Parrocchia di
S. Ambrogio in Mignanego (GE) |
strumenti di riflessione |
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1° Comandamento - 2° Comandamento
- 3° Comandamento - 4° Comandamento 5° Comandamento - 6°-9° Comandamento/1
- 6°-9°
Comandamento/2 7°-10° Comandamento - 8° Comandamento |
8°
Comandamento Non
pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo |
Verità,
dignità della persona e convivenza umana La verità è
una esigenza fondamentale della persona e della stessa vita umana. Può essere
definita un bene che fa l'uomo più completo e rende la sua esistenza
possibile nei rapporti molteplici che si intrecciano nella società. Senza
scendere nelle distinzioni fra nescienza, ignoranza, insipienza, zotichezza
ed altre, possiamo semplicemente dire che l'uomo tanto più è uomo guanto più
conosce e non solo nel mondo delle idee e della scienza ma anche nel mondo
dei fatti, degli avvenimenti, nelle realtà dei singoli e della comunità. Per questo,
diciamo che la verità è un valore decisivo anche nelle relazioni umane.
Comunicazione della verità è comunicazione della persona. Il contatto e la
comunione personale sono possibili solo là dove gli uomini si incontrano nell'aspirazione
alla verità e nella comunicazione vicendevole di essa. Non è possibile
costruire alcuna comunione reale sulla mancanza di verità e sulla menzogna. Oggi è necessario superare le difficoltà particolari che, nell'eccessivo incrociarsi di voci e messaggi diversi, rendono più ardua la ricerca della verità; ed è necessario anche vincere lo scetticismo, generato da troppe confusioni tra verità ed errori, e che minaccia di soffocare se non la fiducia nella verità almeno la speranza di poterla raggiungere. «Verità» nella S. Scrittura Per comprendere la ricchezza del termine "verità", è opportuno analizzare anzitutto il significato che questa parola ha nella S. Scrittura. Nell'Antico Testamento, verità è in primo luogo un attributo di Dio e delle sue manifestazioni: nel suo incontro con il popolo eletto egli si rivela come Dio di verità, o Dio fedele; tale si manifesta nelle sue opere - siano esse il grande gesto della creazione, o gli interventi nella storia - e nelle sue decisioni che sono salde come la roccia. La parola è il tipico strumento di incontro di Dio con il suo popolo: essa si articola nelle promesse che meritano una fiducia assoluta. Parola ed opera di Dio per eccellenza è l'alleanza: in essa si concentra l'azione favorevole del Signore e risuona la parola come caratteristica del Dio vivente che chiama ad una risposta. Dio si rivolge al popolo in maniera fedele e costante e perciò anche il popolo deve rispondere allo stesso modo: deve servire Dio "con sincerità e fedeltà", camminare "nella verità" davanti a Dio e 'fare la verità" (1). Le espressioni citate indicano non solo un atteggiamento di sincerità, ma un comportamento etico più generale che coincide con l'osservanza di tutta la legge di Dio e compendia la lunga serie delle azioni del giusto. Particolare importanza è attribuita alla verità nei rapporti sociali: come Dio è buono e fedele, così i membri del suo popolo sono chiamati ad essere misericordiosi e fedeli gli uni verso gli altri, soprattutto nell'amministrazione della giustizia. Per il Nuovo Testamento, la verità in senso pieno consiste nella rivelazione dell'amore di Dio in Cristo, predicato al mondo come Vangelo di salvezza. La verità che risplende nella predicazione del Vangelo è fondata sulla Parola e sulla Persona di Gesù. Il suo insegnamento, che si presenta come sicuro, autorevole, e proveniente da Dio, si esplica in una situazione di contrasto: Gesù non è solo rivelatore, ma testimone fedele; venuto in questo mondo per rendere testimonianza alla verità, è rimasto fedele alla sua missione e non ha esitato a farlo a prezzo della sua stessa vita, quando il rivelare la verità ai suoi nemici significava per lui la condanna a morte. Quindi la verità è caratteristica fondamentale non solo della parola di Gesù, ma anche della sua persona. Tra le tante definizioni che Gesù ha dato di se stesso, troviamo nel vangelo di