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il CREDO / 4

 

Il secondo articolo del Simbolo Gesù Cristo

 

L'incarnazione

 

Il secondo articolo ci introduce nel cuore della fede cristiana e lo si può ben dire decisivo per la stessa fede. Si trova anche al cen­tro del Simbolo e si vede attribuire lo sviluppo più ampio. Vi si possono distinguere varie affermazioni che riguardano più diretta­mente e progressivamente l'incarnazione, la redenzione e la glori­ficazione di Cristo.

 

«...E in Gesù Cristo...»

Innanzitutto conviene notare che se nel secondo articolo si tratta essenzialmente della seconda persona della santa Trinità, il Figlio, non si dà un solo punto in cui anche le altre due persone non siano evocate. La santa Trinità è unità, la più profonda delle unità: cia­scuna delle persone, per tutto ciò che è, è relazione alle altre due.

Del resto, come si potrebbe parlare del 'Figlio', senza parlare, quantomeno implicitamente, del 'Padre'? Effettivamente, nella stessa frase e nello stesso movimento, dopo avere confessato il Padre, si confessa il Figlio: «E in Gesù Cristo, suo unico Figlio...».

Vedremo più avanti che il secondo articolo è pure inseparabile dal terzo, che riguarda l'azione dello Spirito santo, già evocata nel secondo articolo. Soffermiamoci ora brevemente sulle prime paro­le: «E in Gesù Cristo».

Gesù, come sappiamo, significa 'salvatore'. Ma ciò che qui ci preme rilevare, soprattutto, è il fatto che il Simbolo aggancia la no­stra fede a un uomo della nostra storia. Un uomo che ha avuto un nome proprio, un uomo noto ai suoi contemporanei e registrato in quello che poteva essere lo stato civile del tempo (il vangelo ci par­la del censimento ordinato dall'imperatore come del fatto che ha messo in cammino Maria e Giuseppe prima della nascita di Gesù).

Il Simbolo unisce subito al primo nome, Gesù, un secondo nome che era originariamente un titolo, Cristo, traduzione greca del ter­mine ebraico 'messia', con il quale veniva designato il re, F'unto' di Jahvé. Il titolo diventò tanto rappresentativo dell'identità profonda di Gesù, che i discepoli ne fecero un nuovo nome proprio, per poi trarne successivamente il loro stesso nome. 1 cristiani hanno conti­nuato a rivolgersi a Gesù con tale termine: «Cristo ascoltaci; Cri­sto esaudiscici...».

Ma Cristo non è solo un nome che si aggiunge a un altro nome; è anche oggetto di una professione di fede. Sembra anzi che alcune primissime confessioni della fede siano consistite appunto nell'af­fermare Gesù come Cristo. Già dice tutto il legame che viene sta­bilito tra le due parole. Anche il Simbolo non dice «E in Gesù-Cristo» come se esistesse un trattino tra i due nomi, ma (io credo) «in Gesù Cristo»: cioè io credo che lui è il Cristo, il re atteso per guidare e riportare a Dio il suo popolo.

 

«...Suo unico Figlio...»

Con linguaggio semplice e conciso, il Simbolo degli apostoli esprime con queste parole quanto la teologia posteriore, e già il Credo niceno-costantinopolitano, formulerà parlando della divinità di Gesù Cristo, con il termine «della stessa natura» (letteralmente: «conso­stanziale») del Padre. Forse la formula del Simbolo degli apostoli, meno astratta, risulta per noi più eloquente e non meno ricca... A condizione di non amputarla.

Diciamo che è più eloquente. Sotto un certo punto di vista dice qualcosa di più della semplice affermazione della 'divinità' di Ge­sù Cristo (a cui spesso ci si rifà per definire la vera fede). Situa infatti questa verità all'interno del mistero trinitario, ossia in riferi­mento non a una qualsiasi idea di Dio: Gesù Cristo è Dio come Fi­glio del Padre onnipotente. È Dio all'interno della relazione d'a­more che costituisce tutta la vita e tutta la realtà della Trinità («Dio è amore», dirà san Giovanni: 1 Gv 4,16).

