Parrocchia di S. Ambrogio

in Mignanego (GE)

 

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strumenti di riflessione

 

 

 

Introduzione

1° Comandamento  -  2° Comandamento  -  3° Comandamento  -  4° Comandamento

5° Comandamento  -  6°-9° Comandamento/1  -  6°-9° Comandamento/2

7°-10° Comandamento  -  8° Comandamento

 

 

8° Comandamento

Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo

 

Verità, dignità della persona e convivenza umana

 

La verità è una esigenza fondamentale della persona e della stessa vita umana. Può essere definita un bene che fa l'uomo più completo e rende la sua esistenza possibile nei rapporti molteplici che si intrecciano nella società. Senza scendere nelle distinzioni fra nescienza, ignoranza, insipienza, zotichezza ed altre, possiamo semplicemente dire che l'uomo tanto più è uomo guanto più cono­sce e non solo nel mondo delle idee e della scienza ma anche nel mondo dei fatti, degli avvenimenti, nelle realtà dei singoli e della comunità.

Per questo, diciamo che la verità è un valore decisivo anche nelle relazioni umane. Comunicazione della verità è comunicazione del­la persona. Il contatto e la comunione personale sono possibili solo là dove gli uomini si incontrano nell'aspirazione alla verità e nella comunicazione vicendevole di essa. Non è possibile costruire alcu­na comunione reale sulla mancanza di verità e sulla menzogna.

Oggi è necessario superare le difficoltà particolari che, nell'ec­cessivo incrociarsi di voci e messaggi diversi, rendono più ardua la ricerca della verità; ed è necessario anche vincere lo scetticismo, generato da troppe confusioni tra verità ed errori, e che minaccia di soffocare se non la fiducia nella verità almeno la speranza di  poterla raggiungere.

 

 

«Verità» nella S. Scrittura

Per comprendere la ric­chezza del termine "verità", è opportuno analizzare anzi­tutto il significato che questa parola ha nella S. Scrittura.

Nell'Antico Testamento, ve­rità è in primo luogo un attri­buto di Dio e delle sue mani­festazioni: nel suo incontro con il popolo eletto egli si ri­vela come Dio di verità, o Dio fedele; tale si manifesta nelle sue opere - siano esse il grande gesto della creazione, o gli interventi nella storia - e nelle sue decisioni che sono salde come la roccia. La pa­rola è il tipico strumento di incontro di Dio con il suo po­polo: essa si articola nelle promesse che meritano una fiducia assoluta. Parola ed opera di Dio per eccellenza è l'alleanza: in essa si concen­tra l'azione favorevole del Si­gnore e risuona la parola co­me caratteristica del Dio vi­vente che chiama ad una ri­sposta.

Dio si rivolge al popolo in maniera fedele e costante e perciò anche il popolo deve rispondere allo stesso modo: deve servire Dio "con since­rità e fedeltà", camminare "nella verità" davanti a Dio e 'fare la verità" (1). Le espres­sioni citate indicano non solo un atteggiamento di sincerità, ma un comportamento etico più generale che coincide con l'osservanza di tutta la legge di Dio e compendia la lunga serie delle azioni del giusto. Particolare importan­za è attribuita alla verità nei rapporti sociali: come Dio è buono e fedele, così i membri del suo popolo sono chiamati ad essere misericordiosi e fe­deli gli uni verso gli altri, so­prattutto nell'amministrazio­ne della giustizia.

Per il Nuovo Testamento, la verità in senso pieno consiste nella rivelazione dell'amore di Dio in Cristo, predicato al mondo come Vangelo di sal­vezza. La verità che risplende nella predicazione del Vange­lo è fondata sulla Parola e sulla Persona di Gesù. Il suo insegnamento, che si presen­ta come sicuro, autorevole, e proveniente da Dio, si esplica in una situazione di contra­sto: Gesù non è solo rivelato­re, ma testimone fedele; venuto in questo mondo per rendere testimonianza alla verità, è rimasto fedele al­la sua missione e non ha esi­tato a farlo a prezzo della sua stessa vita, quando il rivelare la verità ai suoi nemici si­gnificava per lui la condanna a morte. Quindi la verità è ca­ratteristica fondamentale non solo della parola di Gesù, ma anche della sua persona.

Tra le tante definizioni che Gesù ha dato di se stesso, tro­viamo nel vangelo di Giovan­ni anche questa: "Io sono la via, la verità e la vita": egli è la verità in persona, il com­pimento delle promesse, la ri­velazione vivente del Padre.

