Parrocchia
di S. Ambrogio in Mignanego (GE) |
Introduzione
alla Bibbia / 14 |
i libri della Bibbia : i Profeti / 3 |
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Giona Autore: Giona Data: 8° secolo
a.C. Contenuto Il profeta Giona è conosciuto
principalmente per la sua straordinaria esperienza con il «grande pesce. Nato
in un villaggio in Israele sotto il regno di Geroboamo II (782-753 a.C.),
Giona ricevette da Dio l'incarico di predicare la penitenza nella città di
Ninive, capitale dell'Assiria, uno tra i più temibili nemici di Israele. Fondata molti secoli addietro, Ninive
aveva avuto il nome dalla dea Istar o Nina. In Genesi 10,11 è detto che la
città era stata fondata da Nimrod. Gli scavi archeologici hanno confermato
che il sito è stato occupato fin dai tempi preistorici. Nel 1800 a.C. era già
una città importante, Assurnasirpal II (883-859 a.C.) e Sargon li (722-705
a.C.) vi avevano costruito palazzi. Sennacherib (705-681 a.C.) ricostruì la
città, le mura e l'acquedotto. All'interno delle mura c'erano palazzi
amministrativi, parchi, case private, templi, monumenti alle vittorie assire
e altri palazzi. Le cronache della storia assira e della politica estera
venivano redatte e conservate in biblioteche pubbliche. Durante il periodo di
massimo sviluppo Ninive era attorniata da mura lunghe oltre 11 km e contava
175.000 abitanti. Quando Dio gli comandò di lasciare la
sua città natale in Israele per andare a predicare a Ninive, Giona la prese
molto male. Perché Dio dovrebbe interessarsi di quei pagani? Perciò Giona
deliberatamente si imbarcò su una nave che andava in direzione opposta. Nel
corso di una furiosa tempesta, riconobbe la sua colpa e chiese di essere
gettato in mare. Fu quindi ingoiato da un grande pesce (forse una balena)
che, dopo tre giorni, lo ributtò sulla spiaggia. Castigato e pentito, Giona
quindi andò a predicare a Ninive. Quando, per effetto della sua predicazione,
la popolazione di Ninive si ravvide, Giona non ne fu affatto contento, anzi
si mostrò indispettito, e si sedette imbronciato fuori della città. Dio
allora gli impartì un'altra lezione, questa volta mediante una pianta, prima
cresciuta rigogliosa, poi improvvisamente appassita con grande dispiacere di
Giona. La lezione era: se Giona si prende tanto a cuore le sorti di una
pianta, perché Dio non dovrebbe avere compassione di un'intera città piena di
uomini e di animali? La maggior parte delle discussioni che
si fanno circa il libro di Giona riguardano la possibilità o meno che questi
fatti siano veramente accaduti. Molti ritengono che il libro si presenti come
un racconto di tipo parabolico, che non deve quindi essere preso alla
lettera. I rabbini usavano spesso simili tecniche didattiche, come fece Gesù
stesso. Altri ritengono che è meglio lasciare che il libro parli da solo. Il
libro si presenta come un fatto storico, col nome del profeta e altri avvenimenti
della sua vita descritti con cura. Che la sopravvivenza di Giona nel ventre
del pesce fosse un fatto miracoloso è detto espressamente (2,1-10). Se Dio
aveva creato il mondo, i pesci e Giona stesso, poteva certamente operare
anche questo miracolo. Altre obiezioni mosse al libro, quali le dimensioni
della città o la possibilità che un'intera città si pentisse improvvisamente,
sono più apparenti che reali. Per quanto riguarda le dimensioni,
l'archeologia ha dimostrato che la città era effettivamente molto grande; e
poi, chi può dire se la città si è pentita o no? Tutto sommato, la cosa
migliore è considerare il libro come un resoconto sorprendente ma vero della
possibilità di pentimento offerta da Dio alla nazione assira nella città di
Ninive. Spunti
teologici Lo scopo del libro di Giona è
dichiarato espressamente: « E io non dovrei aver pietà di Ninive, quella
grande città...? » (4,11). Il libro è incentrato sul tema della compassione
di Dio per tutti i popoli, compresi i nemici di Israele.
Michea Autore: Michea Data: 8° secolo
a.C. Contenuto Michea era nativo della piccola città
di Moreset, circa 40 km a sud-ovest di Gerusalemme in Giudea. Vicino alla
cittadina correva la grande rotta costiera nord-sud che collegava l'Egitto
alla Mesopotamia, ampiamente sfruttata dagli eserciti del passato. Michea svolse il suo ministero al
tempo di Iotam, di Acaz e di Ezechia, essendo contemporaneo di Isaia. Fu
perciò testimone di grandi avvenimenti: l'invasione dell'esercito assiro, la
caduta di Damasco in Siria, la guerra tra Israele e Giuda, la conquista della
Galilea, la distruzione di Samaria e del regno di Israele, la sconfitta
dell'Egitto per mano di Sargon. Era un periodo violento e tumultuoso. Il libro di Michea è una raccolta di
prediche e di profezie, disposte per argomento anziché in ordine cronologico.
