Parrocchia di
S. Ambrogio in Mignanego (GE) |
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Sesso
con chiarezza Il discorso sul sesso, oggi, è di obbligo.
Al contrario di ieri (cioè, fina a non molti anni fa), quando se ne parlava
sottovoce e con qualche imbarazzo. È un bene o un male questo diverso modo di
comportarsi, che non senza il tono trionfalistico del conquistatore moderno
si chiama «fine di un tabù» e inizio di una «civiltà nuova», liberante le
coscienze ed i costumi sociali dall'incubo di una «inibizione?» La risposta all'interrogativo potrà venire - speriamo, «chiara» - da quanto, sia pure scheletricamente, si dirà in questa conversazione. Prendere atto della realtà Intanto, è doveroso prendere atto della realtà che è sotto i nostri occhi. Una realtà, penetrata ormai nel tessuto del vivere sociale e, di riflesso, anche nella mentalità e nel comportamento dei singoli, cristiani non esclusi. L'uso degli stimoli sessuali, egemonizzato dagli strumenti della comunicazione sociale, a loro volta manovrati abilmente da centrali ideologiche e... commerciali, non ha quasi più limiti o rèmore: nè da parte dei pubblici poteri, né da parte di molte coscienze individuali. Il sesso, anche nelle sue espressioni più intime o addirittura nelle sue perversioni, inonda le nostre vie, gira notte e giorno sugli schermi dei cinema e delle televisioni, ostenta le sue «prodezze» nei rotocalchi come nelle videocassette o nelle «buste pornografiche», entra indisturbato nelle case... La fiera del sesso La «fiera» del sesso. Ché di fiera o mercato, in ultima analisi, trattasi. L'insaziabile fame dell'«avere» ha trovato qui una formidabile fonte di guadagni: sesso «industrializzato» e poi messo in commercio, con un giro di affari da capogiro! Ma non basta prendere coscienza della vastità del fenomeno e di quello che ci sta «dietro». Il credente, istruito dalla parola di Dio e del magistero della Chiesa, non può ignorare che la sessualità, nel suo pieno significato, è un «valore» grande, donato dal Creatore all'uomo e alla donna: un «valore» ed una forza, che esercitano un'influenza poderosa in tutto l'essere umano. Il credente sa, inoltre, che a seguito della rottura introdotta dal peccato originale questa forza tende a ribellarsi ed ha quindi bisogno d'essere «educata» in armonia con la finalità ricevuta dal Creatore. E sa, infine, che la redenzione di Cristo ha purificato, elevato, nobilitato anche la sessualità, dando al cristiano la grazia per tenere nell'alveo giusto i propri impulsi, incanalandoli verso una crescita armonica della persona e «sacrificandoli» in una oblazione superiore per un amore e una fecondità «nuovi». Quanti cristiani, però, sanno queste cose? All'alba della creazione Partiamo da un'affermazione fondamentale: la parola di Dio riconosce alla sessualità il valore di una dimensione costitutiva dell'uomo e della donna; questa dimensione «umana» è voluta da Dio stesso, che le affida un ruolo specifico nel Suo piano creativo come in quello redentivo. Possiamo sintetizzare questa funzione della sessualità nel piano divino con le parole di Léon-Dufour (Dizionario di teologia biblica, Marietti 1967, col. 321): «Dio, la cui pienezza sovrabbondante è fecondità oltre ogni misura, ha creato Adamo a sua immagine, ad immagine di quel Figlio unico che esaurisce da solo la fecondità divina ed eterna. Per realizzare questo mistero, l'uomo trasmettendo la vita, comunica nel corso del tempo la propria immagine, sopravvivendo così nelle generazioni» e cooperando a realizzare il disegno di Dio. La sessualità, in se stessa, è dunque «buona» come ogni aspetto della creazione: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1, 31). Non solo «buona», ma «sacra»: e per la sorgente da cui scaturisce e per gli scopi a cui è destinata. Il peccato dell'uomo, che aggredisce questa «bontà» ferendola gravemente e turbando l'armonia del piano divino, viene «dopo» e non può comunque cancellare ciò che è intrinseco alla «natura» della sessualità. Le due narrazioni del Genesi - la prima detta «sacerdotale» e la