Parrocchia di S. Ambrogio

in Mignanego (GE)

 

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il Comandamento NUOVO

 

Il «Comandamento Nuovo»

 

I cristiani non possono leggere l'Antico Testamento come se fos­se per loro la parola definitiva. Anche noi abbiamo disseminato spon­taneamente, nella lettura del Decalogo, citazioni di testi del Nuovo Testamento. Siamo stati sospinti come naturalmente verso questo luogo in cui le Scritture antiche trovano compimento e senso defi­nitivo. Al termine del nostro percorso converrà dunque che ci radi­chiamo più a fondo in questo luogo.

 

«Non sono venuto ad abrogare la Legge e i Profeti ma a compierli»

Sulla montagna, dopo aver pronunciato le Beatitudini ed esortato i discepoli a essere «il sale della terra» e «la luce del mondo», e pri­ma di indicare loro il cammino di perfezione su cui sono stabiliti, Gesù precisa il rapporto che il suo insegnamento e la sua opera hanno con ciò che era avvenuto in precedenza: «Non crediate che io sia venuto ad abrogare la Legge e i Profeti [frase che designa quanto noi chiamiamo l'Antico Testamento]. Non sono venuto ad abroga­re ma a compiere» (Mt 5,17).

D'altra parte abbiamo visto, a proposito di questo o quel coman­damento, che Gesù stesso si riferisce al Decalogo, anche se con una certa libertà.

Forse è l'idea un po' semplice che talvolta ci facciamo della Buona Novella costituita dal vangelo a farci credere che non vi si fa più questione, come nell'Antico Testamento, di 'comandamenti'. Di fatto il 'comandamento' fa parte del vocabolario corrente di Gesù, come ce lo fanno conoscere i vangeli. Ora egli parla del Comandamento di Dio (Mt 15,3) o del Padre (Gv 12,50), ora parla del suo o dei suoi Comandamenti (Gv 13,34; 14,15).

 

Un Comandamento «nuovo»

Pure rifacendosi al vocabolario tradizionale dei 'comandamenti' e rinviando alla Legge e alle parole del Decalogo, Gesù dichiara di dare ai suoi discepoli un Comandamento nuovo: «Io vi do un Co­mandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così voi dovete amarvi gli uni gli altri. Se avrete amore gli uni per gli altri, tutti riconosceranno che siete miei discepoli» (Gv 13,34-35).

Questo comandamento è 'nuovo' sia per la sua semplicità che per la perfezione alla quale vuol subito condurre.

Di questo Comandamento Gesù parla al singolare. In altro con­testo egli dichiara che tutta la Legge e i Profeti possono in certo modo condensarsi in un Comandamento supremo, insieme unico e duplice. Al fariseo che gli chiede, «per trarlo in inganno: 'Mae­stro, qual è il più grande Comandamento della Legge?'», Gesù ri­sponde, riprendendo peraltro delle formule presenti nell'Antico Te­stamento (ma la sua originalità sta nell'accostarle insieme): «Ame­rai il Signore, Dio tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il massimo e primo Comanda­mento. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo co­me te stesso». Poi aggiunge: «Da questi due comandamenti dipen­dono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,36-40).

Nella scia di Gesù, anche san Paolo può scrivere ai Galati: «Tut­ta la Legge trova compimento in quest'unica parola: Ama il prossi­mo tuo come te stesso» (Gal 5,14).

Ma questa semplicità non deve trarre in inganno. Essa denuncia un'esigenza insuperabile. Risponde a una concentrazione estrema, sullo stile di quelle che sono capaci di trasformare la materia in ener­gia. Il Nuovo Comandamento ci accosta a tal punto alla sorgente stessa del Comandamento e della Legge da arrivare a consumarci. Gesù non ha mancato anche di presentare la figura concreta che questo Comandamento è chiamato ad assumere: «Come io ho ama­to voi - l'abbiamo sentito dire sopra, enunciando appunto il Co­mandamento nuovo - così voi dovete amarvi gli uni gli altri». Nel corso dello stesso discorso dopo la Cena, precisa ancora: «Ecco il mio Comandamento: Amatevi gli uni gli altri. Nessuno ha un amo­re più grande di colui che dà la sua vita per coloro che ama» (Gv 15,13). Questa la modalità esemplare con cui Gesù, per primo, ha vissuto il suo Comandamento.

 

Una linea di condotta ai limiti del possibile

Il Comandamento di Gesù, infinitamente semplice in via di prin­cipio, viene sviluppato nel vangelo secondo una serie di precetti che sembrano sconcertare la più elementare saggezza umana, anzi mo­strarsi inconciliabili con le condizioni umane dell'esistenza, con­traddicendo in certo modo la 'legge' del proprio funzionamento.

«Quanto a voi - chiede Gesù ai discepoli - non fatevi chiamare 'maestro': perché avete un solo Maestro e voi siete tutti fratelli. Né chiamate nessuno sulla terra vostro 'padre', perché ne avete uno solo, il Padre celeste. Né fatevi chiamare 'dottore', perché avete un solo Dottore, il Cristo» (Mt 23,8-10). Ma in che modo non con­siderare più veramente nessuno come 'padre', 'maestro' o 'dotto­re', se è vero che non possiamo fare a meno dell'eredità, della tra­dizione, del 'magistero'?

«Avete inteso che fu detto, insegna altrove Gesù, 'Amerai il pros­simo tuo e odierai il tuo nemico'. Ma io vi dico: amate i vostri ne­mici e pregate per coloro che vi perseguitano» (Mt 5,43-44). Come amare coloro che, per definizione, non amiamo affatto?

«Avete inteso come fu detto: 'occhio per occhio, dente per den­te'. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio. Ma se uno ti percuo­te sulla guancia destra, porgigli anche l'altra. E a chi ti vuole chia­mare in giudizio per toglierti la tunica, lasciagli anche il mantello»

(Mt 5,38-40). Seguire simili precetti non significa votarsi senza mezzi termini allo schiacciamento? Non veniamo rinviati al di là di ciò che è semplicemente possibile?

Effettivamente, l'applicazione di questi comandamenti costitui­rebbe la copia immediata della 'perfezione' di Dio. Ma proprio a questo Gesù intende condurre effettivamente i suoi discepoli: «Sia­te dunque perfetti come il vostro Padre celeste è perfetto» (Mt 5,48).

Anche l'eternità si vede anticipata nell'ordine (o disordine) uma­no che viene così a stabilirsi nella nostra condotta: come insegna anche la scena del giudizio universale, dove Gesù -dichiara che quanto avremo fatto, nel bene e nel male, ai più piccoli dei suoi, lo avre­mo fatto a lui stesso (Mt 25,31ss.).

 

Nel mondo della Fede e della Grazia

Bisogna riconoscerlo, il Comandamento di Gesù ci proietta agli estremi confini della nostra condizione. