Parrocchia di
S. Ambrogio in Mignanego (GE) |
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il 7° - 10°
Comandamento Non rubare
/ Non desiderare la casa del tuo prossimo |
L'uomo
e i beni Beni
materiali e lavoro, sono tra di loro strettamente connessi. Ambedue inoltre sono
in profondo rapporto con la persona che vive nella comunità umana. È sempre
l'uomo al primo posto sia quando lo vediamo intento al lavoro di
trasformazione delle cose, di produzione di beni e servizi, sia quando lo
vediamo impegnato nell'attività economica, considerata in tutti i suoi
elementi. Il lavoro è
un'attività dell'uomo. Anche l'economia è un fatto prodotto dall'uomo al
servizio dell'uomo. Per
comodità espositiva distingueremo la materia in due capitoli: l'uomo e i
beni; morale e spiritualità profèssionale. Per beni o
cose intendiamo tutte le realtà di ordine materiale, minerale, vegetale e
animale che sono inferiori all'uomo. C'è posto per la luna e le stelle come
per il ferro, i boschi e la selvaggina. Qual è il rapporto tra tutte queste
cose e l'uomo? Nel settimo
e decimo comandamento si mette in evidenza in linguaggio negativo (non
rubare e non desiderare) un complesso di valori positivi che la Sacra
Scrittura espone in varie parti. Vedremo successivamente. 1) La
destinazione universale dei beni. 2) Il
lavoro. 3) La proprietà privata e pubblica. Destinazione universale dei beni Prima del comandamento di non rubare ai singoli uomini c'è il comandamento di non rubare all'umanità. Dio infatti ha creato il mondo non per un solo uomo ma per tutti gli uomini di tutti i tempi e per il loro sviluppo completo. Ogni uomo e ogni popolo è destinatario (attraverso il possesso o l'uso) dei beni che sono necessari per la sua vita e per il suo sviluppo. Nessun bene è stato dato solamente ad un uomo o ad un popolo. Ogni uomo e ogni popolo deve usare dei beni tenendo conto delle esigenze degli altri. Ciò vale per le cose piccole e per le cose grandi; per i campi come per le fabbriche, per i mari come per gli stretti, per il petrolio come per il ferro e l'uranio. Prima ancora di dire se sia utile o lecito che una persona, un gruppo o un popolo abbia in proprietà certi beni è necessario affermare che ogni uomo, gruppo e popolo devono considerare i beni materiali come destinati a servire le esigenze di tutti, non escluse naturalmente le proprie esigenze. Nasce allora il problema di trovare nella storia i modi più adatti per far sì che i beni della terra servano ogni uomo e tutti gli uomini di ogni tempo. $ alla luce di questa impostazione di fondo che si comprende meglio il contenuto altamente positivo e innovatore del comandamento non rubare. Ruba anche chi usa male delle cose di cui è legittimo proprietario. Ruba, obiettivamente, anche chi detiene proprietà eccessive a danno obiettivo della libertà e dello sviluppo degli altri. Ruba chi amministra male o sperpera la ricchezza. Alla luce di quanto detto è evidente che alla proprietà giuridica dei beni bisogna premettere come valore normativo la consapevolezza morale di essere, sempre e comunque, amministratori dei beni per sé e per gli altri. È doverosa una ragionevole considerazione per quelli che verranno dopo di noi quando si usano le risorse del creato. Inquinamenti e sperperi sono deplorevoli anche da questo punto di vista. Nell'uso e nella produzione dei beni bisogna aver presenti tutti gli aspetti della vita dell'uomo per determinare ciò che è utile o necessario alla sua vita e al suo sviluppo. Questo è da produrre mentre non si deve produrre ciò che danneggia la vita e lo sviluppo dell'uomo. È una riforma di mentalità che ci viene richiesta per aiutare il nostro comportamento morale e per guidare la formulazione di norme giuridiche in costante adeguamento all'evolversi della situazione. Il lavoro Ne parleremo nel capitolo seguente. Qui basta ricordare che lo stesso Dio ha voluto sia la destinazione universale dei beni sia l'uomo come suo collaboratore nel mettere i beni creati in condizione di rendere un servizio sempre migliore agli uomini. La proprietà privata e pubblica Dopo il lavoro, il mezzo normale per far sì che i beni servano a tutti è la proprietà. La proprietà è uno stimolo e un premio al lavoro, un contributo alla salvaguardia delle esigenze di dignità, libertà e sicurezza, personale e di gruppo, in una società bene