seconda «jahvista» - mettono, al centro dell'atto creativo di Dio, la creazione dell'«uomo », cioè della specie umana, che è formata dal maschio e dalla femmina. Gli esseri compaiono in gerarchia, sempre più nobili e perfetti; al vertice, il capolavoro, l'uomo. Esso è plasmato da Dio con un'azione specialissima, solenne persino nel linguaggio, per sottolineare che l'uomo, se da un lato è pur lui figlio della natura nella sua corporeità, dall'altro le è immensamente superiore, perché intelligente e libero, immagine vivente del Creatore. Ebbene, l'uomo è - come si dice oggi - un essere «sessuato». Canta la narrazione della Genesi: «Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (l. 27). Il «perché» del sesso Seguiamo, sia pur brevemente, le pagine della Genesi. La sessualità, nell'uomo e nella donna, viene dal Creatore come valore che segna l'essere umano, non soltanto da un punto di vista fisiologico, ma anche psicologico e spirituale: per cui l'uomo (maschio) e la donna formano due tipi dell' «essere umano», diversi ed insieme complementari. Questa diversità e complementarietà non riguarda unicamente l'atto procreativo, ma investe la vita umana nelle sue dimensioni affettive, psichiche, spirituali. Quando Dio dice: «Facciamo l'uomo a nostra immagine e .somiglianza», «l'uomo» non significa «il maschio» ma la «specie umana». Cioè, uomo e donna sono «diversi», non «diseguali»: la differenza dei sessi non comporta, nel piano del Creatore, una differenza di condizione o dignità a favore dell'uomo nei confronti della donna; l'uno e l'altra, essendo fatti «a immagine» di Dio, hanno un'uguaglianza essenziale per quanto attiene alla dignità di persone libere, ai diritti e doveri fondamentali, alla vocazione trascendente. «Dio creò l'uomo a sua immagine... maschio e femmina li creò» (Gen 1, 27). Non c'è stacco o differenza. Come non c'è nella «benedizione», che segue immediatamente: «Dio li benedisse e disse loro: 'Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate... » (Ivi 1, 28). La diversità-complementarietà nella eguaglianza essenziale dell'uomo e della donna è confermata dalla redazione «jahvista» del racconto biblico. «Dio disse: `Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile'» (Ivi 2,18). Questo «aiuto simile» l'uomo non lo trova negli animali del creato, ma soltanto nella «donna», perché soltanto la donna è «carne dalla sua carne e osso dalle sue ossa» cfr. ivi 2,23): espressione tipicamente semitica, che sta a designare la stessa natura della donna e dell'uomo, ma insieme la loro differenza sessuale (maschio e femmina), che rende possibile e appetibile l'unione matrimoniale. «Per questo - continua il racconto biblico - l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una sola carne» (ivi 2,24). Nel disegno di Dio - indelebilmente «scritto» nella «natura» dell'uomo - la diversità dei sessi ha il suo «perché» mirabile: uomo e donna son fatti l'uno per l'altra e raggiungono lo scopo loro fissato l'uno attraverso l'altra, completandosi a vicenda nell'unità della coppia che fonda il matrimonio, dove si costituisce «una sola carne», cioè come un solo essere umano non più divisibile. Da questa unità indissolubile scaturisce, insieme con il reciproco «aiuto» nell'amore e nella comunione di vita, la trasmissione della vita stessa: «Siate fecondi e moltiplicatevi» (Gen 1,28). La rottura del peccato li sapiente disegno divino - lo sappiamo per fede elo sperimentiamo conformemente - non è stato però rispettato dall'uomo. Adamo ed Eva, tentati dall'«avversario» della loro felicità, si sono ribellati al comando del Creatore. E così in loro, «per una misteriosa solidarietà, tutti gli uomini hanno peccato ribellandosi a Dio, sicché il peccato ha invaso dolorosamente l'umanità, scatenando in essa altre innumerevoli ribellioni personali e procurandole ogni altra sofferenza e rovina. È il peccato originale« (il rinnovamento della catechesi, n. 93). Il racconto biblico, sobriamente ma incisivamente, mette l'accento sui riflessi drammaticamente gravi di questa disobbedienza dei progenitori