Giovanni anche questa: "Io sono la via, la verità e la vita": egli è la verità in persona, il compimento delle promesse, la rivelazione vivente del Padre. Rapporto stabile e intimo con la verità Ne consegue che anche il cristiano - discepolo di Cristo - ha un rapporto stabile ed intimo con la verità, che esclude in modo assoluto la menzogna. La verità conosciuta è una forza che spinge all'azione, a 'fare la verità" e a "camminare nella verità": l'agire del cristiano è obbedienza concreta alla verità accolta come rivelazione di Dio e conosciuta nell'imitazione pratica della verità fatta persona. Gesù non poteva tollerare l'ipocrisia dei farisei che esteriormente ostentavano un'osservanza scrupolosa della legge, ma internamente erano i primi a falsificarla e a trasgredirla. Mite e misericordioso verso i peccatori, ha avuto parole roventi contro gli ipocriti: «Guai a voi, che siete simili a sepolcri imbiancati»; e dai suoi discepoli ha richiesto un comportamento leale e un linguaggio assolutamente sincero: il sì e il no debbono bastare per garantire la verità delle proprie affermazioni. La verità è anche forza liberatrice dalla legge e dal peccato: la sua conoscenza rende integralmente liberi: «Se perseverate nella parola, sarete davvero miei discepoli e conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Verità nell'essere e nel parlare Dalla breve analisi fatta sui testi biblici, comprendiamo subito che la verità (o veracità) non consiste solo nel dire il vero al prossimo. Lo stare e l'agire nella verità richiedono molto di più. Prima ancora di essere verace nel parlare, il cristiano deve cercare di essere sempre e dovunque quel che egli è nella sua realtà più intima. Dio ci dà delle doti naturali e ci rende partecipi della sua vita divina; noi dobbiamo collaborare in maniera libera per essere realmente quel che Dio ci ha fatto e per portare a fioritura e maturazione il germe deposto in noi. S. Paolo dice che nel nostro essere e nella nostra vita dobbiamo corrispondere alla vocazione a cui siamo stati chiamati (10), in modo conforme alla nostra natura e al fine della nostra esistenza che non è limitato agli orizzonti terreni. Sotto questo punto di vista ogni peccato è una menzogna, perché con esso l'uomo si oppone in pratica al proprio orientamento e destino soprannaturale. Inoltre, poiché Dio ci ha creati come esseri capaci di pensare e di conoscere, dobbiamo anche giungere, per quanto possibile, alla conoscenza della verità oggettiva. Ciò comporta la lotta contro la pigrizia spirituale e l'apertura all'ascolto di chi è più esperto e competente di noi. L'esigenza di verità nel parlare (espressione orale e scritta) è una conseguenza della verità nell'essere e nel pensare: la parola o il gesto devono corrispondere a ciò che vi è nell'interno dell'uomo. La parola ci è stata data perché comunichiamo tra noi nella verità. Ognuno sente istintivamente che il grande dono di poter comunicare con gli altri va usato in un clima di verità e di fiducia. Da un medico, per esempio, ci attendiamo che faccia tutto quello che è in suo potere per aiutarci quando siamo ammalati e crediamo alla sua parola: prendiamo la -medicina che ci indica, affrontiamo l'operazione che ci dichiara necessaria. Ci fidiamo della sua rettitudine. Il più alto grado di fiducia si ha quando due persone, ad esempio un giovane e una ragazza, si manifestano il reciproco amore. Uno crede alla parola dell'altro e, se i due un giorno decidono di sposarsi, rischiano in un certo senso tutta la vita sulla parola e sulla fedeltà dell'altro. I rapporti tra gli uomini non possono sussistere senza la lealtà e la verità; la vita comunitaria e sociale diventerebbe impossibile se gli uomini non fossero tenuti a dirsi vicendevolmente la verità, e la mutua fiducia sarebbe distrutta in partenza. Ma la motivazione profonda di questo dovere per un cristiano è religiosa. Dopo che Dio, nella rivelazione, ha donato agli uomini la sua verità e la sua fedeltà, gli uomini sono tenuti alla veracità nei loro rapporti umani. 