|
il CREDO / 8 |
||||||||
La
speranza dei beni futuri Lo Spirito santo, «caparra
della nostra eredità» (Ef
1,14) Già
la confessione di Gesù Cristo, nel secondo articolo, aveva orientato lo
sguardo al futuro, nell'attesa di colui che «verrà a giudicare i vivi e i
morti». Lo
Spirito è stato lasciato da Gesù ai suoi discepoli come 'consolatore',
perché non restino 'orfani' e vivano questo tempo di attesa nella fiducia,
sostenuti dalla forza di Dio, e perché penetrino sempre più a fondo «nella
verità tutt'intera» (Gv 16,13). Lo
Spirito santo è quindi colui che dà la forza di vivere le prove quotidiane
della vita; colui che rinsalda, in seno a queste prove, lo spirito dei
credenti, proteso verso i beni promessi e che possono sin d'ora cominciare ad
accogliere nella fede. In
Cristo, dichiara la Lettera agli Efesini (1,13), «voi avete creduto, e siete
stati segnati dal sigillo dello Spirito promesso, lo Spirito santo, caparra
della nostra eredità fino alla liberazione finale, quando ne prenderemo
possesso a lode della sua gloria». Similmente,
nella Lettera ai Romani, san Paolo evoca questa attesa impaziente del pieno
possesso, le cui primizie già ci sono state donate con lo Spirito: Sappiamo
bene, infatti, che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie
del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie
dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la
redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati
(Rm 8,22-24). Lo
Spirito santo è il sostegno e il nutrimento di questa speranza. Egli sostiene
incessantemente i credenti, li tiene vigili, e ispira e anima la loro
preghiera: «Lo Spirito - prosegue Paolo nello stesso testo - viene in aiuto
alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente
domandare; ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili»
(Rm 8,26). Lui, abitando nei cuori dei fedeli, fa mormorare loro le parole
stesse di Gesù: «Abbà - Padre!» (Rm 8,15; Gal 4,6). Similmente, dichiara ancora
Paolo, nessuno può confessare in verità la fede cristiana, «nessuno può dire
'Gesù è Signore', se non nello Spirito santo» (1 Cor 12,3). Lo Spirito anima
il grido: «Maranathà! Vieni, Signore Gesù!» (1 Cor 16,22, Ap 22,20). Lo
Spirito fa vivere, nella fede e nella preghiera, il tempo dell'attesa e
della speranza. «...La risurrezione della
carne...» La
risurrezione della carne designa per antonomasia l'oggetto della speranza
cristiana, quale opera specifica dello Spirito santo di Dio. Nel linguaggio
biblico, a cui il Simbolo degli apostoli è ancora molto vicino, la 'carne'
designa l'uomo nella sua debolezza e impotenza fondamentale. Il credo
niceno-costantinopolitano ha potuto tradurre la stessa idea parlando di
risurrezione dei morti, che rappresenta esplicitamente come oggetto di una
attesa: «Aspetto la risurrezione dei morti». Non è appunto davanti alla
morte e nella morte che l'uomo fa l'esperienza della propria radicale
debolezza, della propria radicale impotenza? La
formula «risurrezione della carne» sottolinea inoltre che il nostro essere
concreto, e non una qualsiasi sostanza eterea, è votato alla risurrezione.
Per questo la risurrezione può solo essere opera dello Spirito creatore:
quello stesso Spirito che «chiama il niente all'esistenza» e che «fa vivere i
morti» (Rm 4,17). Tale
opera dello Spirito, con la speranza che fonda, si estende indubbiamente al
di là della morte corporea. E tuttavia essa è già cominciata. Per questo
Paolo può parlare di 'caparra' e di 'primizie'. La nostra debolezza non si
manifesta unicamente nella morte, ma pervade la nostra quotidianità. In ogni
istante lo Spirito santo ci sostiene, permettendoci di aspettare con fede
salda il giorno in cui saremo tutti di Dio, nella condivisione del suo amore. «...La vita eterna...» La
vita in Dio, nella partecipazione al suo amore, è precisamente quella vita
eterna che viene richiamata alla fine del Simbolo, detta anche «la vita del
mondo che verrà» nella formula del credo niceno-costantinopolitano. «La
vita eterna - dichiara il vangelo di Giovanni - è che conoscano te, il solo
vero Dio, e colui che hai inviato» (Gv 17,3). Promessa
in pienezza per l'aldilà della morte, la vita eterna è iniziata sin d'ora,
nella misura in cui la vita di quaggiù si trova animata dallo Spirito di
Dio, ossia in comunione effettiva con il Padre e con il Figlio. «Ogni giorno
del nostro pellegrinaggio sulla terra è un dono sempre nuovo del tuo amore
per noi, e un pegno della vita immortale, poiché possediamo fin da ora le
primizie del tuo Spirito, nel quale hai risuscitato Gesù Cristo dai morti, e
viviamo nell'attesa che si compia la beata speranza nella Pasqua eterna del
tuo regno». La
'vita eterna' non va tanto intesa come una vita indefinitamente estesa,
quanto come una vita intensa, qual è la vita stessa di Dio. Il tempo
costituisce una delle forme della nostra debolezza e dispersione, di quel
'disavanzo' continuo che ci colpisce. L'eternità, al contrario, è presenza
viva, pienezza che permette di essere perfettamente se stessi essendo
perfettamente per gli altri nell'amore. L'eternità è in primo luogo una
qualità intrinseca della vita di Dio; e solo potrà essere data in pienezza
quando la morte avrà liberato la vita presente da tutte le infermità delle
quali il corpo mortale è segno. «Amen» Quando
il fedele pronuncia quest'ultima parola, attesta, come già abbiamo detto, di
voler far sue tutte le affermazioni del Simbolo, di riconoscersi in esse come
in ciò che lo fa vivere. |