 

Rapporto stabile e intimo con la verità

Ne consegue che anche il cristiano - discepolo di Cri­sto - ha un rapporto stabile ed intimo con la verità, che esclude in modo assoluto la menzogna. La verità co­nosciuta è una forza che spin­ge all'azione, a 'fare la ve­rità" e a "camminare nella ve­rità": l'agire del cristiano è obbedienza concreta alla verità accolta come rivelazio­ne di Dio e conosciuta nell'i­mitazione pratica della verità fatta persona. Gesù non pote­va tollerare l'ipocrisia dei farisei che esteriormente osten­tavano un'osservanza scrupo­losa della legge, ma interna­mente erano i primi a fal­sificarla e a trasgredirla. Mite e misericordioso verso i pec­catori, ha avuto parole roven­ti contro gli ipocriti: «Guai a voi, che siete simili a sepolcri imbiancati»; e dai suoi di­scepoli ha richiesto un com­portamento leale e un lin­guaggio assolutamente since­ro: il sì e il no debbono basta­re per garantire la verità delle proprie affermazioni.

La verità è anche forza li­beratrice dalla legge e dal peccato: la sua conoscenza rende integralmente liberi: «Se perseverate nella parola, sarete davvero miei discepoli e conoscerete la verità e la verità vi farà liberi».

 

 

Verità nell'essere e nel parlare

Dalla breve analisi fatta sui testi biblici, comprendiamo subito che la verità (o vera­cità) non consiste solo nel di­re il vero al prossimo. Lo sta­re e l'agire nella verità richie­dono molto di più. Prima an­cora di essere verace nel par­lare, il cristiano deve cercare di essere sempre e dovunque quel che egli è nella sua realtà più intima. Dio ci dà delle doti naturali e ci rende partecipi della sua vita divi­na; noi dobbiamo collaborare in maniera libera per essere realmente quel che Dio ci ha fatto e per portare a fioritura e maturazione il germe depo­sto in noi. S. Paolo dice che nel nostro essere e nella no­stra vita dobbiamo corrispon­dere alla vocazione a cui sia­mo stati chiamati (10), in mo­do conforme alla nostra natu­ra e al fine della nostra esi­stenza che non è limitato agli orizzonti terreni. Sotto que­sto punto di vista ogni pecca­to è una menzogna, perché con esso l'uomo si oppone in pratica al proprio orienta­mento e destino soprannatu­rale.

Inoltre, poiché Dio ci ha creati come esseri capaci di pensare e di conoscere, dob­biamo anche giungere, per quanto possibile, alla cono­scenza della verità oggettiva.

Ciò comporta la lotta contro la pigrizia spirituale e l'aper­tura all'ascolto di chi è più esperto e competente di noi.

L'esigenza di verità nel parlare (espressione orale e scritta) è una conseguenza della verità nell'essere e nel pensare: la parola o il gesto devono corrispondere a ciò che vi è nell'interno dell'uo­mo.

La parola ci è stata data perché comunichiamo tra noi nella verità. Ognuno sente istintivamente che il grande dono di poter comunicare con gli altri va usato in un cli­ma di verità e di fiducia. Da un medico, per esempio, ci attendiamo che faccia tutto quello che è in suo potere per aiutarci quando siamo amma­lati e crediamo alla sua paro­la: prendiamo la -medicina che ci indica, affrontiamo l'o­perazione che ci dichiara ne­cessaria. Ci fidiamo della sua rettitudine. Il più alto grado di fiducia si ha quando due persone, ad esempio un gio­vane e una ragazza, si manife­stano il reciproco amore. Uno crede alla parola dell'al­tro e, se i due un giorno deci­dono di sposarsi, rischiano in un certo senso tutta la vita sulla parola e sulla fedeltà dell'altro.

I rapporti tra gli uomini non possono sussistere senza la lealtà e la verità; la vita co­munitaria e sociale divente­rebbe impossibile se gli uomi­ni non fossero tenuti a dirsi vicendevolmente la verità, e la mutua fiducia sarebbe di­strutta in partenza.

Ma la motivazione profon­da di questo dovere per un cristiano è religiosa. Dopo che Dio, nella rivelazione, ha donato agli uomini la sua ve­rità e la sua fedeltà, gli uomi­ni sono tenuti alla veracità nei loro rapporti umani. 1 cri­stiani sono diventati membra del corpo di Cristo che è la verità, e di conseguenza de­vono essere veraci gli uni ver­so gli altri: «Rigettando ogni menzogna, dite la verità ciascu­no al prossimo suo, perché sia­mo membra gli uni degli altri».