al comando del Creatore. Una disobbedienza e ribellione che, ancor prima di essere consumata, ha corrotto il cuore dell'uomo; e poiché lo investe nel suo stesso rapporto con Dio, di cui è 1'«immagine» vivente, la perversione non potrebbe essere più radicale. Di fatto, Adamo ed Eva, che fino allora avevano goduto dell'amicizia e familiarità con Dio (Gen 2,25), ora che egli « torna nel giardino alla brezza del giorno», «si nascondono dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino » (ivi 3,8). Rottura con Dio e rottura tra di loro. Commesso il peccato, Adamo accusa Eva mettendo in crisi l'unione d'amore con la donna che Dio gli aveva dato come aiuto (ivi 2, 18), «carne dalla sua carne e osso dalle sue ossa» (2, 23). li castigo divino sancisce questa rottura: « Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà» (3, 16). La relazione tra uomo e donna, che avrebbe dovuto restare perfettamente eguale pur nella diversità dei sessi, il peccato l'ha snaturata: la donna cadrà sotto il «dominio» del maschio. La triste eredità Ogni uomo e donna, dopo la prima colpa, viene al mondo con questa triste «eredità». La Rivelazione le dà un nome preciso: «concupiscenza» (cfr. 2 Pt 1,4; 1 Gv 2,16). Il peccato originale, cioè, rompendo l'armonia del Creatore ha lasciato dentro l'uomo come un potere malefico, una tendenza o inclinazione al male, che perpetua e sviluppa il disordine del primo peccato. San Paolo dirà: «Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio... Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?» (Rom 7,18 ss.). Questo conflitto che lacera l'uomo, quasi sdoppiandolo in due realtà che si combattono, non si limita certo alla sessualità. Ma, scatenando il disordine nell'uomo, investe anche questa sua dimensione. E con quel fascino quasi violento, che è tutto proprio della potenza dell'istinto sessuale. È vero, il «disordine» morale, non è nell'istinto carnale: il bene e il male sono nel «cuore», vale a dire nella libera volontà. Così uno può essere, anzi deve essere, «spirituale» nell'uso del corpo servendosene secondo il provvidenziale disegno del Creatore e, dopo la redenzione di Cristo, trasformando il corpo in «strumento di giustizia per Dio» (Rom 6,13). Tuttavia, noi formiamo una «unità vivente» (corpo e spirito): e come l'uomo spirituale» (interiore) può «spiritualizzare» l'uso del sesso, anche l'«uomo carnale» (dominato dalla concupiscenza) può influire, eccome!, sull'«uomo spirituale» trascinandolo nel disordine e nel peccato. Oggi, anche come reazione a un'etica forse eccessivamente severa nei confronti della «carne», ci si abbandona a discorsi riguardanti il sesso che grondano ottimismo: fine dei «tabù», delle «inibizioni» ossesive e paralizzanti, «liberazione» da scrupoli ed incubi..., e tutto o quasi diventa «buono», positivo, costruttivo, lecito! La nostra dura esperienza quotidiana e lo scatenarsi fuori di noi d'un pansessualismo aberrante non ci dicono nulla? Realismo ed equilibrio cristiano Su questo punto - bisogna dirlo senza mezzi termini - c'è da fare una correzione di rotta, urgente e coraggiosa. Si, il mondo va in direzione opposta. Ma il credente basa il proprio criterio e comportamento morale, innanzi tutto, sulla parola di Dio insegnata e vissuta dalla Chiesa. Ora, partendo dalla realtà del peccato d'origine e dall'amaro frutto della concupiscenza che è dentro di noi, la parola di Dio su questo punctum dolens è chiara, forte insistente. Scrive Pietro ai primi cristiani che, a seguito della loro «partecipazione alla divina natura», essi devono «fuggire la corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza» (2 Pt 1,4). Giacomo incalza: « Ciascuno è attratto dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce; poiché la concupiscenza concepisce e genera il peccato, e il peccato, quand'è consumato, produce la morte» (Ge 1, 14-15). Giovanni, nella sua prima lettera, riprendendo il tema del «mondo» come «luogo» dominato dal principe del male, avverte che «se uno ama il mondo» (con la sua «consupiscenza della carne e la concupiscenza