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il PADRE NOSTRO / 1

 

testo originale di MATTEO (6,7-13)

testo originale di LUCA (11,1-4)

Padre nostro

Padre

Che sei nei cieli

 

Sia santificato il tuo nome

Sia santificato il tuo nome

Venga il tuo regno

Venga il tuo regno

Sia fatta la tua volontà

 

Sulla terra come in cielo

 

Donaci oggi il nostro pane fino a domani

Donaci ogni giorno il nostro pane fino a domani

E rimetti a noi i nostri debiti

E perdonaci i nostri peccati

Perchè anche noi abbiamo perdonato

Perchè anche noi perdoniamo

Ai nostri debitori

A ogni debitore

Non ci indurre in tentazione

E non ci indurre in tentazione

Ma liberaci dal maligno

 

 

PADRE

 

La parola Padre rivolta a Dio non è esclusiva degli Ebrei. Tanti popoli antichi l'hanno usata.

Nelle religioni indiane è usata la parola «padre » per designare il cielo e la parola « madre » per designa­re la terra: i due princìpi che danno origine all'univer­so.

1 popoli Sumeri della Mesopotamia, i più antichi conoscitori della scrittura, possedevano un inno al Dio lunare Sin, in cui chiamavano Dio « Padre miseri­cordioso».

Nella civiltà greco-romana sovente Zeus, Giove, è chiamato « padre degli dèi e degli uomini ». Il filosofo Platone chiama col nome di Padre l'idea del bene, la suprema realtà.

Gli Ebrei hanno usato nella Scrittura il nome di «Padre » applicandolo a Dio in senso metaforico: lo si trova quindici volte nell'Antico Testamento.

Ecco alcuni testi:

 

Dt 32,6:

«Il Signore non è vostro Padre? Non è quello che vi ha creati, che vi ha fatti, vi ha sostenuti?».

Is 64,7:

«Sì, Signore, tu sei nostro padre, noi siamo come la creta e tu sei il vasaio, noi siamo tutti opera delle tue mani».

Ger 31,9:

«Io sono un padre per Israele».

Sal 102,13:

«Come è la tenerezza di un padre verso il figlio così è la tenerezza del Signore verso quelli che lo cercano».

Prv 3,12:

« Il Signore riprende colui che egli ama come un padre fa col figlio prediletto».

Sir 23,1:

«Il Signore è padre e madre della mia vita».

 

Però spetta a Gesù il merito di avere portato sulla terra la nozione vera di Dio-Padre.

Per gli Ebrei la parola « padre » è sempre usata in modo metaforico ed è applicata a Israele come collet­tività. Nel Nuovo Testamento la parola « padre » com­pare 170 volte.

Anzi, Gesù va oltre. Quasi sicuramente quando Gesù usava questa parola rivolta a Dio, usava il ter­mine aramaico Abbà, la parola usata dal bambino quando chiamava il papà.

Il Talmud afferma che un bimbo si deve slattare quando è capace a dire Immà (mamma) e Abbà (papà). Questa usanza di Gesù è attestata dalla tradi­zione che fa capo a Marco ed è confermata da Paolo. L'evangelista Marco dice che Gesù al Getzemani prega: « Abbà... tutto ti è possibile, allontana da me questo calice » (14,36). Si tratta certamente di una espressione abituale di Gesù, altrimenti Marco non l'avrebbe usata in questo momento così solenne e tra­gico.

Rivolgere a Dio questa parola era scandaloso per gli Ebrei, e Gesù la usa. Paolo ci esorta a usare anche noi questa parola, e ce ne dà la ragione: « Poiché voi siete figli, Dio ha infuso nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà (papà), così tu non sei più schiavo, ma figlio » (Gal 4,6s).

Anche nella lettera ai Romani ribadisce: « Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi da ripiombare nella paura, ma voi avete ricevuto uno spirito di ado­zione a figli, in cui gridiamo: Abbà. Lo Spirito stesso

ce lo testimonia che noi siamo figli di Dio » (Rm 8,15). Non siamo servi, ma a motivo dell'inserimento in Gesù siamo figli veri di Dio, per questo abbiamo il di­ritto di chiamare Dio col nome di Padre.

Non è più una metafora, è una realtà: la vicinanza di Dio a noi supera, per Gesù, il vincolo del sangue. Anche san Giovanni lo ribadiva ai primi cristiani: « Guardate che amore ci ha dimostrato il Padre, per­ché ci ha chiamati figli di Dio. Sì, noi lo siamo! » (1 Gv 3,1).

 

PADRE NOSTRO

 

Gesù insegna a pregare al plurale.

Nessuna invocazione del « Padre nostro » è al sin­golare, nemmeno la richiesta del perdono dei peccati. Ciò significa che Gesù concepisce la preghiera non so­lo come una elevazione a Dio, ma anche come un'a­pertura profonda ai fratelli.

« Ciascuno di noi deve sentirsi in relazione filiale con Dio. Ma questa presa di coscienza "verticale" è inseparabile da quella "orizzontale" della nostra unione, nello Spirito, con tutti i fratelli » (Troadec).

« Quando diciamo "Padre nostro" non intendia­mo solo dire che preghiamo con Cristo, ma che in lui noi preghiamo con tutti gli uomini che vivono in lui, con tutta l'umanità presente e passata, perché in lui la morte non conta più. Noi preghiamo anche con Ma­ria, con Pietro, con Paolo, con Francesco, con Dome­nico, con Ignazio, noi preghiamo con tutte le persone amate che non sono più e che ora sono rinati in Cri­sto » (Peter Calvay, eremita).

La parola « nostro » rappresenta da sola il contesto di tutta la preghiera. La preghiera ci deve far uscire da noi stessi e, gradualmente, portarci dentro il mondo di Cristo e, attraverso di lui, nel mondo dei fratelli e di tutta l'umanità.

 

CHE SEI NEI CIELI

 

Nella mentalità ebraica esistevano più cieli: per gli Ebrei Dio abitava nella parte inaccessibile (cf Sal 103).

L'espressione: « che sei nei cieli » sottolinea la tra­scendenza di Dio, la sua infinita grandezza.

Il contrasto con l'inizio è vivo e ricco di profon­dità: la parola « Padre » parla di intimità, di vicinanza, la parola « che sei nei cieli » parla di trascendenza, di infinito.

Una espressione completa l'altra. Dio ci è Padre, ci è intimo, perché? Perché è l'Infinito, il Trascen­dente.

L'islamita quando prega esprime sempre la sua ammirazione per la trascendenza di Dio, ma Gesù ci insegna che non basta essere abbagliati dalla trascen­denza di Dio, bisogna essere inteneriti dalla sua bontà, dalla sua vicinanza a noi.

« Padre » - « che sei nei cieli », due concetti quasi contraddittori che diventano nella preghiera di Gesù due concetti complementari.

Significano: Padre, tu che sei l'Infinito, cioè l'onni­potente, l'onnipresente, il trascendente... tu ci sei Pa­dre, noi siamo un tutt'uno con te.

 

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