 

 

«Fate la verità nella carità»

Così ci raccomanda S. Pao­lo. Il nostro impegno nell'es­sere sinceri e leali è perciò soprattutto motivato dall'a­more per Dio e per il prossi­mo. Questo duplice amore ispira sia il nostro parlare che il nostro tacere: quando parliamo dobbiamo dire il vero; però non possiamo dire tutto quel che è vero o che ritenia­mo sinceramente come tale; esistono cose che conoscia­mo e che portiamo nel cuore ma che non possiamo lecita­mente manifestare al di fuori.

La comunità umana esige il rispetto della sfera intima dei singoli (ogni personalità ma­tura ha i suoi segreti) e anche che i singoli abbiano la possi­bilità di manifestare i propri segreti a qualcuno, senza te­mere che vengano resi di pubblico dominio. D'altra parte il bene comune può an­che esigere che si facciano conoscere determinati segre­ti.

Analizziamo brevemente e senza scendere nei particolari i doveri morali in questo campo. Anzitutto è necessa­rio conservare i propri segreti personali. La dignità di cia­scuno e sovente anche il ri­spetto verso gli altri impon­gono di non far conoscere in pubblico i segreti riguardanti la propria persona.

In secondo luogo occorre rispettare i segreti degli altri e conservarli, a meno che un motivo importante ne renda lecita o doverosa la rivelazio­ne. I motivi che ci obbligano a non tradire i segreti riguar­danti il prossimo sono molti: il diritto dell'uomo alla sua sfera intima, il dovere dell'a­more che impone di non far soffrire e di non danneggiare gli altri, la fedeltà nel mante­nere la promessa di conserva­re il segreto, l'accordo espli­cito o tacito (ad es. nelle confidenze), l'esercizio di de­terminate professioni (segre­to professionale).

Altre volte, invece, proprio per dovere di giustizia e di ca­rità, occorre parlare e rivela­re anche i segreti: per esem­pio, quando si tratta di salva­guardare il bene comune op­pure di testimoniare in tribu­nale. Naturalmente in ogni caso il segreto va rivelato so­lo alle persone competenti e solo nella misura necessaria.

Il mentire, invece, non è mai carità, perché va sempre contro la legge di Dio e in un modo o nell'altro danneggia il prossimo. La menzogna o bugia è una manifestazione si­mulata del proprio intimo, la quale in realtà contraddice al sentimento e alla convinzione interiore. La si può esprimere con parole oppure con altri segni esteriori. Si è soliti di­stinguere tra bugia materiale quando ci si esprime secondo la propria convinzione ma in contrasto con la verità ogget­tiva delle cose; bugia formale quando, pur affermando una cosa obiettivamente giusta, si è convinti che non lo sia; e bugia materiale e formale in­sieme, quando volontaria­mente si afferma il contrario della verità conosciuta. Inol­tre, a seconda del motivo per cui è espressa, si può distin­guere la bugia detta per scherzo, la bugia ufficiosa (con cui si cerca di evitare un danno o di assicurarsi un van­taggio) e la bugia dannosa (con cui si vuole procurare un danno al prossimo).

Da quanto già abbiamo detto sopra, risulta chiaro che la menzogna - pur com­portando diversi livelli di gra­vità - è in netto contrasto con lo scopo del linguaggio uma­no e con lo spirito che il Van­gelo ci raccomanda.

 

 

Tutelare l'onore e la buona fama

Nonostante i diversi modi di intendere la persona, tutti sono concordi nel ritenere l'onore una componente es­senziale dell'essere e della vi­ta umana. Per l'uomo è cosa naturale proteggere e svilup­pare i valori della propria per­sona e rendersi così degno di onore, nel desiderio di otte­nere il rispetto del prossimo.

L'onore dell'uomo ha il suo fondamento più profon­do in Dio: l'uomo è degno di onore perché è creatura di Dio, chiamato a partecipare alla gloria di Cristo e a ri­spondere, attraverso lo sforzo morale, alla sua vocazione. Quando non si considera più l'uomo alla luce di Dio, la concezione dell'onore umano subisce immediate conse­guenze. La mancanza o l'in­debolimento della fede porta­no a stabilire come criterio di onore cose che, a paragone della sua fonte autentica ri­sultano incomplete (ad es. la rettitudine morale) o addirit­tura insignificanti (ad es. la bellezza fisica, la condizione sociale, l'abilità sportiva, la ricchezza...). Al posto dell'o­nore autentico subentra il prestigio, di solito accompa­gnato dal disprezzo degli altri che non sanno compiere le stesse prestazioni morali o non hanno le medesime qua­lità.