1 cristiani sono diventati membra del corpo di Cristo che è la verità, e di conseguenza devono essere veraci gli uni verso gli altri: «Rigettando ogni menzogna, dite la verità ciascuno al prossimo suo, perché siamo membra gli uni degli altri». «Fate la verità nella carità» Così ci raccomanda S. Paolo. Il nostro impegno nell'essere sinceri e leali è perciò soprattutto motivato dall'amore per Dio e per il prossimo. Questo duplice amore ispira sia il nostro parlare che il nostro tacere: quando parliamo dobbiamo dire il vero; però non possiamo dire tutto quel che è vero o che riteniamo sinceramente come tale; esistono cose che conosciamo e che portiamo nel cuore ma che non possiamo lecitamente manifestare al di fuori. La comunità umana esige il rispetto della sfera intima dei singoli (ogni personalità matura ha i suoi segreti) e anche che i singoli abbiano la possibilità di manifestare i propri segreti a qualcuno, senza temere che vengano resi di pubblico dominio. D'altra parte il bene comune può anche esigere che si facciano conoscere determinati segreti. Analizziamo brevemente e senza scendere nei particolari i doveri morali in questo campo. Anzitutto è necessario conservare i propri segreti personali. La dignità di ciascuno e sovente anche il rispetto verso gli altri impongono di non far conoscere in pubblico i segreti riguardanti la propria persona. In secondo luogo occorre rispettare i segreti degli altri e conservarli, a meno che un motivo importante ne renda lecita o doverosa la rivelazione. I motivi che ci obbligano a non tradire i segreti riguardanti il prossimo sono molti: il diritto dell'uomo alla sua sfera intima, il dovere dell'amore che impone di non far soffrire e di non danneggiare gli altri, la fedeltà nel mantenere la promessa di conservare il segreto, l'accordo esplicito o tacito (ad es. nelle confidenze), l'esercizio di determinate professioni (segreto professionale). Altre volte, invece, proprio per dovere di giustizia e di carità, occorre parlare e rivelare anche i segreti: per esempio, quando si tratta di salvaguardare il bene comune oppure di testimoniare in tribunale. Naturalmente in ogni caso il segreto va rivelato solo alle persone competenti e solo nella misura necessaria. Il mentire, invece, non è mai carità, perché va sempre contro la legge di Dio e in un modo o nell'altro danneggia il prossimo. La menzogna o bugia è una manifestazione simulata del proprio intimo, la quale in realtà contraddice al sentimento e alla convinzione interiore. La si può esprimere con parole oppure con altri segni esteriori. Si è soliti distinguere tra bugia materiale quando ci si esprime secondo la propria convinzione ma in contrasto con la verità oggettiva delle cose; bugia formale quando, pur affermando una cosa obiettivamente giusta, si è convinti che non lo sia; e bugia materiale e formale insieme, quando volontariamente si afferma il contrario della verità conosciuta. Inoltre, a seconda del motivo per cui è espressa, si può distinguere la bugia detta per scherzo, la bugia ufficiosa (con cui si cerca di evitare un danno o di assicurarsi un vantaggio) e la bugia dannosa (con cui si vuole procurare un danno al prossimo). Da quanto già abbiamo detto sopra, risulta chiaro che la menzogna - pur comportando diversi livelli di gravità - è in netto contrasto con lo scopo del linguaggio umano e con lo spirito che il Vangelo ci raccomanda. Tutelare l'onore e la buona fama Nonostante i diversi modi di intendere la persona, tutti sono concordi nel ritenere l'onore una componente essenziale dell'essere e della vita umana. Per l'uomo è cosa naturale proteggere e sviluppare i valori della propria persona e rendersi così degno di onore, nel desiderio di ottenere il rispetto del prossimo. L'onore dell'uomo ha il suo fondamento più profondo in Dio: l'uomo è degno di onore perché è creatura di Dio, chiamato a partecipare alla gloria di Cristo e a rispondere, attraverso lo sforzo morale, alla sua vocazione. Quando non si considera più l'uomo alla luce di Dio, la concezione dell'onore umano subisce immediate conseguenze. La mancanza o l'indebolimento della fede portano a stabilire come criterio di onore