Ma non bisogna troncare la formula, dimenticando la parola 'uni­co'. Gesù Cristo è il Figlio unico del Padre. Poiché, in un certo senso, siamo tutti figli di Dio. Tutti gli uomini sono figli di Dio, com'è vero che Dio è l'unico «Padre onnipotente, creatore del cie­lo e della terra». Anche quelli che non sanno o non credono di es­serlo, sono suoi figli. Al momento del battesimo bisognerebbe spie­gare, meglio di quanto spesso si fa, in che senso il battezzato di­venta figlio di Dio. Perché, se era già figlio, ora lo diventa a nuovo titolo, venendo incorporato al Figlio unico e prediletto.

Nella Bibbia, anche altri personaggi, particolarmente i re, sono chiamati 'figli di Dio', o anche 'cristo', 'unto', 'messia'. Ma a ti­tolo diverso Gesù dev'essere detto 'Figlio unico': cioè a partire dalla relazione che egli non cessa di avere con colui che chiama 'suo Pa­dre', usando il linguaggio familiare dei bambini, 'Abbà', come ter­mine che ci viene riferito espressamente nel Nuovo Testamento (Mc 14,36) e che si accosta al nostro 'papà'. Perché Figlio unico, Gesù può parlare nel vangelo senza fonderli in un'unica formula, di «Pa­dre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (Gv 20,17).

 

«...Nostro Signore...»

Confessare Gesù Cristo come 'nostro Signore' significa confes­sarlo come nostro Dio; e tuttavia sottolineando subito che allo stes­so tempo egli è interamente del Padre e per il Padre, e interamente per noi. Come afferma il Credo niceno-costantinopolitano, «per noi e per la nostra salvezza discese dal cielo».

 

«...il quale fu concepito di Spirito santo...»

Con queste parole si afferma che Gesù, per tutto ciò che è nel suo essere più profondo, è frutto dello Spirito di amore che sta al cuore della vita trinitaria. Vi viene quindi dichiarata tanto l'identi­tà del Figlio eterno, che vive «nel seno del Padre» (Gv.1,18), quan­to quella di colui che nasce in una carne umana.

Lo Spirito creatore, che all'origine «planava sulle acque» (Gn 1,2), viene ora sulla vergine Maria per generare una nuova creatura, sta­bilire un nuovo cominciamento dell'umanità. Avviene, nel segre­to, l'inizio di quel «meraviglioso scambio» - admirabile commer­cium - che cantiamo nel tempo di Natale e che sfolgorerà nella Pasqua.

Accanto allo Spirito di Dio che plana sulle acque delle origini, il vangelo di Luca, parlando della «potenza dell'Altissimo» che «co­prirà Maria con la sua ombra» (Lc 1,35), evoca la nube che copriva nel deserto la tenda in cui aveva luogo la presenza di Dio (Es 40,35). Significa che, nello Spirito, Dio stabilisce una nuova abitazione in mezzo agli uomini.

 

«...Nacque da Maria vergine...»

In questa affermazione del Simbolo si afferma sempre la stes­sa verità fondamentale: Gesù, pur essendo perfettamente uomo, è interamente di Dio.

L'Antico Testamento conosce una serie di nascite miracolose, sempre poste a delle svolte decisive della storia della salvezza. Sara, madre di Isacco (Gn 18), e la madre anonima di Sansone (Gdc 13) sono sterili... La stessa linea continua in Elisabetta, madre di Giovanni Battista (Le 1,7-25.36), per raggiungere in Maria il suo punto culminante e il suo fine. Il senso dell'evento è ogni volta lo stesso: la salvezza del mondo non deriva dall'uomo e dalla propria forza: bisogna che l'uomo se la lasci offrire; egli può soltanto riceverla come un dono gratuito (J. RAT­ZINGER, op. cit., 224).

La nascita verginale di Gesù stabilisce nella sua aurora lo statuto della nuova creazione che seguirà.

Come vera «figlia di Sion», Maria è la figura della chiesa, figura del­l'uomo credente che non può arrivare alla salvezza e alla realizzazione piena di sé se non attraverso il dono dell'amore - «per grazia» (ibid., 227).

In questo senso Maria fa parte integrante del Credo, cioè della confessione del vero Dio conosciuto nella rivelazione e nel dono del Figlio suo.

 

 

 

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