ordinata. A riguardo della proprietà privata e pubblica va detto con chiarezza che i suoi contenuti, i suoi limiti e le sue funzioni sono dettate dal valore primario della destinazione universale dei beni. La destinazione universale dei beni è diritto primario; la proprietà è solo diritto secondario, funzionale al conseguimento del diritto primario. Tali affermazioni ci danno il senso di una stabilità sociale che non è immobilismo a scapito delle esigenze delle persone, di un progresso che non è sovvertimento dei valori perenni della persona. Facciamo ora qualche osservazione prima sulla proprietà privata e poi su quella pubblica nel contesto della società contemporanea. a) La proprietà privata La Chiesa ne afferma la rispondenza a natura, la legittimità morale e giuridica purché possesso e uso dei beni siano al servizio della persona nel quadro delle esigenze di tutte le persone. La proprietà privata dei beni di consumo e di produzione stimola e premia il lavoro cioè riconosce che l'uomo imprime qualcosa di se stesso nel prodotto. La proprietà privata educa l'uomo a provvedere alle sue necessità, gli dà uno spazio di libertà e di sicurezza, ne aiuta l'affermazione personale e assicura consistenza e serenità alla famiglia e ai gruppi all'interno di una comunità bene ordinata. Queste considerazioni generali sono valide ma non si applicano nella stessa misura a tutti i tipi di proprietà. Basta considerare il valore diverso che ha la casa di abitazione e un appezzamento notevole di terreno da coltivare. La prima dovrebbero averla tutti, il secondo quelli che, tra l'altro, sono in grado di coltivarla. Più che l'orticello e oltre al podere affittato oggi contano forme nuove di sicurezza (sicurezza relativa, come del resto quella di ogni tipo di proprietà) che possono venire: dalle assicurazioni sociali (una buona pensione legata al costo della vita in un'economia sana), da valide capacità professionali che garantiscono lavoro e relativi diritti per l'oggi e per il domani, da partecipazioni azionarie di vario tipo. Ma allora la Chiesa svuota di contenuto il diritto di proprietà? La Chiesa prende atto della situazione esistente. Per certi beni afferma che è utile o necessario che essi siano in proprietà privata (casa, terreni, beni di consumo stabile, ecc.) purché si lavori sul serio per consentire a tutti di godere in modo ordinato di alcune di queste proprietà. Ciò facendo la Chiesa non difende lo status quo ma la persona nel concreto svilupparsi della storia. Qualche parola in più merita la proprietà privata dei beni strumentali o mezzi di produzione. La Chiesa ne ammette la liceità e la conformità a natura; lascia ai competenti stabilire la quantità e il modo di attuazione storica di tale diritto; mette in guardia dal socialismo collettivista che di fatto genera tirannide politica e dal liberismo economicista che genera ingiustizie e sfruttamento. Tra questi due estremi c'è posto per infinite soluzioni, adatte ai vari tempi e ai vari luoghi, purché guidate dai valori della persona inserita nella comunità e attuate con la dovuta competenza. b) La proprietà pubblica Nessuno ha mai negato o contestato la proprietà pubblica di suoli o edifici o altre cose necessarie allo Stato per l'esercizio delle sue funzioni classiche. Fa problema invece la proprietà dei mezzi o strumenti di produzione da parte dello Stato. Questo problema non è da confondere con quello dell'intervento dello Stato in economia. È pacifico che debba esistere la proprietà privata anche dei mezzi di produzione ma con questo non se ne specifica né la quantità né le modalità. Altrettanto pacifico è che lo Stato debba intervenire seriamente per creare condizioni adatte all'esercizio ordinato dei diritti e all'assolvimento serio dei doveri da parte dei cittadini e dei gruppi di cittadini. Il primo compito dello Stato non è quello di fare quel che possono fare bene i cittadini e i loro gruppi. Il primo compito dello Stato consiste nel fissare, con la partecipazione dei cittadini, le regole generali secondo le quali si rende possibile e più facile sviluppare la responsabile iniziativa delle persone e dei gruppi. L'ordinamento delle attività economiche da parte dello Stato, oggi, è diventato più penetrante a causa della complessità, vastità e interdipendenza dei problemi economici moderni a livello