquaverde, ove fissò la sua residenza. Visitò poi la chiesa delle Vigne, l'ospedale di Pammatone, diversi monasteri e Conservatori.

Partì da Genova il 18 maggio 1815, salutato dalle batterie del molo vecchio con 53 tiri di cannone.

Nel 1985 Giovanni Paolo II compiva la sua prima visita pastorale a Genova.

Giungeva all'aeroporto Cristoforo Colombo nel pomeriggio del 21 settembre, accolto dall'arcivescovo Card. G. Siri e dalle autorità civili e militari. Subito visitò lo stabilimento della nuova Italsider ove incontrò oltre 3.000 lavoratori. Quindi su una motovedetta della Marina Militare entrava nel porto per attraccare al molo vecchio, accolto dalla folla festante. Incontrava poi nella cattedrale i sacerdoti, i Religiosi e le Religiose.

Il giorno seguente il S. Padre visitava il Santuario di N.S. della Guardia, il `Piccolo Cottolengo genovese, 'Paverano', si incontrava con i giovani - quasi ventimila - al Palasport, visitava il Seminario Maggiore, la Casa Madre delle Suore Brignoline, l'ospedale pediatrico G. Gaslini e infine concelebrava con i vescovi della Liguria e con i sacerdoti in Piazza della Vittoria. Durante la concelebrazione iscriveva tra i Beati la serva di Dio Virginia Centurione Bracelli, fondatrice delle Figlie di N.S. del Rifugio in Monte Calvario, 'Brignoline'.

Alle ore 20,11 del 22 settembre Giovanni Paolo II lasciava Genova, decollando dall'aeroporto C. Colombo. Il 14 ottobre del 1990 il Santo Padre Giovanni Paolo II tornava nella nostra città in occasione del quinto centenario dell'apparizione di Nostra Signora della Guardia.

Il Santo Padre giungeva nella tarda mattinata all'aeroporto Cristoforo Colombo, accolto dall'arcivescovo Giovanni Canestri e dalle autorità.

Via mare, su una motovedetta della Capitaneria di Porto raggiungeva il Molo Vecchio e da qui, in auto si recava a Palazzo San Giorgio per la recita dell'Angelus con i fedeli e l'incontro con i parlamentari liguri e le autorità. Quindi, in cattedrale, sostava davanti alla tomba del cardinal Giuseppe Siri. Dopo il pranzo, servito al Seminario Maggiore del Righi, il Santo Padre concelebrava in piazza della Vittoria con i Vescovi e i sacerdoti e, al termine della celebrazione Eucaristica, recitava l'atto di "affidamento a Maria": Genova intendeva così rinnovare il suo attaccamento, la sua devozione verso la Madre del Signore. Questo atto solenne si riallacciava a quell'altro - non meno solenne - compiuto nel 1637 quando Maria fu dichiarata "Regina di Genova" e Genova divenne la città di "Maria Santissima".

Dopo la concelebrazione in piazza delle Vittoria il Santo Padre lasciava Genova dall'aeroporto Cristoforo Colombo alle ore 19.04.

 

 

 

Note

31 De Negri, o.c. pg. 521   Ý

32 De Negri, o.c. pg. 522   Ý

33 L. Ubertis, O.C. og. 189.   Ý

34 cfr.Rivista diocesana genovese, 19-3,pg.55.   Ý

35 Bullarium, dominic. vol. 2, pgg.19-20. Si noti che non si trattava di interdetto alla città, (come talora è stato detto), ma di scomunica contratta da alcune persone singole (nonnuli de civitate).   Ý

36 F. Donaver, o.c., pg. 70   Ý

37 Annali genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori, vol.VII, parte li, ristampa 1929, pg. 137.   Ý

38 Ib., pg. 143-4.   Ý

39 G. Stella, Annali genovesi, all'anno 1300.   Ý

40 L'Accinelli nell'o.c. pg.28 afferma: "quando il duce Matteo invaso dallo spirito di sua alterigia, chè a ciò inclinava, assunto alla dignità (...) fece ordinanza che i sacerdoti tutti (...) si levassero la secreta, ossia la cupolina mentre passava per la città, e diede pressante intimazione agli alabardieri del suo accompagnamento, che ciò facessero da tutti eseguire (... ) Sentiasi schiamazzare da essi alabardieri "leva berretta, leva berretta". Terminato poco dopo, il biennio di sua dignità, e morto, fu portato al sepolcro (...) mentre pioveva dirottamente; onde dopo aver preso un buon asperges i preti e sacerdoti tutti e gli associati non solo avevano in capo il cupolino, ma anco il cappello, tabarro e paracqua e tosi fu intonato "periit memoria eius cum sonitu in medio aquarum moltarum; et cum in honore esset, comparatus est jumentis insipientibus"   Ý

41 C. Varese, Storia della Repubblica di Genova, Genova 1838, VIII, p 329.   Ý

42 Accinelli, o.c., all'anno 1367.   Ý