cose che, a paragone della sua fonte autentica risultano incomplete (ad es. la rettitudine morale) o addirittura insignificanti (ad es. la bellezza fisica, la condizione sociale, l'abilità sportiva, la ricchezza...). Al posto dell'onore autentico subentra il prestigio, di solito accompagnato dal disprezzo degli altri che non sanno compiere le stesse prestazioni morali o non hanno le medesime qualità. L'onore ha un grande ruolo nei rapporti interpersonali, basati sul riconoscimento e sulla stima reciproca. E questo è tanto più vero nel caso di coloro che sono destinati ad assumere un ruolo di guida e di responsabilità (ad es. i genitori, gli educatori, le autorità...). Solo se essi sono personalmente degni di onore e vengono rispettati sono in grado di servire il bene comune. Inoltre, l'aspirazione a conservare l'onore costituisce un motivo morale molto valido per agire bene. Il proprio onore L'uomo - e soprattutto il cristiano - deve rispettare interiormente se stesso, essere umile e grato a Dio da cui ha ricevuto ogni bene e cercare di sviluppare le proprie capacità. Deve, inoltre, proteggere il proprio onore e il proprio buon nome compiendo il bene e meritando così di essere onorato e stimato. Ciò vale in particolare, ripetiamo, per tutti coloro che occupano una posizione di responsabilità. Chi è superbo e vanitoso pecca contro il rispetto dovuto alla propria persona, in quanto ascrive a se stesso le capacità che gli vengono da Dio, vede in sé solo il bene e lo amplifica. Anche l'ambizioso sopravvaluta l'importanza dell'onore e cade facilmente nel pericolo di cercare in primo luogo il proprio onore anziché l'onore di Dio e, spesso, mettendo sotto i piedi l'onore degli altri. L'onore del prossimo Il primo dovere al riguardo è di rispettare interiormente il prossimo e pensare bene di lui, stimandolo più di noi stessi. Ciò comporta di evitare: - il sospetto, con cui cerchiamo di diminuire il bene presente negli altri e di attribuire loro addirittura il male, in base a semplici supposizioni. Il sospetto può anche essere fondato, ma noi non dobbiamo pensare male del prossimo finché la cosa non è dimostrata; e quando lo é, dobbiamo capirlo dentro di noi e scusarlo; - il giudizio temerario, con cui riteniamo come certo un difetto o un peccato del prossimo senza fondati motivi. Solo Dio conosce il cuore dell'uomo e quindi egli solo può giudicare. Un ulteriore dovere consiste nell'esprimere esteriormente il rispetto interiore che portiamo al prossimo; e qui le occasioni e i modi possono essere molti: dal saluto rispettoso a un modo di trattare educato, dal dire parole di riconoscimento e di lode alla sua presenza o in presenza di altri al capire e scusare eventuali mancanze... Possiamo quindi mancare contro l'onore esteriore del prossimo semplicemente rifiutandogli il saluto, o più gravemente - con l'oltraggio, quando gli manifestiamo in faccia il nostro disprezzo e lo insultiamo; - con la diffamazione e la maldicenza, cioè quando affermiamo senza motivo cose vere che danneggiano la buona reputazione altrui; - con la calunnia, attribuendo falsamente al prossimo il male che egli non ha affatto commesso, spinti dall'odio, dall'invidia o da altri moventi. Evidentemente quest'ultima mancanza è la più grave. Rientrano in questa specie di ginepraio morale anche il pettegolezzo o denigrazione e le lettere anonime, che spesso non soltanto distruggono o mettono in pericolo l'onore, ma anche la concordia tra le persone. L'uomo, dunque, ha diritto al proprio onore e al proprio buon nome. Chi ha intaccato o addirittura distrutto ingiustamente l'onore del prossimo è obbligato dalla giustizia e dalla carità a ristabilirlo nella stessa misura in cui l'ha offeso. Ma ciò non è facile, anzi qualche volta è impossibile: di qui si comprende più facilmente la gravità delle mancanze sopra ricordate. San Bernardo diceva che le parole volano rapidamente e passano con velocità; ma in questo passaggio, in questo rapido volo, fanno ferite pericolose e profonde; entrano con facilità nella mente, ma difficilmente ne escono. Un capitolo nuovo da esplorare