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il CREDO / 1 |
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Natura e
struttura del Simbolo Una «Confessione di Fede» Talvolta
si designa il Simbolo degli apostoli con la parola 'Credo', in riferimento
alla prima parola, credo, del testo latino. E pure si afferma che il Simbolo
degli apostoli, come ogni credo (ad esempio, quello detto
'niceno-costantinopolitano', recitato usualmente nella messa) è una
confessione di fede. 'Confessare'
significa dichiarare pubblicamente, impegnandosi sulla propria parola. La
Bibbia ci presenta molte confessioni di fede. Ad esempio, quella, molto
semplice, degli israeliti riportata nel libro di Giosuè: «Jahvé è il nostro
Dio». È una confessione legata a un riconoscimento: «Lui ci ha fatti salire,
noi e i nostri padri, dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù»; e insieme
traduce una presa di posizione: «Lungi da noi il pensiero di abbandonare il
Signore, per servire ad altri dèi» (Gs 24,16). Si tratta di una confessione
di fede del tutto analoga a quella che troviamo nel Nuovo Testamento: «Gesù
Cristo è il Signore» (Fil 2,11). Simili
formule, brevissime, hanno un'implicazione molto vasta. Impegnano e possono
anche costare la vita. La formula citata in precedenza, della Lettera ai
Filippesi, allo stesso tempo identifica Gesù Cristo come Dio e prende in
contropiede la formula che l'imperatore pretendeva dai suoi sudditi: «Cesare
è il Signore». Di
fatto, originariamente, la confessione di fede trova posto in due luoghi
significativi: la persecuzione e il culto. La
confessione di fede è sempre, per vari aspetti, la risposta a una
provocazione. Una delle parole usate in greco per dire «confessare la fede è
la parola martyréin, da cui deriva il nostro 'martirio'. I martiri erano
chiamati confessori, cioè confessori della fede. Anche al di fuori delle
persecuzioni violente, la fede è sempre confessata in opposizione allo
spirito del mondo, stabilito sotto la legge del peccato. Ma
la confessione di fede è sempre anche un atto di riconoscimento
dell'identità di Dio e della sua opera. Questo riconoscimento attivo si
realizza in maniera privilegiata nel culto. Qui il credente viene in certo modo
proiettato in Dio, stabilito in lui nello stupore. Ancor
più precisamente, il luogo per antonomasia della confessione di fede è il
battesimo. Nella celebrazione del battesimo, l'aspetto di presa di posizione
inerente alla confessione della fede si trova sottolineato puntualmente nelle
formule di rinuncia, mentre la proclamazione del Simbolo traduce il
riconoscimento estasiato di Dio come Padre, Figlio e Spirito santo. La
confessione di questo Dio della rivelazione avviene in termini di risposta
alla triplice interrogazione: «Credi in Dio Padre onnipotente, ecc.?».
Tant'è vero che, anche storicamente, noi non siamo mai l'origine della nostra
fede. Il
Simbolo degli apostoli è in partenza un simbolo battesimale. Anche un altro
Credo, quello introdotto nella messa domenicale e delle grandi festività
cristiane - il Credo detto niceno-costantinopolitano - pure di origine
battesimale, si è andato arricchendo teologicamente nella lotta contro le
eresie. La sua introduzione nella messa risale nei nostri paesi a Carlo
magno (742-814), in un simile anelito di reazione contro l'eresia ariana.