nazionale e mondiale. Di fatto oggi l'intervento dello Stato si pone in termini di piano cioè di programmazione dell'attività economica nel quadro generale della vita del Paese. Una programmazione seria, che deve saper raggiungere i suoi obiettivi. Una programmazione democratica, che coinvolge tutte le forze sia nella elaborazione del programma sia nella sua realizzazione; rispettando la natura e le caratteristiche delle iniziative, pur coordinandole alle finalità generali del piano. Fin qui non c'è ancora ombra di proprietà pubblica dei mezzi di produzione. Questo problema nasce quando una determinata attività economica è così importante ai fini del bene comune che non basta il compito normale diretto di coordinamento delle attività economiche ma si rende indispensabile che quella determinata attività diventi proprietà e gestione diretta dello Stato. Certe attività o servizi (ferrovie, energia elettrica) se fossero lasciate in mano a privati darebbero a questi un prepotere a danno dell'interesse generale dei cittadini. Naturalmente, accertata l'esigenza che una determinata attività economica sia svolta direttamente dallo Stato, nasce il problema di vedere se lo Stato è capace, se ha le persone competenti, se è più utile una forma mista di gestione. Molte volte la via del pubblico è la via dell'inefficienza. Occorre limitare al minimo necessario la gestione diretta dello Stato. Inoltre tali gestioni dovrebbero essere fatte in forma esemplare. Né entusiasmo aprioristico né opposizione preconcetta verso la proprietà e gestione pubblica ma conoscenza dell'uomo reale, della situazione concreta e delle esigenze e possibilità della comunità. Così, volta per volta, si prendono le decisioni necessarie, garantendo al tempo stesso efficienza e partecipazione democratica. Il comandamento del non rubare si esercita oggi in questo contesto di economia politica. Inefficienza e sperpero, incompetenza e corruzione sono veri furti, e d'alto livello! Dentro il discorso che abbiamo fatto sono affiorati sempre i rapporti del tema proprietà con la persona e la comunità, con il concetto di ordine dinamico che spinge avanti persone e famiglia umana, con le esigenze di sfruttamento, competente, onesto e finalizzato allo sviluppo completo degli uomini, di tutte le risorse e i beni esistenti. Non è quindi un finale a effetto ricordare quattro esigenze di fondo per il nostro impegno di cristiani nella vita economica. 1) Rinnovare la nostra mentalità nella fedeltà ai valori perenni e vivendo il concreto della storia. 2) Essere sempre disponibili a verifiche personali e comunitarie per controllare se l'ordinamento giuridico dei beni serve veramente lo sviluppo spirituale, morale e giuridico delle persone. 3) Sottoporsi alla fatica di una severa preparazione per avere la competenza teorica e pratica necessaria. Cosi si fanno camminare gli ideali su sentieri praticabili. 4) Siccome è facilmente prevedibile che, nonostante l'impegno serio di tutti, ci saranno sempre persone bisognose di assistenza, mantenere il cuore aperto e le strutture necessarie per gli interventi immediati. Morale e spiritualità professionale Nel rapporto che l'uomo instaura con la realtà che viene lavorando si può vedere come il non rubare e il non desiderare la roba d'altri diventa impegno morale e spirituale. In ognuno di noi ci sono atteggiamenti che sembrano contradditori: non sognamo la fatica del lavoro e, almeno qualche volta, speriamo vincite al totocalcio e al lotto ma nello stesso tempo temiamo di restare senza lavoro. I due atteggiamenti non sono contradditori. È logico lavorare per campare, ma senza compromettere la salute. È normale fare qualche cosa per non morire di noia, ma anche senza prenderci un infarto per troppe preoccupazioni. È giustissimo desiderare di sentirci utili per non avere la sensazione di trovarci nell'anticamera del cimitero, ma senza correre rischi di infortuni mortali. Nel lavoro noi desideriamo sviluppare la nostra personalità, ma senza trascurare altri elementi extra lavorativi, necessari per evitare ogni forma di alienazione e per sviluppare tutta la nostra personalità. È così che il lavoro ci appare come una delle realtà della vita, anche se non l'unica; una realtà, però determinante e ricca di contenuti per la vita umana. Questi contenuti possono essere di natura economica, sindacale, politica, tecnicoproduttiva, igienica, infortunistica, ecc. ma anche di natura teologica, cioè dogmatica morale e spirituale. Toccherò il tema della polivalenza o del contenuto plurimo del lavoro umano, partendo dalla teologia (il lavoro nel piano di Dio) e facciamo vedere le conseguenze sulla vita concreta, sulla condizione storica del lavoro. Dalle idee di fondo germina l'azione efficace nella storia. Il lavoro: da necessità biologica a