In questi ultimi anni, con il progresso, anzi con il trionfo degli strumenti della comunicazione sociale, soprattutto della stampa, della radio e della televisione, si è aperto un nuovo capitolo, ancora in gran parte da esplorare sui rapporti tra uomo e verità: qual è l'influsso delle informazioni e della pubblicità sull'uomo comune, non sempre capace di distinguere il vero dal falso nella farragine di annunzi, richiami, congetture, pressioni, che possono formare o deformare l'opinione singola e pubblica, attraverso notizie errate o alterate, e a volte soltanto taciute o comunicate parzialmente? Diceva nel suo primo incontro con i giornalisti Giovanni Paolo II: « È sufficiente che un elemento sia dimenticato per inavvertenza, omesso volontariamente, minimizzato o, al contrario, accentuato oltre misura, per falsare la visione presente o le previsioni avvenire». Ma il Magistero pontificio, sin dai tempi di Gregorio XVI (1831-1846), è stato sollecito nel richiamare in forme diverse l'attenzione dei giornalisti e dei lettori sui molti pericoli morali che possono derivare, ai danni della stessa giustizia e della stessa libertà, da resoconti tendenziosi di avvenimenti, da informazioni interessate e non corrispondenti alla realtà dei fatti, da pressioni psicologiche intese non solo a smuovere le passioni, ma a turbare le coscienze, a storcere in parte o totalmente la verità per fini economici, ideologici, politici. È stato però soprattutto il Concilio ecumenico Vaticano II ad affrontare, per la prima volta nella storia della Chiesa, in modo solenne e completo, il problema anche pastorale degli strumenti della comunicazione sociale, con il decreto Inter mirifica. Dopo aver espresso ammirazione per l'importanza, la perfezione e la validità sempre crescenti di questi mezzi, i padri conciliari hanno avvertito: Il retto esercizio del diritto che ha la società umana ad essere informata esige che la comunicazione, per quanto riguarda il contenuto, sia sempre veritiera ed integra, nel rispetto della giustizia e della carità. Inoltre, per quanto riguarda il modo, sia onesta e conveniente, cioè rispetti rigorosamente le leggi morali, i diritti e la dignità dell'uomo, tanto nella ricerca delle notizie quanto nella loro divulgazione». E ancora più chiaramente l'Istruzione pastorale Communio et progressio, pubblicata nel maggio 1971 per l'esatta applicazione del precedente decreto conciliare, afferma che «requisiti essenziali di ogni comunicazione sono la sincerità, l' onestà, la veracità. Buona intenzione e volontà retta non bastano: occorre che, di fatto, essa corrisponda alla verità delle cose, riflettendole nella loro realtà in una luce di interiore veridicità. La validità e moralità di una comunicazione dipenderanno non solo dal suo contenuto, né soltanto dall'intenzione di chi comunica, bensì anche dalla maniera in cui viene fatta, dai modi e dai mezzi di espressione e di persuasione usati». Verità e cronaca Basti pensare, per meglio comprendere il significato nella queste parole, come nella stessa cronaca quotidiana di fatti anche clamorosi - ad es. uno o più omicidi durante moti di piazza - sia difficile sapere esattamente come si sono svolte le cose, per la diversità, a volte anche sostanziale, con cui sono presentate da giornali o da reti televisive di varie tendenze. Tanto più se nei fatti sono implicati personaggi di partito o le vicende riguardano atteggiamenti o motivazioni di ordine politico. È facile in questi casi entrare in una specie di torre di babele in cui la verità, invece di restare vergine ed unica come dovrebbe, viene allegramente strapazzata e rivestita di tutti i colori dell'iride. Infatti, anche quando tale cronaca finisce in tribunale, la miglior buona volontà dei giudici non sempre riesce, neppure con anni ed anni di lavoro, a dipanare la matassa ingarbugliata in cui la verità viene nascosta e soffocata. E cosi accade che, dinanzi alla sfacciataggine di troppi che cercano di mimetizzare o totalmente velare la verità, anche «molti di quelli stessi che amano la verità, come bloccati da una timidezza fuori luogo, non