Parrocchia di
S. Ambrogio in Mignanego (GE) |
strumenti di riflessione |
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Introduzione 1° Comandamento - 2° Comandamento
- 3° Comandamento - 4° Comandamento 5° Comandamento - 6°-9° Comandamento/1
- 6°-9°
Comandamento/2 7°-10° Comandamento - 8° Comandamento |
il 3°
Comandamento Non
pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio |
Dice:
«Ricordati di santificare le feste». Siamo intanto ricondotti alle parole del
Deuteronomio: «Osserva il giorno del Sabato per santificarlo, come ti ha
ordinato Jahvè , tuo Dio» (Dt 5,12) per intendere questo comandamento, ma
poi dobbiamo vederlo nella luce della "festa cristiana". Già i due
primi comandamenti comprendono, come abbiamo visto, l'onore, la gloria, il
culto che con animo religioso abbiamo da rendere a Dio e perciò ci hanno già
introdotti nella relazione di preghiera, di lode, per riconoscere quel che
Egli è ed ha fatto per noi, per esaltare il Suo Nome dove si scopre, nel
mistero, tutto questo. Ma
non dimentichiamo che «piacque a Dio santificare e salvare gli uomini non individualmente
e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo che lo riconoscesse
nella verità e santamente lo servisse» (LG n. 9). Di più la necessità anche
di un culto esterno e pubblico cui si deve dedicare un tempo proprio. Per
Israele, l'antico Popolo di Dio, c'era il "Sabato", giorno di
riposo dell'uomo, inteso poi ad imitazione del "settimo giorno" in
cui Dio si riposò dall'opera della creazione, secondo la narrazione popolare
della Genesi. La legislazione sacerdotale nell'Antico Testamento caratterizza
infatti il "settimo giorno" degli Israeliti come un giorno in cui
essi imitano il riposo sacro di Dio (Es 31,13; Gen 2,28) e il Sabato fu loro
donato, perché sapessero, come si legge in Ezechiele, che «sono io, il
Signore, che li santifico» (Ez 20,12). Essi rispondevano
"santificando" questo giorno (Dt 5,12), con la "santa
convocazione" (Lv 23,3), offerte, sacrifici (Nb 28,9, ecc). La nostra Pasqua Gesù
non abolì esplicitamente la legge del Sabato, anche se se ne dichiarò Signore,
ma con Lui l'antico tempo è passato e il nuovo "riposo" che
guardarono i Suoi discepoli è quello in cui Cristo, il Signore risorto, è
entrato ascendendo ai cieli e sedendo alla destra del Padre. Il
vero Sabato. sarà allora la celebrazione della Pasqua del Signore glorioso,
assiso nei cieli. È la nostra Domenica, cui si aggiungono nell'anno
liturgico, sempre incentrate sulla Pasqua, le grandi feste che celebrano i
misteri di Cristo, nei quali entra pure Maria Sua madre, e che il catechismo
ci ha abituati a chiamare "le altre feste comandate". Spetta
infatti alla Chiesa, come fu per la Domenica, dichiararle tali o anche
abolirne, per gravi necessità, qualcuna. Il
terzo comandamento, che chiede di onorare Dio nei giorni di festa con atti di
culto esterno, per noi cristiani si risolve nella "festa"
cristiana incentrata nell'Eucaristia. Ma dobbiamo subito dire che "il
giorno del Signore" va visto tutto intero come un giorno
"diverso", la cui diversità tutto l'abbraccia. Si
estende infatti anche per noi nel "riposo" non solo come segno di
un diritto umano a riposarsi dalla dura esistenza dei giorni che lo precedono
e lo seguono e segno di una vita "umana" liberata, ma
particolarmente come un giorno in cui la comunità cristiana convocata vive
il "memoriale" della morte e resurrezione di Cristo e si manifesta
accentuatamente pasquale in tutto il suo comportamento. Esso
purtroppo ha perso per molti cristiani il suo senso e la sua identità, come
mostrano i moltissimi che più non lo celebrano, lontani ormai dal culto
cristiano sacrificale e sacramentale, e quanti lo vivono male in una
"laicizzazione" della festa che è diventata baldoria e consumismo. Il
"giorno del Signore" riacquista la sua vera identità quando la
partecipazione alla Celebrazione Eucaristica, cosciente e responsabile, lo
caratterizza come deve. È il punto essenziale con cui oggi si risponde al
terzo comandamento di Dio e rimane grave l'esimersene. L'Eucaristia,
sacrificio e sacramento insieme costituisce il centro di tutto il culto
della Chiesa ed è in essa, come si legge nei documenti del Concilio, che «è
racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo,
nostra Pasqua e Pane vivo che, mediante la Sua carne vivificata dallo Spirito
Santo e vivificante, dà vita agli uomini, i quali sono in tal modo invitati
e indotti ad offrire insieme a Lui se stessi, il proprio lavoro e tutte le cose
create» (PO n. 5) Nel
Sacrificio della Messa, che ha come suo compimento la mensa del Corpo del Signore
a noi dato, è il cardine e la sintesi dell'essere e dell'operare della
Chiesa. È la nostra Pasqua viva, che realizza, nel modo più pieno la
presenza del Risorto e, mentre è "memoriale" della morte e
resurrezione del Signore cambia ora la nostra vita e ci proietta,
responsabili e attivi, nel futuro dell`ultimo giorno" quando la
salvezza si compirà perfettamente nella "gloria". Il prolungamento personale e
comunitario della preghiera E
intorno all'Eucaristia il riposo domenicale e festivo dalle "opere
servili", e da qualunque opera che ci impedisca il culto cristiano, ci permette
la riflessione cristiana sulla Parola che nell'Eucaristia è stata
proclamata, il prolungamento personale e comunitario della preghiera.