dovere morale e atto d'amore a) Necessità biologica La spiritualità umana deve avere i piedi per terra. Occorre cominciare con il riconoscere umilmente questa condizione dell'esistenza umana: per campare si deve lavorare. Il lavoro è una necessità biologica per la stragrande maggioranza dell'umanità. Possono esimersi da questa legge solamente quelli che non possono lavorare e che ricavano il diritto ai mezzi necessari per vivere dal superiore diritto di tutti alla vita. Chi ha abbondanza di mezzi, se può sottrarsi a certi lavori, non può dispensarsi dal lavoro, dal compiere cioè attività utili per sé e per gli altri. Qui però il discorso passa dall'affermazione della necessità biologica all'affermazione del dovere morale. Ma vediamo qualche conseguenza sociale della prima affermazione. Se per campare è necessario lavorare, deve essere un fatto normale che tutti abbiamo un lavoro (pur senza possedere la tessera di un partito) e che il lavoro procuri quanto occorre per una vita decorosa a sé e ai propri cari; e in una località che consenta una vita familiare adeguata. Prima di pensare ai livelli più alti, è necessario pensare ai livelli più bassi. Se di solidarietà è doveroso parlare, lo è soprattutto in questa direzione. Per questo il cristiano non può accettare eccessive differenze salariali. Certe sperequazioni vanno eliminate. È un conto riconoscere la maggior responsabilità e qualificazione, e ciò è doveroso e necessario; ed è un conto creare situazioni di privilegio, privando altri del necessario. Ermanno Gorrieri ha scritto un libro dal titolo: La giungla retributiva, dove al classico tema della contrattazione con gli imprenditori per definire il salario, si aggiunge il tema delle gravi sperequazioni esistenti fra i lavoratori dipendenti. b) Dovere morale Il dovere morale del lavoro può essere avvertito dalla coscienza in rapporto alle esigenze di sviluppo personale e in rapporto alle esigenze di vita e di progresso della comunità. Il tutto può essere percepito come risposta ad un comando di Dio che ha affidato all'uomo la terra perché la lavori, sviluppando le proprie capacità e rendendo servizio agli altri. c) Atto d'amore Il lavoro diventa un fatto umano nel senso pieno della parola, se viene vissuto come atto d'amore. Amore alla propria famiglia, amore alla comunità, amore a Dio in unione al quale si opera per il bene della famiglia e della società. Soprattutto a questo livello il lavoro diventa gioia: gioia di donarsi agli altri ed a Dio, accettando anche i sacrifici che la donazione comporta. Il cammino del mondo nel piano della
creazione a) li lavoro trasforma il mondo materiale È un dato elementare della nostra esperienza. L'uomo ha bisogno di tante cose che non esistono immediatamente pronte all'uso, come in un grande supermercato dove si trova tutto. È necessario che le cose siano lavorate per essere rese immediatamente utili alle esigenze umane. In ogni lavoro è insita una logica che deve essere sempre rispettata; la logica è la necessità dell'efficacia. Il lavoro detesta l'inefficacia e l'inutilità. Se faccio scarpe, la logica vuole che faccia scarpe buone, in grado di rendere un effettivo servizio all'acquirente. Così facendo è naturale che io provi un'intima soddisfazione quando vedo crescere il lavoro nelle mani e lo contemplo finito. Se faccio il cuoco, la logica vuole che io prepari piatti sani e buoni, e che provi un'intima gioia nel vedere i commensali contenti. L'esigenza di lavorare bene, realizzando efficacemente l'oggetto proprio del lavoro, fa parte della natura del lavoro ed è un'esigenza della dignità della persona. Se sono in conflitto con il mio imprenditore, non mi è lecito costruire macchine difettose per fargli un dispetto; in realtà il dispetto lo faccio alla mia dignità personale e danneggio il povero consumatore che verrà a trovarsi nei guai per colpa mia. Tutti hanno il