osano manifestare liberamente quello che pensano». Un frutto della guerra? Qualcuno pensa che sia anche questo uno dei frutti nefasti della guerra, di quando cioè i giornali e le radio delle varie nazioni andavano a gara per buttare in piazza le notizie più sballate pur di imbrogliare il nemico. Può darsi. Ma non è certo un sistema accettabile in periodo di pace, se non si vuole ridurre la società ad una giungla piena di bestie velenose. Già Pio XII, subito dopo il conflitto, osservava con amarezza: «Lo stigma che porta sulla fronte il nostro tempo, e che è causa di disgregazione e di decadimento, è la tendenza sempre più manifesta alla insincerità. Mancanza di veracità, che non è soltanto un espediente occasionale, un ripiego per trarsi di impaccio in momenti di improvvise difficoltà o d'impreveduti ostacoli. No. Essa apparisce al presente quasi eretta a sistema, elevata al grado di una strategia in cui la menzogna, il travisamento delle parole e dei fatti, l'inganno sono divenuti classiche armi offensive, che alcuni maneggiano con maestria, orgogliosi della loro abilità; tanto l'oblio di ogni senso morale è, ai loro occhi, parte integrante della tecnica moderna nell'arte di formare la pubblica opinione, di dirigerla, di piegarla». Da allora nulla è cambiato in meglio, anzi molto è cambiato in peggio, anche perché alla stampa e alla radio si sono ora uniti la televisione e i mille strumenti minori - dal manifesto alle scritte murali - che non sempre si pongono a servizio della verità o della semplice obiettività. Motivi di amarezza Non è certo il malanimo che ci induce a dire queste cose amare. Anzi: se mai - come già nota l'Inter Mirifica - è il dispiacere di vedere usati male strumenti così validi e preziosi per la cultura, per l'informazione, per lo stesso progresso della umana civiltà. Del resto, sono gli stessi giornali che, a volte, mettono in evidenza il cattivo esercizio di un'arte - quella della informazione - che diventa imbroglio e caos. Nel giro di meno di una settimana, mi sono imbattuto, su due giornali diversi in questi titoli con interrogativo: "La verità non esiste?" e "I telegiornali informano?" dove le domande suonano come voce di allarme ampiamente poi documentata nei due articoli. Ed ho trovato questo altro titolo che è una vera e forte accusa: "Quando un'inchiesta TV monca diventa ingiuriosa". E parlava della inchiesta televisiva sull'amore in Italia dove si tentava di presentare come generali nel nostro paese le aberrazioni e le frustrazioni di pochi infelici. Tanto che un grosso quotidiano pensò bene di intitolare un suo servizio così: "La repubblica italiana è basata sull'adulterio". Evidentemente siamo in un clima artificiale che rasenta il paranoico e siamo lontani le mille miglia da un servizio alla verità, in vista dell'uomo, per onorare la sua dignità, per farlo crescere culturalmente e moralmente. Ma, dagli esempi della cronaca, che hanno la durata di un giorno, torniamo ai principii su cui la Chiesa non tentenna, nonostante le innumerevoli offese inflitte sia ai comandamenti di Dio e sia allo stesso buon senso, non che al rispetto delle persone e perfino della buona educazione. Principi fermi Il Concilio aveva auspicato l'iniziativa di una Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali da tenersi ogni anno per lo studio di temi sempre diversi. Nel 1972, la VI Giornata volle attirare l'attenzione dei credenti su questo tema: "Gli strumenti della Comunicazione sociale al servizio della verità". Paolo VI volle rendersi presente a questa celebrazione come a quelle precedenti e seguenti, con un suo messaggio in cui ci pare di riscontrare, tra gli altri, questi punti particolarmente validi per uno studio etico su questo delicato argomento. Vediamo di sunteggiarli il più chiaramente possibile. - L'uomo moderno è sempre esposto all'influsso degli strumenti delle comunicazioni sociali nel suo modo di pensare, di giudicare, di agire. - Di fronte ai richiami, alle immagini e alle sollecitazioni più varie, giovani e adulti devono porsi il problema: dov'è la verità? Come attingerla o