degli occhi»), «non c'è in lui l'amore del Padre» (1 Gv 1, 15 ss.). Sulla stessa linea l'apostolo Paolo, quando ad esempio scrive: «Fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; poiché, se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete» (Rom 8, 12-13; cfr. inoltre Gal 5,16 ss.; ecc.). La tentazione Dunque, la rottura operata dal peccato, anche se «riparata» dalla redenzione del Figlio di Dio fatto uomo, si ripercuote tuttora in noi: la «tentazione» è all'agguato ogni momento, noi possiamo ricadere sotto il dominio del peccato e «piegarci alle sue voglie» (Rom 6,12). Questa condizione investe tutto l'uomo: non soltanto la carne nel senso stretto, non soltanto la sfera sessuale, ma anche gli appetiti sensibili e quelli intellettuali. Accanto alla «concupiscenza della carne e degli occhi», l'apostolo Giovanni infatti pone «la superbia della vita» (1 Gv 2, 16): vale a dire, l'orgogliosa confidenza nelle ricchezze e la sua ostentazione, che portano al disprezzo del povero. Quadro desolante e deprimente? No! La parola di Dio mette il cristiano di fronte alla sua realtà, personale e collettiva, senza ingenui ottimismi. Ma, insieme, senza pessimismi. Chi legge per intero i documenti del magistero del Signore e degli Apostoli ne trae una visione realistica, ma niente affatto sfiduciata, sulla condizione del cristiano. È 1'«uomo nuovo», la «nuova creatura», profondamente liberato dal male e capace di vincere il male, che opera attraverso le suggestioni della concupiscenza. La sua «capacità di vittoria», pure insidiata da tutti i limiti che sono nel battezzato (uomo sempre libero e quindi soggetto al fascino dei desideri sregolati, del bisogno di «avere sempre di più», della soddisfazione insaziabile del lusso), questa capacità è legata alla potenza dell'azione del Cristo risorto: cresce o diminuisce, nella misura che il cristiano vive di Lui, in Lui, per Lui, docile agli impulsi del suo Spirito. I testi biblici, che portano la nostra visione sul versante della luce e del bene, della grazia e dell'amore, della nostra vittoria sul Maligno, costituiscono il dritto splendente della medaglia. Sono la ragione della fede incrollabile che ci sostiene nella lotta contro una sessualità disordinata, sono la segreta forza interiore che si sospinge al superamento della tentazione carnale, sono il canto della nostra speranza: « Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi... Voi, infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà» (Gal 5, 1 e 13). La libertà di chi porta un peso, ma lo porta con la grazia e la pace dello Spirito. E «ilfrutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé»(ivi 5, 22) Ecco: alla situazione drammatica del cristiano sempre sobillato dal «Nemico» fa riscontro, nella visione cristiana, l'esistenza esaltante di chi è mosso e sostenuto dallo Spirito, «che dà vita in Cristo Gesù», liberandoci «dalla legge del peccato e della morte»(Rom 8, 2), fino a farci cantare con l'apostolo Paolo: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi... Chi ci separerà dall'amore di Cristo?» (ivi 8, 31 e 35). La rottura dell'armonia - anche dell'armonia sessuale - si ricompone così nell'amore: nell'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore (ivi 8, 39), perché tutto si attua «in Cristo», il riconciliatore, il cuore e il culmine della storia umana. In Lui è la nostra «pace», cioè la ricomposizione e la dilatazione del mirabile disegno del Creatore. E come un giorno, «da principio», lo spirito di Dio (il «soffio» di Dio) aveva presieduto alla creazione del mondo e in particolare dell'uomo, un altro giorno, quello della Pentecoste, Dio procede a una nuova creazione, l'«uomo nuovo» rigenerato nel Figlio suo, Cristo Gesù (cfr. 2 Cor 5,17). «Ma da principio non fu così» Se vogliamo, perciò ritrovare la purezza e chiarezza del disegno di Dio, anche in ordine al delicato problema della sessualità, dobbiamo «leggere» le prime pagine della Genesi nella parola e nell'atteggiamento di Cristo. Rispondendo ai farisei che, «per metterlo alla prova», lo interrogano sulla