dovere di fare bene il loro lavoro. Naturalmente hanno anche il dovere di difendere efficacemente il loro lavoro ben fatto. Né imprenditori, né dirigenti o lavoratori hanno il diritto di difendere il non lavoro o il lavoro mal fatto. b) Nel piano della creazione Il credente, riflettendo sul significato del suo lavoro che trasforma le cose, rendendole utili per la soddisfazione delle crescenti esigenze dell'umanità, avverte di essere inserito in un piano più grande di lui, il piano di Dio, creatore e provvidente, che lo invita a diventare suo collaboratore. Dio ha creato tutto, prevedendo l'intervento, intelligente e libero, dell'uomo, per portare le cose alla loro perfezione e quindi ad un maggior servizio all'umanità. Le realtà terrene, perfezionate dall'uomo, rendono lode a Dio (laus obiectiva) e l'uomo ne raccoglie coscientemente la lode offrendola al Creatore (laus subiectiva). Il cristiano sa che il cammino delle realtà materiali sulla terra raggiunge il suo vertice nell'Eucaristia dove il pane e il vino, frutto della potenza creatrice di Dio e del lavoro umano, diventano il corpo e il sangue di Cristo. 11 cristiano sa anche che dopo la fine dei tempi, il mondo materiale, lavorato dall'uomo, sarà trasformato da Dio in degno ambiente per la vita dei corpi gloriosi. c) Collaborazione con il Padre Il cristiano inoltre sa di essere collaboratore di un Padre che ha donato il mondo materiale a tutti perché fosse conosciuto e messo al servizio di tutti con la collaborazione responsabile di tutti. Lavoro e perfezionamento dell'uomo L'uomo s'accorge che, mentre trasforma le cose, trasforma se stesso. L'uomo, lavorando, si lavora. a) Sviluppo personale Con il lavoro l'uomo sviluppa la sua intelligenza, la sua volontà, le capacità organizzative, i rapporti con gli altri. Se questo è vero, egli dovrà scegliere, imparare e fare quel lavoro, che meglio di altri, gli consente il suo sviluppo personale e il servizio agli altri. Lo stipendio non può essere l'unico criterio di scelta. Se il lavoro è mezzo di perfezionamento, l'ambiente e le modalità di esecuzione del lavoro non dovranno rovinare né la salute fisica né la vita spirituale (igiene fisica e morale). Se il lavoro è mezzo di perfezionamento, occorrerà favorire un'organizzazione tecnico-produttiva che consenta e favorisca effettivamente lo sviluppo dell'intelligenza e l'assunzione di responsabilità. Spingere verso nuove forme di partecipazione consapevole e responsabile è un preciso dovere di tutti. Il lavoro, rivolto alla trasformazione delle realtà materiali, non è però il migliore mezzo di perfezionamento a disposizione dell'uomo. giusto quindi e doveroso tendere alla riduzione della fatica e del tempo che gli si dedica per poter attendere ad attività più nobilitanti. Il cosiddetto tempo libero non è da concepirsi come tempo vuoto o come spazio di tempo destinato soltanto a recuperare le energie fisiche da spendere di nuovo nel lavoro. Il sempre maggior tempo libero è un tempo da impegnare nella vita familiare, religiosa, culturale e sociale oltre al necessario giusto riposo. b) "Mistica del lavoro" Se io lavoro in unione con Dio, creatore e padre, anche il mio lavoro può diventare un modo per sviluppare progressivamente l'unione con Dio e con i fratelli. Ma affinché questo sia reso praticamente possibile, cioè affinché il lavoro diventi preghiera, occorrono tempi di contemplazione e di colloquio diretto con il Padre. L'homo faber ha bisogno dell'homo sapiens; soprattutto quando aumenta la pressione alienante del benessere materiale. c) Con Cristo redentore Il lavoro può redimere. Il sacrificio e la fatica hanno in sé un certo valore di purificazione, soprattutto se si accetta la pena del lavoro come punizione di Dio per il peccato. Una capacità redentiva, nel senso teologico proprio della parola, il lavoro umano l'acquista quando viene svolto in unione a Cristo redentore. Motivo, questo, ulteriore e altissimo per stimare il lavoro e per vivere il sacrificio delle nostre attività lavorative e sociali assieme a Cristo, al fine di cooperare alla nostra salvezza e a quella di tutta l'umanità. Il lavoro fonte di civiltà Abbiamo visto il lavoro come necessità biologica, dovere morale e atto d'amore; successivamente lo abbiamo considerato in rapporto alle cose lavorate e in rapporto al perfezionamento della