L'onore ha un grande ruo­lo nei rapporti interpersonali, basati sul riconoscimento e sulla stima reciproca. E que­sto è tanto più vero nel caso di coloro che sono destinati ad assumere un ruolo di gui­da e di responsabilità (ad es. i genitori, gli educatori, le au­torità...). Solo se essi sono personalmente degni di ono­re e vengono rispettati sono in grado di servire il bene co­mune. Inoltre, l'aspirazione a conservare l'onore costitui­sce un motivo morale molto valido per agire bene.

 

Il proprio onore

L'uomo - e soprattutto il cristiano - deve rispettare in­teriormente se stesso, essere umile e grato a Dio da cui ha ricevuto ogni bene e cercare di sviluppare le proprie capa­cità. Deve, inoltre, protegge­re il proprio onore e il pro­prio buon nome compiendo il bene e meritando così di es­sere onorato e stimato. Ciò vale in particolare, ripetiamo, per tutti coloro che occupano una posizione di responsabilità.

Chi è superbo e vanitoso pecca contro il rispetto dovu­to alla propria persona, in quanto ascrive a se stesso le capacità che gli vengono da Dio, vede in sé solo il bene e lo amplifica. Anche l'ambi­zioso sopravvaluta l'impor­tanza dell'onore e cade facil­mente nel pericolo di cercare in primo luogo il proprio ono­re anziché l'onore di Dio e, spesso, mettendo sotto i piedi l'onore degli altri.

 

L'onore del prossimo

Il primo dovere al riguardo è di rispettare interiormente il prossimo e pensare bene di lui, stimandolo più di noi stessi. Ciò comporta di evitare:

- il sospetto, con cui cerchia­mo di diminuire il bene pre­sente negli altri e di attribuire loro addirittura il male, in ba­se a semplici supposizioni. Il sospetto può anche essere fondato, ma noi non dobbia­mo pensare male del prossi­mo finché la cosa non è dimo­strata; e quando lo é, dobbia­mo capirlo dentro di noi e scusarlo;

- il giudizio temerario, con cui riteniamo come certo un difetto o un peccato del pros­simo senza fondati motivi. Solo Dio conosce il cuore dell'uomo e quindi egli solo può giudicare.

Un ulteriore dovere consi­ste nell'esprimere esterior­mente il rispetto interiore che portiamo al prossimo; e qui le occasioni e i modi possono essere molti: dal saluto rispet­toso a un modo di trattare educato, dal dire parole di ri­conoscimento e di lode alla sua presenza o in presenza di altri al capire e scusare even­tuali mancanze...

Possiamo quindi mancare contro l'onore esteriore del prossimo semplicemente rifiutandogli il saluto, o più gravemente

- con l'oltraggio, quando gli manifestiamo in faccia il no­stro disprezzo e lo insultia­mo;

- con la diffamazione e la maldicenza, cioè quando af­fermiamo senza motivo cose vere che danneggiano la buo­na reputazione altrui;

- con la calunnia, attribuendo falsamente al prossimo il ma­le che egli non ha affatto commesso, spinti dall'odio, dall'invidia o da altri moven­ti. Evidentemente quest'ulti­ma mancanza è la più grave.

Rientrano in questa specie di ginepraio morale anche il pettegolezzo o denigrazione e le lettere anonime, che spes­so non soltanto distruggono o mettono in pericolo l'onore, ma anche la concordia tra le persone.

L'uomo, dunque, ha diritto al proprio onore e al proprio buon nome. Chi ha intaccato o addirittura distrutto ingiu­stamente l'onore del prossi­mo è obbligato dalla giustizia e dalla carità a ristabilirlo nella stessa misura in cui l'ha offeso. Ma ciò non è facile, anzi qualche volta è impossi­bile: di qui si comprende più facilmente la gravità delle mancanze sopra ricordate. San Bernardo diceva che le parole volano rapidamente e passano con velocità; ma in questo passaggio, in questo rapido volo, fanno ferite peri­colose e profonde; entrano con facilità nella mente, ma difficilmente ne escono.