liceità o meno del ripudio della propria moglie, Gesù cita il testo della Genesi (1, 27 e 2, 24) e ne deduce che, se concessioni contro l'indissolubilità del matrimonio vi furono da parte di Mosè, queste dipesero dalla «durezza del cuore» dei giudei, perché «da principio non fu così» (Mt 19, 8). «Da principio», cioè all'alba della creazione, prima che la disobbedienza di Adamo e di Eva venisse a rompere l'armonia del piano divino. Gesù riconduce il discorso alla purezza delle origini, lo ricollega alle intenzioni del Creatore. E seppure il suo discorso affronta più direttamente l'istituzione del matrimonio indissolubile, comprende anche il problema della sessualità, intrinsecamente legata al matrimonio. Come la «durezza del cuore» è intervenuta a scompaginare il piano divino della istituzione matrimoniale introducendo il «libello del ripudio» (forma di divorzio), così ha contaminato l'iniziale funzione della sessualità, ordinata da Dio all'unità dell'uomo e della donna nell'amore reciproco per la gioia della fecondità. Tornare «al principio» vuol dire riscoprire il senso genuino del sesso, il suo mirabile inserimento nel piano creativo di Dio, la sua autentica grandezza e nobiltà. II « Verbo della vita » (1 Gv 1, 1), fattosi carne e venuto ad abitare in mezzo a noi (Gv 1, 14), con la sua morte e risurrezione ci ha «riconciliati» con Dio: ci ha come ricondotti «alprincipio», all'aurora del tempo, donandoci in sé addirittura una partecipazione alla stessa «vita divina» (2 Pt 1,4). È la «nuova creazione» nella grazia del Redentore. E in essa l'«uomo nuovo» è «ri-creato» tutto intero: nel suo spirito e nel suo corpo. La sessualità nella concezione cristiana è dentro questa stupenda «nuova creazione», e rientra, salvata, nella sinfonia del comando divino come libera risposta d'amore: «Crescete e moltiplicatevi!» La nuova fecondità in Cristo La «redenzione» del Figlio di Dio non si esaurisce nella liberazione dell'uomo dalla colpa originale e, quindi, nella ricomposizione dell'ordine primo. Nel momento stesso che riconduce la coppia umanà all'indissolubilità del vincolo matrimoniale come era «da principio», annuncia una realtà nuova che capovolge le idee fino allora dominanti ed apre prospettive così ardite che «non tutti potranno capire» (Mt 19,11): è l'annuncio del "celibato", una "fecondità" diversa, non carnale ma spirituale, per il regno di Dio. Al tempo di Gesù, e più in genere al tempo dell' Antico Testamento, la fecondità che si esprime nella trasmissione fisica della vita umana era una «benedizione» del cielo, l'infecondità una «maledizione ». Eva, la madre dei viventi, al suo primo parto esplode nel canto di gioia: «Ho acquistato un uomo dal Signore»! (Gen 4,1). Il racconto del libro della Genesi è la storia delle generazioni dell'uomo. E il Signore scandisce solennemente questa storia con le sue benedizioni, che promettono una «discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare» (Gen 22,17). Spinto e confortato dalla benedizione divina, l'uomo sente inestinguibile il desiderio di sopravvivere con il proprio nome alla tomba. Cristo non estingue o frena questo desiderio di fecondità, ma vi innesta un senso nuovo, che eleva e dilata gli orizzonti della paternità-maternità fisica. La quale, d'altronde, non esauriva neppure prima di questo tutto il suo significato nel dono della vita, giacché la benedizione divina non si trasmetteva solo con il sangue: l'impulso immesso dal Creatore nella sessualità tendeva sì alla sopravvivenza, ma recava in sé anche l'anelito a poter vedere un giorno, in un figlio d'uomo, l'immagine perfetta di Dio. Un anelito che si realizza in Gesù Questo anelito si realizza e si placa in Cristo Gesù, «immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura» (Col 1, 15). Da Lui e in Lui la «fecondità» dilata i suoi spazi: diventa anche spirituale e scaturisce da una fonte nuova, la verginità della fede, che trova nella Madre di Gesù il modello sublime e come l'anticipazione della scelta verginale del Figlio. Gesù infatti, come Giovanni Battista, rimane