Quali che siano state le ragioni di tale iniziativa, si deve riconoscere che
il Credo si colloca egregiamente all'interno dell'assemblea eucaristica, dopo
aver ascoltato quella parola di Dio che rivela chi sia Colui che i fedeli
stanno ora per incontrare nel sacramento. I fedeli proclamano insieme, col
Credo, l'identità del Dio che si è dato loro a conoscere. Celebrano e
cantano nella gioia il suo nome e la sua gloria. La confessione di fede è
pure, infatti, un rendimento di grazie, una eucaristia. Un «Simbolo» Sotto
il nome di «Simbolo degli apostoli», il nuovo Messale romano ci propone un
altro Simbolo, più breve di quello niceno-costantinopolitano finora usato esclusivamente
nella liturgia eucaristica. Il
Simbolo degli apostoli è quello che la maggior parte dei cristiani ha
imparato al catechismo e che molti avevano, e forse hanno ancora,
l'abitudine di recitare nelle loro preghiere del mattino e della sera. Soprattutto
il Simbolo degli apostoli, come già abbiamo detto, è quello che fu usato fin
dai tempi antichi, sotto forma dialogata, nella liturgia del battesimo. L'attribuzione
diretta ai dodici apostoli, ritenuti di averne redatto una frase ciascuno, è
semplice leggenda. Ma questa leggenda esprime un'idea giusta e fondamentale:
nel Credo vengono ricapitolati, come in un condensato, la testimonianza e
l'insegnamento degli apostoli, come si trovano consegnati a noi
particolarmente nel Nuovo Testamento. La
parola 'simbolo' esprime la funzione, ma anche l'esigenza di unità legata
alla confessione della fede. Simbolo
deriva dal greco symbàllein: mettere insieme, unire. Un costume antico gli
fa da sottofondo: due parti adattabili di un anello, di un bastone o di una
tavoletta, contavano come segni di riconoscimento per gli ospiti, dei
messaggeri o dei partner di un trattato. Il fatto di trovarsi in possesso
del pezzetto corrispondente dava diritto a un certo oggetto o semplicemente
all'ospitalità. Il simbolo è un elemento che rinvia a un altro elemento
destinato a completarlo, per creare in tal modo una conoscenza e unità
reciproca. È sia espressione che mezzo di unità (J. RATZINGER, Introduzione
al cristianesimo, Queriniana, Brescia 19868, 61). Il
Simbolo svolge quindi un ruolo fondamentale nell'edificazione della comunità
cristiana, della Catholica. Ogni
uomo detiene la fede solo come 'simbolo', ossia come un pezzetto incompleto e
spezzato, che solo può trovare la sua unità e completezza unendosi agli
altri. Per realizzare il symballein dell'unione con Dio, bisogna passare
necessariamente per il symballein dell'unione con gli altri uomini. La fede
domanda l'unità, chiama i fratelli nella fede, è essenzialmente orientata
verso la chiesa. La chiesa non è una istituzione secondaria, costituita a
partire da idee senza rapporto con essa, tutt'al più come un male necessario.
La chiesa è parte integrante della fede, il cui significato è la confessione
comune e l'adorazione comune (Ibid., 62s.). Il
legame stretto che esiste tra il Simbolo e la chiesa si manifesta
particolarmente nella forma dialogata, già accennata, della confessione di
fede battesimale. Segno
e strumento dell'unità specifica della fede, il Simbolo è anche testimone
della sua apertura. Anche
nella sua globalità la chiesa non detiene la fede se non come symbolon, cioè
come metà spezzata che solo è vera nella propria relazione all'infinito, al
totalmente diverso, a cui essa tende al di là di se stessa. La fede non pub
accostarsi a Dio se non attraverso questa spaccatura infinita del simbolo,
attraverso questo superamento perpetuo dell'uomo (Ibid., 63). Il
Simbolo di fede opera l'unità dei credenti aprendoli insieme al mistero di
Dio: del Dio sempre più grande, che essi accolgono nel rapimento, nell'adorazione
e nel rendimento di grazie. Sotto il segno dell'impegno:
«Io credo», «Amen» Si
narra che un inglese, allevato in una famiglia non credente, si era
interessato al cristianesimo da adulto, e alla fine aveva chiesto a un
pastore di istruirlo per prepararlo al battesimo. A tale scopo il pastore
aveva seguito il Simbolo degli apostoli. Compiuta la spiegazione dei vari
articoli, il pastore ritenne finita la preparazione. Tuttavia, per
verificare se il suo catecumeno avesse assimilato bene l'insegnamento, pensò
bene di porgli qualche altra domanda, e soprattutto se le varie affermazioni
della fede non gli ponessero delle difficoltà: la creazione, la nascita
verginale, la risurrezione, la discesa agli inferi, ecc. Ma su ciascun punto
il catecumeno rispose di non provare difficoltà. Il pastore pensò allora che
ormai si potesse procedere al battesimo. Ma il catecumeno lo interruppe: «Mi
resta una difficoltà. C'è una parola che lei non mi ha spiegato mai e di cui