 

 

Un capitolo nuovo da esplorare

In questi ultimi anni, con il progresso, anzi con il trionfo degli strumenti della comuni­cazione sociale, soprattutto della stampa, della radio e della televisione, si è aperto un nuovo capitolo, ancora in gran parte da esplorare sui rapporti tra uomo e verità: qual è l'influsso delle infor­mazioni e della pubblicità sull'uomo comune, non sem­pre capace di distinguere il vero dal falso nella farragine di annunzi, richiami, conget­ture, pressioni, che possono formare o deformare l'opi­nione singola e pubblica, at­traverso notizie errate o alte­rate, e a volte soltanto taciute o comunicate parzialmente?

Diceva nel suo primo in­contro con i giornalisti Gio­vanni Paolo II: « È sufficiente che un elemento sia dimenti­cato per inavvertenza, omes­so volontariamente, minimiz­zato o, al contrario, accen­tuato oltre misura, per falsare la visione presente o le previ­sioni avvenire».

Ma il Magistero pontificio, sin dai tempi di Gregorio XVI (1831-1846), è stato sollecito nel richiamare in forme di­verse l'attenzione dei giorna­listi e dei lettori sui molti pe­ricoli morali che possono de­rivare, ai danni della stessa giustizia e della stessa libertà, da resoconti tendenziosi di avvenimenti, da informazioni interessate e non corrispon­denti alla realtà dei fatti, da pressioni psicologiche intese non solo a smuovere le pas­sioni, ma a turbare le co­scienze, a storcere in parte o totalmente la verità per fini economici, ideologici, poli­tici.

È stato però soprattutto il Concilio ecumenico Vaticano II ad affrontare, per la prima volta nella storia della Chie­sa, in modo solenne e com­pleto, il problema anche pa­storale degli strumenti della comunicazione sociale, con il decreto Inter mirifica. Dopo aver espresso ammirazione per l'importanza, la perfezio­ne e la validità sempre cre­scenti di questi mezzi, i padri conciliari hanno avvertito:

Il retto esercizio del diritto che ha la società umana ad essere informata esige che la comunicazione, per quanto riguarda il contenuto, sia sempre veritiera ed integra, nel rispetto della giustizia e della carità. Inoltre, per quanto riguarda il modo, sia onesta e conveniente, cioè ri­spetti rigorosamente le leggi morali, i diritti e la dignità dell'uomo, tanto nella ricerca delle notizie quanto nella lo­ro divulgazione».

E ancora più chiaramente l'Istruzione pastorale Com­munio et progressio, pubblica­ta nel maggio 1971 per l'esat­ta applicazione del preceden­te decreto conciliare, afferma che «requisiti essenziali di ogni comunicazione sono la sincerità, l' onestà, la vera­cità. Buona intenzione e vo­lontà retta non bastano: oc­corre che, di fatto, essa corri­sponda alla verità delle cose, riflettendole nella loro realtà in una luce di interiore veridi­cità. La validità e moralità di una comunicazione dipende­ranno non solo dal suo conte­nuto, né soltanto dall'inten­zione di chi comunica, bensì anche dalla maniera in cui viene fatta, dai modi e dai mezzi di espressione e di per­suasione usati».

 

 

Verità e cronaca

Basti pensare, per meglio comprendere il significato nella queste parole, come nella stessa cronaca quotidiana di fatti anche clamorosi - ad es. uno o più omicidi durante moti di piazza - sia difficile sapere esattamente come si sono svolte le cose, per la di­versità, a volte anche sostan­ziale, con cui sono presentate da giornali o da reti televisive di varie tendenze. Tanto più se nei fatti sono implicati per­sonaggi di partito o le vicen­de riguardano atteggiamenti o motivazioni di ordine politi­co. È facile in questi casi en­trare in una specie di torre di babele in cui la verità, invece di restare vergine ed unica come dovrebbe, viene alle­gramente strapazzata e rive­stita di tutti i colori dell'iride. Infatti, anche quando tale cronaca finisce in tribunale, la miglior buona volontà dei giudici non sempre riesce, neppure con anni ed anni di lavoro, a dipanare la matassa ingarbugliata in cui la verità viene nascosta e soffocata.

E cosi accade che, dinanzi alla sfacciataggine di troppi che cercano di mimetizzare o totalmente velare la verità, anche «molti di quelli stessi che amano la verità, come bloccati da una timidezza fuori luogo, non osano mani­festare liberamente quello che pensano».