vergine e insieme sposo spirituale della Chiesa, a sua volta vergine, sposa e madre: « Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef 5, 25). La nuova dimensione della fecondità verginale in Cristo, riceve da Lui anche le proprie connotazioni essenziali: non è un precetto, ma è un dono o carisma, che presuppone una chiamata personale di Dio; perciò comprendono il dono soltanto coloro «ai quali è stato concesso» (Mt 19,11); è un carisma dal profondo respiro «escatologico», poiché la scelta verginale è fatta «per il regno dei cieli» (Mt 19,12) ed i cristiani che fanno tale scelta sono un «segno» visibile della vocazione celeste della Chiesa, un'anticipazione di «quel mirabile connubio operato da Dio e che si manifesterà pienamente nel secolo futuro, per cui la Chiesa ha Cristo come unico suo sposo» (Perfectae caritatis, 12); è infine una consacrazione integrale al Signore, «che rende libero in maniera speciale il cuore dell'uomo (1 Cor 7,32-35), così da accenderlo sempre più di carità verso Dio e verso tutti gli uomini» (PC, 12). Visione integrale Quanto siamo venuti dicendo, in costante ascolto della parola di Dio, ci ha offerto una visione della sessualità, non certo completa e approfondita ma essenziale. Da tale visione nella sua globalità, non bisogna mai staccarsi, quando si discorre di questo bruciante problema o se ne sperimentano le difficoltà nella vita quotidiana. La «rottura», infatti, del peccato di origine si riflette, spesso drammaticamente, nella «tentazione» di vivisezionare la sessualità, accogliendone alcuni aspetti e trascurandone o respingendone altri. Si opera così una lacerazione nel disegno unitario ed armonico di Dio, con quei corollari esistenziali dissacranti o comunque mortificanti che ci fanno tanto penare. La sessualità, lo abbiamo già detto, è sacra perché voluta dal Creatore. È dunque in sé «buona». È un valore altamente positivo e meravigliosamente costruttivo. Il corpo non è da accettare come una gabbia o un destino, sebbene come una risorsa e un dono, che siam chiamati a sviluppare ed onorare in armonia con il disegno del Creatore. Ma c'è un «di più» nella nostra realtà e quindi anche nella sessualità, che è dono mirabile della incarnazione e redenzione del Figlio di Dio. Egli «si è fatto carne», ha assunto cioè la nostra umanità tutta intera (tranne il peccato) e tutta intera, spirito e corpo, l'ha salvata. La sessualità è dentro questa salvezza: purificata, elevata. «O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete ricevuto da Dio, e che non appartenete più a voi stessi? Infatti_ siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro carpo!» (1 Cor 6,19-20). Ma, è proprio questo «di più », che Cristo ci ha donato «a caro prezzo», a proclamare con la forza del suo sangue un'altra verità, troppo dimenticata: la potenza del male, vinto ma continuamente all'agguato per ricondurci a schiavitù, è sempre presente ed operante nella nostra vita. Lo è in particolare nella vita sessuale, dove la spinta alla «rottura» è più violenta e suggestiva, anche per l'ambiente sociale che provoca ed esalta l'esplosione «libera» del sesso. Accuse contro la visione sessuale
cristiana È diffusa l'idea e ricorrente l'accusa, secondo la quale l'etica sessuale cristiana sarebbe tipicamente «puritana»: una posizione morale, cioè che ritiene vi sia sempre qualcosa di intrinsecamente «impuro» nell'atto sessuale; di qui una sorta di invincibile diffidenza nei confronti del rapporto sessuale e del «piacere» che vi è connesso. Che qualche ombra di questo sospetto vi sia stata nella tradizione del passato, difficilmente lo si può negare. Tuttavia - lo si è visto - essa non trova conforto in una visione integrale della «fecondità» e della conseguente morale sessuale. Quando Gesù prende netta posizione contro l'«adulterio», fino a condannare severamente «chiunque guarda una donna per desiderarla» perché «ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5, 27), la sua condanna non riguarda il «piacere sessuale in sé», ma il «piacere» derivante dalla infedeltà al vincolo di