Lo stile è vario, a seconda del periodo e delle circostanze. A volte Michea è
aspro e vigoroso, altre volte tenero e compassionevole. Il linguaggio che usa
è sempre diretto e forte. Il messaggio di Michea è rivolto principalmente
a Giuda, il regno meridionale, anche se non dimentica il regno di Israele e
le nazioni confinanti. La sua attività è dedicata in particolare alla difesa
degli oppressi. Viveva in una società in cui i ricchi proprietari terrieri
sfruttavano i poveri, opprimendoli senza pietà. i contadini, gli agricoltori
e i piccoli proprietari erano sfruttati da coloro che avevano conoscenze
nelle alte sfere. Tale abuso di potere fu attaccato con forza da Michea.
Anche se proveniva da una zona rurale, egli era perfettamente al corrente
della corruzione della vita di città e denunciò Gerusalemme in particolare.
Vedeva nella città il simbolo della corruzione nazionale: corruzione
nell'amministrazione della giustizia, nei funzionari del governo, nei capi
religiosi. Il fondamento del messaggio di Michea
era la giustizia di Dio, analogamente al messaggio del profeta Amos, che
stava predicando le stesse cose nel regno di Israele. Michea sottolinea che
ciò che Dio richiede da noi è un comportamento retto, giusto, non una
messinscena esteriore. In uno dei versetti più conosciuti dell'Antica
Testamento Michea sintetizza ciò che il Signore richiede dall'uomo: «
Praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio»
(6,8). Spunti
teologici Michea presenta un messaggio di
giudizio: se la nazione non cambia il suo comportamento, Dio la giudicherà e
la distruggerà (3,12). Un secolo più tardi Geremia ricorda quelle parole e le
applica alla propria profezia (Ger26,18). Michea inoltre offre una delle più
dettagliate descrizioni dell'avvento del Messia che si trovino nell'Antico
Testamento (5,1-14). Il redentore verrà da Betlemme e sarà un essere umano
(non un angelo). Dovrà avere le sue origini dall'antichità, «dai giorni più
remoti, radunerà attorno a sé un gruppo di giusti, inaugurerà sulla terra un
regno di giustizia e si prenderà cura dei bisognosi. Il Nuovo Testamento vede
queste profezie pienamente adempiute in Gesù Cristo. Michea proclama un regno universale di
pace che abbraccerà tutti i popoli. Le spade saranno trasformate in aratri e
le lance in falci; sarà un periodo di pace, di prosperità e di benessere
(4,1-5). Dio regnerà sovrano e gli uomini « non impareranno più l'arte della
guerra.
Naum Autore: Naum Data: 7° secolo
a.C. Contenuto Naum, nativo di Elcos in Giudea, è il
profeta il cui ministero è diretto esclusivamente alla città di Ninive. Giona
era stato inviato a predicare a Ninive circa 100 anni prima e molti degli
abitanti avevano risposto positivamente alla sua predicazione. Negli anni
successivi, tuttavia, si era verificato un
cambiamento di mentalità oltre che di governo, e Ninive era tornata al suo
vecchio stile di vita. Dio pertanto diede a Naum l'incarico di predicare
l'incombente giudizio sulla capitale assira in un periodo non meglio
precisato tra il 663 a.C. e la caduta della città nel 612 a.C. Anche se il
messaggio è diretto a Ninive, non esistono prove che Naum abbia visitato la
città di persona. Spunti
teologici il messaggio di Naum è di un giudizio
incombente sulla città di Ninive. I suoi crimini saranno puniti,
specificamente l'idolatria (1,14), l'arroganza (1,11), l'omicidio, la
falsità, il tradimento, la superstizione e i peccati di carattere sociale
(3,1-19). A causa di tutto ciò la città verrà distrutta. Ninive, dice Naum, è
una città sanguinaria (3,1): descrizione grafica di quanto in basso fosse
scivolata la nazione assira. Il fondamento del messaggio di Naum è
che Dio regna sovrano sulla terra, anche su quelli che non lo riconoscono
come Dio. Gli dèi e le dee di Ninive non contavano nulla, afferma Naum. Dio,
l'unico esistente, ci ritiene tutti responsabili nei suoi confronti, che lo
sappiamo o no, che lo accettiamo o no. Dio solo è Dio. Gli abitanti di Ninive
avrebbero presto sperimentato che riporre la fiducia negli idoli significava
fare affidamento sul legno e sulla pietra. Nonostante tutto, Dio è disposto a
salvare la città a patto che si ravveda. Dio è sempre in cerca degli
sbandati, è lento all'ira (1,3), e buono (1,7), è un asilo sicuro per quelli
che si affidano a lui nel giorno dell'angoscia (1,7). Dio manda buone notizie
a coloro che sono disposti ad ascoltare (2,1), tema ripreso in seguito dagli
autori del Nuovo Testamento per descrivere il ministero di Gesù e la predicazione
del vangelo (la « buona notizia).