 

 

Un frutto della guerra?

Qualcuno pensa che sia an­che questo uno dei frutti ne­fasti della guerra, di quando cioè i giornali e le radio delle varie nazioni andavano a gara per buttare in piazza le noti­zie più sballate pur di imbro­gliare il nemico. Può darsi. Ma non è certo un sistema accettabile in periodo di pa­ce, se non si vuole ridurre la società ad una giungla piena di bestie velenose. Già Pio XII, subito dopo il conflitto, osservava con amarezza: «Lo stigma che porta sulla fronte il nostro tempo, e che è causa di disgregazione e di decadi­mento, è la tendenza sempre più manifesta alla insincerità. Mancanza di veracità, che non è soltanto un espediente occasionale, un ripiego per trarsi di impaccio in momenti di improvvise difficoltà o d'impreveduti ostacoli. No. Essa apparisce al presente quasi eretta a sistema, elevata al grado di una strategia in cui la menzogna, il travisa­mento delle parole e dei fatti, l'inganno sono divenuti clas­siche armi offensive, che al­cuni maneggiano con mae­stria, orgogliosi della loro abilità; tanto l'oblio di ogni senso morale è, ai loro occhi, parte integrante della tecnica moderna nell'arte di formare la pubblica opinione, di diri­gerla, di piegarla».

Da allora nulla è cambiato in meglio, anzi molto è cam­biato in peggio, anche perché alla stampa e alla radio si so­no ora uniti la televisione e i mille strumenti minori - dal manifesto alle scritte murali - che non sempre si pongono a servizio della verità o della semplice obiettività.

 

Motivi di amarezza

Non è certo il malanimo che ci induce a dire queste cose amare. Anzi: se mai - come già nota l'Inter Mirifica - è il dispiacere di vedere usati male strumenti così vali­di e preziosi per la cultura, per l'informazione, per lo stesso progresso della umana civiltà. Del resto, sono gli stessi giornali che, a volte, mettono in evidenza il cattivo esercizio di un'arte - quella della informazione - che di­venta imbroglio e caos. Nel giro di meno di una settima­na, mi sono imbattuto, su due giornali diversi in questi tito­li con interrogativo: "La ve­rità non esiste?" e "I telegior­nali informano?" dove le do­mande suonano come voce di allarme ampiamente poi do­cumentata nei due articoli. Ed ho trovato questo altro ti­tolo che è una vera e forte ac­cusa: "Quando un'inchiesta TV monca diventa ingiurio­sa". E parlava della inchiesta televisiva sull'amore in Italia dove si tentava di presentare come generali nel nostro pae­se le aberrazioni e le frustra­zioni di pochi infelici. Tanto che un grosso quotidiano pensò bene di intitolare un suo servizio così: "La repub­blica italiana è basata sull'a­dulterio".

Evidentemente siamo in un clima artificiale che rasenta il paranoico e siamo lontani le mille miglia da un servizio al­la verità, in vista dell'uomo, per onorare la sua dignità, per farlo crescere cultural­mente e moralmente.

Ma, dagli esempi della cro­naca, che hanno la durata di un giorno, torniamo ai princi­pii su cui la Chiesa non ten­tenna, nonostante le innume­revoli offese inflitte sia ai co­mandamenti di Dio e sia allo stesso buon senso, non che al rispetto delle persone e perfino della buona educazio­ne.

 

Principi fermi

Il Concilio aveva auspicato l'iniziativa di una Giornata Mondiale delle Comunica­zioni sociali da tenersi ogni anno per lo studio di temi sempre diversi. Nel 1972, la VI Giornata volle attirare l'attenzione dei credenti su questo tema: "Gli strumenti della Comunicazione sociale al servizio della verità". Pao­lo VI volle rendersi presente a questa celebrazione come a quelle precedenti e seguenti, con un suo messaggio in cui ci pare di riscontrare, tra gli altri, questi punti particolar­mente validi per uno studio etico su questo delicato argo­mento. Vediamo di sunteg­giarli il più chiaramente pos­sibile.

- L'uomo moderno è sem­pre esposto all'influsso degli strumenti delle comunicazio­ni sociali nel suo modo di pensare, di giudicare, di agi­re.

- Di fronte ai richiami, alle immagini e alle sollecitazioni più varie, giovani e adulti de­vono porsi il problema: dov'è la verità? Come attingerla o riscoprirla?