amore con la propria moglie. Non morale «puritana», ma esigente e coerente, perché vuole il rapporto sessuale nella sua dimensione di autentico rapporto umano, impegnante l'uomo «dentro» perfino nei suoi desideri e sentimenti. Altra accusa mossa all'eti-ca sessuale cristiana è quella di un rigido «naturalismo». Il riferimento ad una «legge naturale» o norma morale, iscritta dal Creatore nell'essere stesso dell'uomo sessuato, è oggi contestato o negato da molti. Perché - si sostiene - quello che in passato poteva apparire rispondente ad una mentalità e ad un costume universale, non lo è più ai nostri giorni; la «natura» perciò deve cedere il posto alla «cultura» odierna che vede ed accetta solo un rapporto anche sessuale soltanto «personale», libero, spontaneo. Ora, che i rapporti uomo-donna debbano «personalizzarsi», nessuno lo mette in dubbio. Non però al punto, che nascano e si sviluppino sotto l'impulso arbitario dei protagonisti. Tali rapporti sono liberi, ma sempre nel rispetto di una linea fondamentale che non può cambiare, appunto perché iscritta nell'essere più profondo della sessualità: in questo senso sono in qualche modo «donati», prima ancora che «scelti». Il significato della «norma naturale» è, sostanzialmente, questo e non altro. L'averla rifiutata in nome della libertà personale ci ha portato al presente lassismo e pansessualismo, che è la profanazione dell'amore veramente umano, libero e fecondo. Educare la sessualità... La sessualità non si difende e non si onora, se non riconducendola alla funzione assegnatale da Dio all'alba della creazione. Per far questo, occorre oggi coraggio. La perversione dell'eros, o almeno la sua banalizzazione, è un fatto di dominio pubblico, anzi reclamizzato dalla nostra società come «abbattimento dei tabù» e «conquista di civiltà». Urge, perciò tra i giovani e gli adulti un'azione, equilibrata e serena, intesa a «educare» la sessualità. Non è questo il luogo per un discorso motivato sulla «educazione sessuale». Qui si vorrebbe appena sfiorare - quasi a guisa di sintesi conclusiva - qualche criterio ed orientamento. Un dovere urgente Innanzi tutto, sembra non si possa dubitare che un'azione educativa in questo delicato settore della vita umana è un dovere tra i più gravi ed urgenti. Un dovere che si impone, in primo luogo alle famiglie e alle comunità cristiane, non solo per «prevenire» abusi e deviazioni di carattere morale, ma ancor prima per formare le coscienze ad una piena e lucida visione della sessualità in armonia con il disegno di Dio. Il Concilio Vaticano II scrive: «I giovani siano in modo conveniente e tempestivo istruiti, molto meglio se in seno alla famiglia, sulla dignità dell'amore coniugale, sulla sua funzione e le sue espressioni; così che, formati alla scuola della castità, possano in età opportuna passare da un onesto fidanzamento alle nozze» (GS, 49). È un testo sobrio, ma ricco di importanti e sapienti indicazioni. Se una sottolineatura vi si può fare è quella di non attendere la vigilia delle nozze, per illuminare la coscienza dei nubendi sulla dignità e la funzione della sessualità: in una società come l'odierna, dove il sesso quando non è spregiudicata industria è comunque indirizzato su strade opposte a quelle cristiane, la deformazione delle coscienze e lo stimolo a «libere esperienze» cominciano già nella preadolescenza. Educare è più che informare È appena il caso di rilevare che una sana «educazione» della sessualità è qualcosa di ben diverso da una informazione di tipo fisiologico e genitale, o anche solo strettamente morale. Nell'uomo e nella donna la sessualità non può essere ridotta a semplice istinto, legato alla riproduzione della specie e denso di piacere erotico. È una funzione più complessa, che ha certo i suoi aspetti biologici importantissimi ma è anche, e soprattutto, pregnante di contenuti affettivi ed emotivi, per cui è legata alla dimensione in una visione integrale più profonda della personalità umana. L'azione educante, perciò, deve sempre tendere ad una visione integrale della sessualità, assai più