riscoprirla? - Non sempre è facile percepire i molti aspetti che formano e compongono la verità nella sua completezza. Deve perciò esserci un impegno serio da parte di chi deve comunicarla per presentarla nel modo più integro possibile e da parte di chi deve percepirla per assorbirla nella sua interezza. - L'informatore deve cercare ed inquadrare cause ed effetti, quasi con uno sforzo di "ricerca scientifica". Altrettanto impegno deve in seguito porre nel fornire, insieme con la relazione del fatto, elementi di spiegazione, di orientamento e di giudizio. - Tanta più delicatezza e competenza si dovrà poi usare nei confronti dell'informazione religiosa, che sempre va osservata e data alla luce della fede. - I ricettori della comunicazione sociale devono rendersi capaci di contribuire alla conquista della verità, anche quella concreta e quotidiana dei singoli avvenimenti: devono perciò esercitarsi a non recepire supinamente ma a formare un loro proprio giudizio autonomo, in modo da poter vagliare, giudicare, scegliere dando la propria adesione alle migliori opinioni. Verità nella cultura e nell'arte, per
la libertà - Anche gli aspetti ricreativi e culturali della comunicazione sociale devono essere vagliati con "la facoltà critica" dell'individuo, sempre sufficientemente desta circa il riferimento alla verità onde saper avvertire le eventuali deviazioni. - Anche l'arte, nelle sue forme espressive o descrittive, per aiutare l'uomo ad essere un discepolo e un ricercatore della verità, deve «contribuire alla ricerca e al godimento del vero e del bello, che ovviamente esclude ogni sfruttamento, per speculazione commerciale o per altri fini biasimevoli, della debolezza umana». - I cristiani, in particolare, «siano in mezzo al mondo, dentro le realtà umane di ogni giorno, gli umili ma convinti testimoni della verità in cui credono». Gli odierni strumenti della comunicazione sociale sono le nuove grandi vie aperte anche ai cristiani per il loro compito di testimonianza e di servizio alla verità. Il messaggio termina dicendo che se siamo veri cultori - discepoli e testimoni - della verità, sboccerà anche per noi la vera libertà: «Libertà dalla passioni umane e dai pregiudizi intellettuali; libertà dalla paura dell'insuccesso e della sconfitta; libertà da ogni asservimento a particolari gruppi di potere o di pressione che impongono determinate interpretazioni della vita e della cronaca svincolate da qualsiasi dipendenza dalla verità; libertà dall'arrivismo che spinge a nascondere e confondere la verità per coprire degradanti vergogne e talvolta finalità persino inumane». Manipolazione e massificazione Parole sante che mettono in stretto collegamento fra loro - sul piano sociale - la verità e la libertà, in quanto molti falsi e molte non-verità delle odierne comunicazioni sociali ci impongono nuove forme di schiavitù, quasi inavvertibile, di idee precostituite che nulla hanno a che vedere con la realtà delle cose e degli avvenimenti e ci inducono ad assumere modelli di comportamento estroversi ed estranei. Chi è succube di tante idee correnti e sbagliate, non è libero, ma "pensa per delega" e serve ad interessi non suoi ma altrui. Assistiamo, purtroppo, a fenomeni macroscopici di massificazione in cui le coscienze vengono addormentate e le volontà manipolate. Pensiamo soltanto a ciò che è accaduto in Italia, in occasione del referendum per il divorzio. A cominciare dalla domanda artificiosa mal posta per finire nella propaganda falsa e massiccia a senso unico, si è arrivati al risultato negativo che non risponde affatto all'opinione della massa del popolo. Si è assistito alla "commedia degli inganni collettivi", dalle cifre fantasiose alle minacce, con il dispregio più avvilente della verità. Ed una vicenda un po' simile l'abbiamo vissuta nel nostro Paese in occasione del dibattito in Parlamento sull'aborto. La pubblicità Un altro aspetto dei mezzi delle Comunicazioni sociali, e non degli ultimi, in cui la verità viene giocata per il classico piatto di lenticchie è quello della pubblicità. Nessuno ci crede... ma tutti l'accettano e la bevono