- Non sempre è facile per­cepire i molti aspetti che for­mano e compongono la verità nella sua completezza. Deve perciò esserci un impegno se­rio da parte di chi deve co­municarla per presentarla nel modo più integro possibile e da parte di chi deve percepir­la per assorbirla nella sua in­terezza.

- L'informatore deve cer­care ed inquadrare cause ed effetti, quasi con uno sforzo di "ricerca scientifica". Al­trettanto impegno deve in se­guito porre nel fornire, insie­me con la relazione del fatto, elementi di spiegazione, di orientamento e di giudizio.

- Tanta più delicatezza e competenza si dovrà poi usa­re nei confronti dell'informa­zione religiosa, che sempre va osservata e data alla luce della fede.

- I ricettori della comuni­cazione sociale devono ren­dersi capaci di contribuire al­la conquista della verità, an­che quella concreta e quoti­diana dei singoli avvenimenti: devono perciò esercitarsi a non recepire supinamente ma a formare un loro proprio giudizio autonomo, in modo da poter vagliare, giudicare, scegliere dando la propria adesione alle migliori opinio­ni.

 

Verità nella cultura e nell'arte, per la libertà

- Anche gli aspetti ricrea­tivi e culturali della comuni­cazione sociale devono esse­re vagliati con "la facoltà cri­tica" dell'individuo, sempre sufficientemente desta circa il riferimento alla verità onde saper avvertire le eventuali deviazioni.

- Anche l'arte, nelle sue forme espressive o descritti­ve, per aiutare l'uomo ad es­sere un discepolo e un ricer­catore della verità, deve «contribuire alla ricerca e al godimento del vero e del bel­lo, che ovviamente esclude ogni sfruttamento, per specu­lazione commerciale o per al­tri fini biasimevoli, della de­bolezza umana».

- I cristiani, in particolare, «siano in mezzo al mondo, dentro le realtà umane di ogni giorno, gli umili ma con­vinti testimoni della verità in cui credono». Gli odierni strumenti della comunicazio­ne sociale sono le nuove grandi vie aperte anche ai cri­stiani per il loro compito di testimonianza e di servizio al­la verità.

Il messaggio termina di­cendo che se siamo veri cul­tori - discepoli e testimoni - della verità, sboccerà anche per noi la vera libertà: «Li­bertà dalla passioni umane e dai pregiudizi intellettuali; li­bertà dalla paura dell'insuc­cesso e della sconfitta; libertà da ogni asservimento a parti­colari gruppi di potere o di pressione che impongono de­terminate interpretazioni del­la vita e della cronaca svinco­late da qualsiasi dipendenza dalla verità; libertà dall'arri­vismo che spinge a nasconde­re e confondere la verità per coprire degradanti vergogne e talvolta finalità persino inu­mane».

 

 

Manipolazione e massificazione

Parole sante che mettono in stretto collegamento fra lo­ro - sul piano sociale - la ve­rità e la libertà, in quanto molti falsi e molte non-verità delle odierne comunicazioni sociali ci impongono nuove forme di schiavitù, quasi inavvertibile, di idee preco­stituite che nulla hanno a che vedere con la realtà delle co­se e degli avvenimenti e ci in­ducono ad assumere modelli di comportamento estroversi ed estranei. Chi è succube di tante idee correnti e sbaglia­te, non è libero, ma "pensa per delega" e serve ad inte­ressi non suoi ma altrui.

Assistiamo, purtroppo, a fenomeni macroscopici di massificazione in cui le co­scienze vengono addormen­tate e le volontà manipolate. Pensiamo soltanto a ciò che è accaduto in Italia, in occasio­ne del referendum per il di­vorzio. A cominciare dalla domanda artificiosa mal po­sta per finire nella propagan­da falsa e massiccia a senso unico, si è arrivati al risultato negativo che non risponde af­fatto all'opinione della massa del popolo. Si è assistito alla "commedia degli inganni col­lettivi", dalle cifre fantasiose alle minacce, con il dispregio più avvilente della verità. Ed una vicenda un po' simile l'abbiamo vissuta nel nostro Paese in occasione del dibat­tito in Parlamento sull'abor­to.

 

 

La pubblicità

Un altro aspetto dei mezzi delle Comunicazioni sociali, e non degli ultimi, in cui la verità viene giocata per il classico piatto di lenticchie è quello della pubblicità. Nes­suno ci crede... ma tutti l'ac­cettano e la bevono come ac­qua dissetante nel solstizio d'estate.