estesa ed alta del rapporto sessuale in senso stretto, aperto al dono di sé, non egoista e chiusa al proprio piacere: distinta, in altre parole, da quella sessualità, «priva di sentimenti psichici, fine a se stessa, che costituisce una pseudosessualità, dove si hanno solo manifestazioni fisiche e rapporti genitali che, simile a una masturbazione vicendevole, rappresentano la scarica di tensioni neuro-ormonali» (E. Pasini). Governare con fortezza Non si dovrà tacere che la tensione sessuale, se vuole restare nel suo ordine e rispondere alla sua funzione, ha bisogno d'essere «governata» con fortezza. Senza un «dominio», non ansioso ma costante e vigile, la sessualità cede alla spinta erotica e l'amore diventa egoismo, consumo privato, fomite di passioni anche aberranti. Il dominio di sé nella sfera sessuale giustifica, anzi esige, la «continenza»: anche nella vita matrimoniale. È un'esigenza dell'amore autentico, perché un amore che non sa dominarsi non sa nemmeno donarsi in pienezza. Il pudore Né in questo cammino pedagogico dovrebbe mancare un'attenzione viva al senso del «pudore», sia nel parlare, sia nel guardare, sia soprattutto nel comportamento intimo ed in quello sociale. La cosiddetta «liberalizzazione del sesso» ha infranto, purtroppo, questo velo ed ha concorso ad abbassate a livelli paurosi la dignità di così grande valore. Il «tabù» qui non c'entra. Il sentimento del riserbo, e quindi anche del rispetto per tutto ciò che si riferisce al campo sessuale, è un sentimento «naturale»: puù essere influenzato, e lo è di fatto, dal contesto culturale in cui si vive, ma resta come una sorta di reverenza istintiva a protezione del « mistero » della vita. La «purezza», certo, è anzitutto nel cuore. Ma è anche nel costume del proprio vivere. Perché l'esistenza del cristiano è una realtà nuova e pura, è il «pane azzimo» senza lievito e senza fermento, chiamato perciò ad estirpare dalla propria esistenza ogni fermento di corruzione e di impurità, per essere in sé e di fronte agli altri testimone di purità e di verità (cfr. 1 Cor 5, 6 ss.). La fecondità Educare la sessualità - e questo criterio è essenziale - significa riconoscerne la «fecondità», non come nota marginale o scelta arbitraria ma come dimensione intrinseca. Significa, più in breve, restare fedeli al piano di Dio: nell'usare infatti «di questo dono divino distruggendo, anche parzialmente, il suo significato e la sua finalità, è contraddire alla natura dell'uomo come a quello della donna e del loro intimo rapporto, e perciò è contraddire anche al piano di Dio e alla sua volontà» (Humanae vitae, 12). È perciò sempre peccato, oggettivamente grave, separare nell'uso della sessualità il «significato unitivo» da quello «procreativo». Un principio morale, questo, che vale entro e fuori il matrimonio (contraccezione, onanismo, rapporti prematrimoniali, masturbazione, ecc.). «Ogggettivamente grave», abbiamo detto.
Ecco un'altra annotazione di estrema importanza nel processo educativo del
cristiano, anche in ordine al campo sessuale. Nel valutare l'aspetto morale di un
gesto, la sua gravità o meno, si deve sempre distinguere la norma oggettiva (presa
in sé) e il suo rapporto con il soggetto che quella norma infrange (cioè la
imputabilità o colpevolezza «soggettiva»). Ora, sul piano educativo i due aspetti
vanno chiaramente enucleati e distinti. Si può infatti dare il caso - e lo
si dà molte volte - che un disordine «oggettivamente» grave diventi
«soggettivamente» non grave: o per mancanza e insufficienza di cognizione
della norma violata, o per le circostanze e l'ambiente che accompagnano
l'infrazione della norma, o per altre cause. E - come avverte il documento Persona humana della Congregazione per la dottrina della fede - questo criterio di prudenza nel dare un giudizio circa la responsabilità morale del soggetto va tenuto presente in particolare nelle colpe di ordine sessuale, per le quali, «visto il loro genere e le loro cause, avviene più facilmente che non sia dato un libero consenso», e perciò diminuisca il grado di colpevolezza morale. |