come acqua dissetante nel solstizio d'estate. Vi è tutto un lavoro da compiere per educare il cristiano alla ricezione critica dei messaggi pubblicitari, perché avverta le insidie dei loro contenuti, si difenda dalla loro propaganda aggressiva, si immunizzi dalle suggestioni insinuanti che tendono a far passare come necessario ciò che è solo voluttuario, respinga vigorosamente e con ogni mezzo le suggestioni che vogliono soffocare ogni buon senso immedesimando successi e felicità nella vita ad illusorie promesse di giovinezza, di forza, di bellezza "garantite" da prodotti sempre più o meno inutili e tante volte dannosi. Non c'è però di che stupirci, perché in fatto di verità certe reclame sono alla stessa altezza di molte interviste manipolate, di vari documentari girati ad usum delphini, di sceneggiati televisivi che non si scostano affatto, anzi, dai fantasiosi romanzi cosiddetti storici. Oggi, chiedere di avere informazioni che siano insieme obiettive, imparziali, complete è un po' come chiedere la luna nel pozzo. Abbiamo pluralismo e voci diverse, abbiamo "zebrature", abbiamo immagini cangianti e variopinte che obbediscono ai gusti e alla voce del padrone o dei padroni, e solo particelle e fra loro slegate di verità. Vi è poi un modo di tradire la verità che è quello di tacere o di far tacere. Istruttivo in proposito l'esempio recente che è finito anche alla Camera per l'interpellanza di un deputato. Ad una donna, incinta da vari mesi e sequestrata, viene chiesto dopo la liberazione: che cosa maggiormente l'ha confortata durante la prigionia? «Il pensiero di Dio e del mio bambino» risponde. Ma questa risposta non quadra con le ideologie di una rete televisiva e di vari giornali, per cui essa viene regolarmente censurata e taciuta. Ecco come la verità può anche essere sepolta tacendo. Forse, nel desiderio di mettere in evidenza particolari oltraggi perpetrati contro la verità, abbiamo lasciato un po' scoperto l'aspetto positivo di quegli strumenti delle comunicazioni sociali che veramente e generosamente lavorano per la verità facendola bandiera del loro operato. Ma si sa: in ogni comandamento divino, e quindi l'ottavo compreso, vi è la parte positiva e la parte negativa e marcando con più ombra l'una si mette in maggior luce l'altra. Questo dovrebbe essere il codice del giornalista, quello televisivo compreso: dire ai lettori la verità, senza timore, senza forzature, senza equivoci. Che l'accettino o no, essere fedele alla verità, dirla sempre con insistenza, con efficacia professionale: renderla comprensibile quanto più è possibile. Farsi capire, non distorcerla e non attenuarla mai. Rifuggire dalla menzogna ed essere nemico implacabile dell'inganno e della falsa logica. Il compito più importante del giornale - del radiogiornale e del telegiornale - è positivo, costruttivo, fecondo: seminare la verità nelle menti dei lettori, aiutarne la crescita, illuminare la coscienza pubblica e privata, sostenere i valori e i principii che si addicono alla dignità e alla intelligenza dell'uomo creato a somiglianza di Dio. La parola al servizio del Regno di Dio Non possiamo concludere questo breve studio sulla parola e sulla verità senza ricordare che il cristiano mette la sua parola al servizio della verità totale, cioè del messaggio di Dio agli uomini. La parola non solo diviene uno strumento indispensabile per la convivenza sociale, ma anche un mezzo di diffusione del Vangelo. Questo lieto annuncio i cristiani lo diffondono in famiglia, nella scuola, nell'ambiente di lavoro, tra gli amici, con i mezzi di comunicazione sociale e in ogni occasione, poiché devono essere «sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in loro». Il cristiano veritiero serve il regno di Dio e combatte quello di Satana basato sulla menzogna e sulla falsificazione: perciò si impegna a liberare i fratelli dalle illusioni generate da falsi ideali di vita e dal clima di sfiducia e di odio che nasce dalla maldicenza. E sa essere fedele alla verità anche quando ciò gli procura disprezzo e persecuzione, perché allora egli diventa più simile a Cristo. |