non afferro pienamente il significato: 'Io credo'. Che ci sta a fare questa
espressione? Non capisco proprio se sia una parola vera o non vera». La
storiella è certamente inventata e umoristica. Ma riflette bene certi
orientamenti della cultura contemporanea, forse più accentuati nei paesi
anglosassoni: quella cultura dell'oggettività che solo si interessa ai fatti
e diffida di ogni traccia di soggettività. È una cultura delle scienze
positive, che solo si interessa all'uomo costituendolo in primo luogo come
oggetto di studio. A
dire il vero, i cristiani, e in particolare i cattolici, non sono sempre
sfuggiti alla tendenza di comportarsi come se la fede consistesse
essenzialmente in un certo numero di 'cose' da ritenere, o di verità
'oggettive' a cui aderire: come quando si crede alla legge della caduta dei
corpi o all'esistenza di Napoleone. Una fede «sistema di verità», ben più
che atto di abbandono di sé al Dio riconosciuto nella sua rivelazione. Il
Simbolo degli apostoli ci introduce in una prospettiva diversa. Non mette in
fila un certo numero di proposizioni che avrebbero consistenza o valore in se
stesse, indipendentemente dal luogo (si potrebbe anche dire
dall''operazione') dove tali proposizioni si effettuano. Questo
luogo, questa operazione, è appunto l'atto di confessione che si iscrive
nella prima e nell'ultima parola del Simbolo: «Io credo» e «Amen». Sono come
i due pilastri dell'arco sublime che si slancia verso il cielo, o come i
segni o coefficienti che strutturano l'insieme di ciò che introducono e
circoscrivono. Anche
se ciò che si afferma nel Simbolo non è creato dall'atto di fede del
credente, è tale tuttavia in rapporto ad esso. La parola «credo», messa
all'inizio, viene ripresa più volte. Nessuna verità si stacca da essa, anche
se, all'interno delle affermazioni fondamentali, viene a iscriversi
l'enunciato di verità puramente oggettive: «Patì sotto Ponzio Pilato, fu
crocifisso, morì e fu sepolto», in quanto la verità confessata nella fede
attraversa anche la storia umana. L'atto di fede viene espresso all'inizio:
Credo, «io credo». Ma anche alla fine trova una sua espressione precisa nella
paroletta amen: un termine ebraico che equivale approssimativamente a «È
vero», «È così», è proprio come dico. «Sì, è vero, è così, è certo» potrebbero
essere delle buone traduzioni dell'amen ebraico. Questo
sì costituisce per antonomasia la parola della fede, come attestazione di una
verità pratica che impegna. È l'amen che Maria, senza parlare né il greco né
il latino, deve aver pronunciato in risposta all'angelo dell'annunciazione, e
che l'evangelista ha reso con il famoso fiat. Anche san Paolo può dichiarare
che Gesù Cristo è stato per noi, globalmente, tale 'sì', tale 'amen': Il
Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo predicato tra voi, [...] non fu 'sì'
e 'no', ma in lui c'è stato il 'sì'. E in realtà tutte le promesse di Dio in
lui sono divenute 'sì'. Per questo attraverso lui sale a Dio il nostro amen
per la sua gloria (2 Cor 1,19-20). Questo
stesso amen i fedeli sono invitati a ripetere, quando viene loro proposto di riconoscere
e accogliere il corpo di Cristo nella comunione eucaristica. Una struttura trinitaria Le
dodici proposizioni attribuite dalla leggenda a ciascuno dei dodici apostoli
non sono, in realtà, così facili da contare. Anzi tale conta può risultare artificiosa. Al
contrario, la struttura trinitaria del Simbolo balza subito agli occhi. Il
Simbolo si trova articolato secondo tre articoli fondamentali: il primo
riguarda il Padre, il secondo il Figlio e il terzo lo Spirito santo. Nondimeno,
per quanto nettamente distinti, i tre articoli sono strettamente legati tra
loro e se ne falserebbe il senso a volerli isolare. Solo conosciamo il Padre
come Padre di questo Figlio, che è stato concepito dallo Spirito santo, ecc.
E questo stesso Figlio viene realmente conosciuto solo nella sua relazione
unica al Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra... E appunto
vengono confessati entrambi nella frase: «Io credo in Dio... e in Gesù
Cristo, suo unico Figlio». Allo
stesso modo, lo Spirito santo non verrebbe confessato per ciò che è, con
tutti i frutti legati alla vita nuova che inaugura (comunione dei santi,
perdono dei peccati, ecc.), se non fosse colui al quale la missione di Gesù
ha aperto la via in mezzo agli uomini. La Trinità non è
un oggetto da contemplare da lontano. È un mistero vivo, svelato in una
storia: quella storia che culmina nella storia di Gesù, nato dalla vergine
Maria, crocifisso, morto, sepolto, risuscitato... È un mistero nel quale ci
viene proposto di entrare realmente mediante la fede, come la articola il
Simbolo. |