Vi è tutto un lavoro da compiere per educare il cri­stiano alla ricezione critica dei messaggi pubblicitari, perché avverta le insidie dei loro contenuti, si difenda dal­la loro propaganda aggressi­va, si immunizzi dalle sugge­stioni insinuanti che tendono a far passare come necessario ciò che è solo voluttuario, re­spinga vigorosamente e con ogni mezzo le suggestioni che vogliono soffocare ogni buon senso immedesimando suc­cessi e felicità nella vita ad il­lusorie promesse di giovinez­za, di forza, di bellezza "ga­rantite" da prodotti sempre più o meno inutili e tante vol­te dannosi.

Non c'è però di che stupir­ci, perché in fatto di verità certe reclame sono alla stessa altezza di molte interviste manipolate, di vari documen­tari girati ad usum delphini, di sceneggiati televisivi che non si scostano affatto, anzi, dai fantasiosi romanzi cosid­detti storici. Oggi, chiedere di avere informazioni che siano insieme obiettive, imparziali, complete è un po' come chie­dere la luna nel pozzo. Ab­biamo pluralismo e voci di­verse, abbiamo "zebrature", abbiamo immagini cangianti e variopinte che obbediscono ai gusti e alla voce del padro­ne o dei padroni, e solo parti­celle e fra loro slegate di ve­rità.

Vi è poi un modo di tradire la verità che è quello di tace­re o di far tacere. Istruttivo in proposito l'esempio recente che è finito anche alla Came­ra per l'interpellanza di un deputato. Ad una donna, in­cinta da vari mesi e seque­strata, viene chiesto dopo la liberazione: che cosa mag­giormente l'ha confortata du­rante la prigionia? «Il pensie­ro di Dio e del mio bambino»

risponde. Ma questa risposta non quadra con le ideologie di una rete televisiva e di vari giornali, per cui essa viene re­golarmente censurata e taciu­ta. Ecco come la verità può anche essere sepolta tacendo.

Forse, nel desiderio di met­tere in evidenza particolari oltraggi perpetrati contro la verità, abbiamo lasciato un po' scoperto l'aspetto positi­vo di quegli strumenti delle comunicazioni sociali che ve­ramente e generosamente la­vorano per la verità facendo­la bandiera del loro operato. Ma si sa: in ogni comanda­mento divino, e quindi l'otta­vo compreso, vi è la parte po­sitiva e la parte negativa e marcando con più ombra l'u­na si mette in maggior luce l'altra.

Questo dovrebbe essere il codice del giornalista, quello televisivo compreso: dire ai lettori la verità, senza timore, senza forzature, senza equi­voci. Che l'accettino o no, es­sere fedele alla verità, dirla sempre con insistenza, con efficacia professionale: ren­derla comprensibile quanto più è possibile. Farsi capire, non distorcerla e non atte­nuarla mai. Rifuggire dalla menzogna ed essere nemico implacabile dell'inganno e della falsa logica.

Il compito più importante del giornale - del radiogior­nale e del telegiornale - è po­sitivo, costruttivo, fecondo: seminare la verità nelle menti dei lettori, aiutarne la cresci­ta, illuminare la coscienza pubblica e privata, sostenere i valori e i principii che si ad­dicono alla dignità e alla in­telligenza dell'uomo creato a somiglianza di Dio.

 

 

La parola al servizio del Regno di Dio

Non possiamo concludere questo breve studio sulla pa­rola e sulla verità senza ricor­dare che il cristiano mette la sua parola al servizio della verità totale, cioè del messag­gio di Dio agli uomini. La pa­rola non solo diviene uno strumento indispensabile per la convivenza sociale, ma an­che un mezzo di diffusione del Vangelo. Questo lieto an­nuncio i cristiani lo diffondo­no in famiglia, nella scuola, nell'ambiente di lavoro, tra gli amici, con i mezzi di co­municazione sociale e in ogni occasione, poiché devono es­sere «sempre pronti a rende­re ragione della speranza che è in loro».

Il cristiano veritiero serve il regno di Dio e combatte quello di Satana basato sulla menzogna e sulla falsificazio­ne: perciò si impegna a libe­rare i fratelli dalle illusioni generate da falsi ideali di vita e dal clima di sfiducia e di odio che nasce dalla maldi­cenza. E sa essere fedele alla verità anche quando ciò gli procura disprezzo e persecu­zione, perché allora egli di­venta più simile a Cristo.

 

 

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