Abacuc Autore: Abacuc Data: fine 7°
secolo a.C. Contenuto Abacuc esercitò il suo ministero negli
ultimi anni del regno di Giuda, poco prima della sua distruzione da parte dei
Babilonesi nel 587 a.C. Nell'anno 605 a.C., nella grande battaglia di
Carchemis, i Babilonesi avevano sconfitto ciò che rimaneva del vecchio
esercito assiro e gli Egiziani. Questa vittoria consentì a Babilonia di
imporsi come nuova potenza mondiale e di esercitare il suo controllo sulle
rotte commerciali che collegavano l'Egitto alla Mezzaluna fertile, passando
per il territorio di Giuda. Sarebbe stato solo questione di tempo perché
Giuda sentisse la pesante mano di Babilonia. Abacuc, con intuito profetico,
era cosciente di questo pericolo. Abacuc si astenne dall'inveire contro
i peccati di Giuda come tali, preferendo affrontare il problema in modo
diverso. Poiché era convinto che Dio è buono e onnipotente, nella sua
predicazione si chiedeva perché Dio aveva permesso che succedessero quelle
cose. Certo, il popolo di Giuda era peccatore, ma Dio era abbastanza potente
da porre rimedio alla situazione; allora, perché non interveniva? Questo modo
di affrontare il problema era del tutto nuovo nell'Antico Testamento. Il
libro di Giobbe vede il male da un punto di vista analogo, ma tra i profeti è
solo Abacuc che lo esprime in termini chiari. Spunti
teologici Per trasmettere il suo messaggio
Abacuc adotta il metodo domanda e risposta; il profeta pone la domanda, Dio
risponde. La prima domanda si trova in 1,2-4. Sostanzialmente è: perché Dio
permette il male? La giustizia è calpestata, i poveri sono oppressi, la
violenza regna dovunque; e tutto ciò, sembra, con il consenso di Dio. La
risposta si trova in 1,5-11. Dio risponde che è in procinto di intervenire a
punire i peccati che vede in Giuda. Per questo utilizzerà i Caldei
(Babilonesi) come bastone della sua ira. I Caldei sono terribili guerrieri,
orgogliosi, idolatri della loro stessa forza, senza pietà verso i prigionieri
e sicuri della vittoria. Tale risposta richiama alla mente di
Abacuc un'altra domanda ancora più impegnativa. Per attuare il suo castigo,
come può Dio avvalersi di una nazione peggiore di Giuda (1,12-2,1)? Dio è
talmente puro che non può neppure vedere il male; eppure ha intenzione di
avvalersi dei Babilonesi. Come può essere? Dio offre una risposta in due
parti. In 2,6-19 risponde all'aspetto pratico e storico della domanda: anche
Babilonia sarà punita a suo tempo. In 2,2-4 l'aspetto teologico della domanda
di Abacuc riceve una risposta che contiene una delle più importanti
affermazioni della Bibbia: « Il giusto vivrà per la sua fede. Dio dice ad
Abacuc che la logica umana può fallire, ma non la sapienza di Dio. Anche se
noi non comprendiamo il perché delle cose, ciò non significa che non esista
alcuna risposta. La risposta ce l'ha Dio, e quelli che vogliono essere giusti
(retti) davanti a Dio devono fidarsi di lui e vivere nella fede. In un certo
senso questa non è una risposta diretta alla domanda, ma piuttosto un invito
a chiedersi chi è Dio. Perciò Abacuc capisce di aver parlato troppo.
L'atteggiamento più consono per stare alla presenza di Dio è il silenzio: il
silenzio della semplice accettazione, non il silenzio imbronciato della
rassegnazione al nostro destino (2,20). Segue poi una delle più belle
preghiere dell'Antico Testamento, che termina con la professione di fede di
Abacuc (3,18-19). Noi possiamo rallegrarci nel Signore anche se siamo stati
privati di ogni cosa. Poiché questo accadde effettivamente ad Abacuc, il
profeta è un esempio del modo di affrontare la peggiore delle situazioni in
cui possiamo incorrere. Il libro contiene un altro tema
importante. Abacuc mostra come Dio fosse in grado di avvalersi dell'opera dei
Babilonesi, anche se essi non lo riconoscevano come Dio. Dio è il Signore di
tutta la terra, anche di coloro che si rifiutano di accettarlo. Per Dio tale
rifiuto in realtà ha scarsa importanza, poiché egli è l'unico Dio esistente,
senza rivali. Questa costatazione dovrebbe esserci di grande conforto quando
siamo tentati di pensare che Dio non sia in grado di intervenire,
semplicemente per il fatto che alcune persone che ci stanno a cuore non
riconoscono la sua esistenza.
[tratto da : "Guida allo studio
della Bibbia" a cura di Walter A. Elwell - Ed. Elle Di Ci - 1997] |