persona che lavora. Esaminiamolo ora in rapporto agli altri, in rapporto cioè al servizio sociale ch'esso svolge e alla civiltà umana che può costruire. Ogni lavoro viene svolto assieme ad altri e per gli altri. Nel lavoro si saggia la capacità dell'uomo a collaborare con gli altri e la sua apertura a capire le esigenze della comunità. Il lavoro è fonte di civiltà non solo perché costruisce case, scuole, chiese, strade, ecc., ma soprattutto perché è collaborazione con gli altri e servizio per gli altri. Nella civiltà moderna aumenta la nostra interdipendenza in tutti i campi. Il lavoro può essere fonte di civiltà, se l'uomo che lavora si lascia guidare dalla coscienza della propria insufficienza a realizzare tutto quello che è necessario a sé, ai propri cari e alla società e accetta la legge della collaborazione come modo efficace per realizzare il bene di tutti. Ma perché l'uomo non resti prigioniero di un mondo che moltiplica la nostra interdipendenza reciproca occorre avere il coraggio di parlare di amore. Uomini che sono consci della propria insufficienza e accettano la legge della collaborazione sono simili a una bella città senza sole, o peggio, avvolta nella nebbia. Le strade, le case, i negozi, le scuole e le chiese ci sono ma manca qualche cosa. Il sole dà una nuova dimensione alla città: così l'amore dà una nuova dimensione alla nostra interdipendenza. Il cristiano trova la forza dell'amore di cui ha bisogno la vita sociale nella realtà del Corpo Mistico di Cristo, della comunione con il Padre e con i fratelli, realizzata in Cristo e per mezzo di Cristo. Amore che realizza come primo passo la giustizia, dando a ciascuno il suo; ma che non si limita al freddo adempimento dei doveri della giustizia e crea rapporti umani completi, rapporti fraterni tra figli dello stesso Padre. Coscienza dei propri limiti, dovere di una collaborazione rispettosa e fiduciosa, esigenza di servizio agli altri diventano modi concreti con i quali si esprime la vita e l'amore dei figli di Dio. Realizzando sempre meglio, nella Chiesa, il mistero di comunione, i cristiani possono offrire alla comunità umana esempi stimolanti e impegnarsi con vigore, decisione e preparazione a collaborare per la costruzione di un mondo sempre più giusto perché sempre più fraterno. Condizione storica del lavoro e
impegno cristiano Il contenuto teologico del lavoro e le conseguenze sociali che porta, esigono un preciso impegno da parte del cristiano per rendere la condizione storico-esistenziale del lavoro conforme alla natura del lavoro stesso. La chiave di volta dell'impegno cristiano, oltre al contenuto teologico del lavoro, è soprattutto la realtà del lavoratore quale figlio di Dio. È la dignità dell'uomo quale figlio di Dio che ha dato vita al movimento operaio, cioè a quell'insieme di iniziative e organizzazioni create dai lavoratori per superare la condizione di inferiorità nella quale sono stati posti dal capitalismo industriale. Seguendo la sua linea ispiratrice originaria, il movimento operaio tende non soltanto a risolvere i suoi problemi diretti ma anche quelli generali della società. Non si pone pregiudizialmente come l'unica forza capace di rinnovare. Se altri hanno avuto questa presunzione hanno sbagliato. Sarà la storia a dire chi è stato più determinante. Il movimento operaio, ponendosi come forza al servi zio di tutti i valori morali, a vantaggio di tutti i gruppi umani, coopera con tutti coloro che accettano lo sviluppo completo della persona, lottando contro tutte le alienazioni: contro le alienazioni che provengono dalla proprietà male intesa e male usata, come contro le alienazioni che provengono dalla superbia istituzionalizzata nella classe o nel partito unico, fatti diventare valore morale oggettivo invece che servitori dei valori morali. È la dignità dei figli di Dio che ci spinge a volere il superamento della fragmentazione del lavoro, privato dell'esercizio di effettiva corresponsabilità. È la dignità di figli di Dio e l'amore al Padre e ai fratelli che ci spingono a ricercare e sperimentare forme sempre migliori di organizzazione e di gestione dell'attività produttiva e della politica economico-sociale; forme ancorate ad un effettivo servizio alla libertà, alla responsabilità e allo sviluppo completo degli uomini, senza trascurare i contenuti propri dell'economia. |