Egualmente dall'Eucaristia si prende la forza per attuare in modo più intenso
l'amore dei fratelli cui particolarmente essa ci fa riferire. Così la
"festa" cristiana si esprime nella "fraternità" del
Popolo di Dio, con le manifestazioni concrete che dovrebbero accompagnarla:
il soccorso degli "ultimi" e degli emarginati, il conforto ai
malati, la visita e l'incontro con i vicini e la preoccupazione più ampia
delle necessità delle "Chiese sorelle" sparse nel mondo. 11
completamento del giorno "diverso" che è la Domenica si nanifesta
poi nella gioia comune, nella 'Testosità" di cui esso dovrebbe essere
sempre alimentatore per dare senso "umano" davvero, perché
cristiano, anche a tutte le buone iniziative di sollievo che vi si prendono. Affinché
tutto ciò si avveri ampiamente è dovere di tutti i credenti che vivono nelle
comunità ecclesiali di collaborare ad una pastorale più adeguata del
"giorno del Signore", sicché l'adempimento cristiano del dettato
del terzo comandamento ritrovi il più largo consenso e non rimanga più, per
troppi, formalistico e in definitiva irresponsabile. Siamo davvero gli "amici" Dicevamo
all'inizio che i comandi del Signore non pesano, ma liberano, perché sono
nell'aria della "amicizia". L'esposizione
dei primi tre comandamenti che Lo riguardano, specie se assunti e vissuti
nella "novità cristiana", ce lo hanno dimostrato. Fatti
"uomini nuovi" nel nuovo Popolo di Dio, che è la Chiesa, siamo
realmente nella amicizia di Dio. Così si riguardano queste tre fra le
"dieci parole", come una base che rimane per essere trascesa e
trasformata dal nuovo rapporto con Dio secondo la "grazia
dialogale". Gesù che è venuto a "compiere" e non ad abolire ci
dà la dimensione nuova con cui si cerca Dio, lo si adora, lo si glorifica e
gli si rende il culto che, nei tempi nuovi, Gli è dovuto. Allora
rileggendo i tre "comandamenti" con "gli occhi illuminati
della mente" (Ef 1,18), che sono dono dello Spirito, e vedendoli nella
nuova luce dei "figli di adozione" si può comprendere, pure a loro
riguardo, la verità del detto di Gesù: «Il mio giogo è dolce e il mio carico
leggero» (Mt 11,30). E osservare i nostri doveri verso Dio, lottando contro
tutto ciò che vi si contrappone, diventa amabile. Nel
rapporto di amicizia con Lui, consci dei doni che ci sono stati dati,
sull'ala della "gratitudine", il comando perde ogni suo senso di
pesantezza e si può dire, attenti amorosamente al volere di Dio, con il
Salmista: «Come gli occhi dell'ancella alla mano della sua padrona, così i
nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio» (Sol 122,2). Questi occhi,
come dicevamo, sono "illuminati" per leggere dentro il Suo comando
e rispondervi è, per amore, solerzia senza indugi. E
via via che rispondiamo è possibile non solo intendere sempre meglio che
anche nell'Antico Testamento tutti i comandi di Dio sono raccolti nel
comandamento dell'amore di Dio e del prossimo (Mc 12,28-31), ma che essi
trovano la più forte radicalizzazione nel Discorso della montagna espresso da
Gesù e nel Suo "comandamento nuovo" che porta a perfezionare la
legge e i profeti. E mentre realizziamo la "religione" verso Dio
secondo la "novità cristiana" possiamo essere con la vita, con la
parola, il gesto e il silenzio, i Suoi adoratori "in spirito e
verità" (Giov 4,23). E ciò nella comunità cristiana si compie con quella
inesorabile tensione missionaria che ci porta a far sì che Dio sia da tutti
riconosciuto e da tutti adorato. Perché l'osservanza del comando di Dio nel
Nuovo Testamento si attua ancora in un Popolo, nel nuovo Popolo di Dio che è
missionario. Insieme
dunque alla risposta della coscienza personale c'è una risposta di Chiesa e
di Chiesa apostolica e missionaria. Non potremmo pensare d'aver compiuto la
volontà di Dio che «vuole che tutti gli uomini siano salvi» (1 Tim 2,4)
chiudendoci in un rapporto individuale con Lui, ma dandoGli l'onore e la
gloria con la testimonianza pubblica di un Popolo che deve estendersi «fino
agli estremi confini della terra» (Atti 13,47). Se
diciamo nel "Padre nostro": "Sia santificato il Tuo nome"
lo diciamo con lo sguardo dilatato al mondo e aggiungendo: "Venga il
Tuo Regno". Così si vivono appieno anche i primi tre comandamenti del
"decalogo ", raccontando a chiunque la Bontà, la Bellezza, la
Verità e la Grandezza, di Dio "nostro amico". |