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il PADRE NOSTRO / 1 |
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PADRE La
parola Padre rivolta a Dio non è esclusiva degli Ebrei. Tanti popoli antichi
l'hanno usata. Nelle
religioni indiane è usata la parola «padre » per designare il cielo e la parola
« madre » per designare la terra: i due princìpi che danno origine
all'universo. 1
popoli Sumeri della Mesopotamia, i più antichi conoscitori della scrittura,
possedevano un inno al Dio lunare Sin, in cui chiamavano Dio « Padre misericordioso». Nella
civiltà greco-romana sovente Zeus, Giove, è chiamato « padre degli dèi e
degli uomini ». Il filosofo Platone chiama col nome di Padre l'idea del bene,
la suprema realtà. Gli
Ebrei hanno usato nella Scrittura il nome di «Padre » applicandolo a Dio in senso
metaforico: lo si trova quindici volte nell'Antico Testamento. Ecco
alcuni testi:
Però
spetta a Gesù il merito di avere portato sulla terra la nozione vera di Dio-Padre. Per
gli Ebrei la parola « padre » è sempre usata in modo metaforico ed è
applicata a Israele come collettività. Nel Nuovo Testamento la parola «
padre » compare 170 volte. Anzi,
Gesù va oltre. Quasi sicuramente quando Gesù usava questa parola rivolta a
Dio, usava il termine aramaico Abbà, la parola usata dal bambino quando
chiamava il papà. Il
Talmud afferma che un bimbo si deve slattare quando è capace a dire Immà
(mamma) e Abbà (papà). Questa usanza di Gesù è attestata dalla tradizione
che fa capo a Marco ed è confermata da Paolo. L'evangelista Marco dice che
Gesù al Getzemani prega: « Abbà... tutto ti è possibile, allontana da me
questo calice » (14,36). Si tratta certamente di una espressione abituale di
Gesù, altrimenti Marco non l'avrebbe usata in questo momento così solenne e
tragico. Rivolgere
a Dio questa parola era scandaloso per gli Ebrei, e Gesù la usa. Paolo ci
esorta a usare anche noi questa parola, e ce ne dà la ragione: « Poiché voi
siete figli, Dio ha infuso nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che
grida: Abbà (papà), così tu non sei più schiavo, ma figlio » (Gal 4,6s). Anche
nella lettera ai Romani ribadisce: « Voi non avete ricevuto uno spirito da
schiavi da ripiombare nella paura, ma voi avete ricevuto uno spirito di adozione
a figli, in cui gridiamo: Abbà. Lo Spirito stesso ce
lo testimonia che noi siamo figli di Dio » (Rm 8,15). Non siamo servi, ma a
motivo dell'inserimento in Gesù siamo figli veri di Dio, per questo abbiamo
il diritto di chiamare Dio col nome di Padre. Non
è più una metafora, è una realtà: la vicinanza di Dio a noi supera, per Gesù,
il vincolo del sangue. Anche san Giovanni lo ribadiva ai primi cristiani: «
Guardate che amore ci ha dimostrato il Padre, perché ci ha chiamati figli di
Dio. Sì, noi lo siamo! » (1 Gv 3,1). PADRE
NOSTRO Gesù
insegna a pregare al plurale. Nessuna
invocazione del « Padre nostro » è al singolare, nemmeno la richiesta del
perdono dei peccati. Ciò significa che Gesù concepisce la preghiera non solo
come una elevazione a Dio, ma anche come un'apertura profonda ai fratelli. «
Ciascuno di noi deve sentirsi in relazione filiale con Dio. Ma questa presa
di coscienza "verticale" è inseparabile da quella
"orizzontale" della nostra unione, nello Spirito, con tutti i
fratelli » (Troadec). «
Quando diciamo "Padre nostro" non intendiamo solo dire che
preghiamo con Cristo, ma che in lui noi preghiamo con tutti gli uomini che
vivono in lui, con tutta l'umanità presente e passata, perché in lui la morte
non conta più. Noi preghiamo anche con Maria, con Pietro, con Paolo, con
Francesco, con Domenico, con Ignazio, noi preghiamo con tutte le persone
amate che non sono più e che ora sono rinati in Cristo » (Peter Calvay,
eremita). La
parola « nostro » rappresenta da sola il contesto di tutta la preghiera. La
preghiera ci deve far uscire da noi stessi e, gradualmente, portarci dentro
il mondo di Cristo e, attraverso di lui, nel mondo dei fratelli e di tutta
l'umanità. CHE SEI
NEI CIELI Nella
mentalità ebraica esistevano più cieli: per gli Ebrei Dio abitava nella parte
inaccessibile (cf Sal 103). L'espressione:
« che sei nei cieli » sottolinea la trascendenza di Dio, la sua infinita
grandezza. Il
contrasto con l'inizio è vivo e ricco di profondità: la parola « Padre »
parla di intimità, di vicinanza, la parola « che sei nei cieli » parla di
trascendenza, di infinito. Una
espressione completa l'altra. Dio ci è Padre, ci è intimo, perché? Perché è
l'Infinito, il Trascendente. L'islamita
quando prega esprime sempre la sua ammirazione per la trascendenza di Dio, ma
Gesù ci insegna che non basta essere abbagliati dalla trascendenza di Dio,
bisogna essere inteneriti dalla sua bontà, dalla sua vicinanza a noi. «
Padre » - « che sei nei cieli », due concetti quasi contraddittori che
diventano nella preghiera di Gesù due concetti complementari. Significano:
Padre, tu che sei l'Infinito, cioè l'onnipotente, l'onnipresente, il
trascendente... tu ci sei Padre, noi siamo un tutt'uno con te. |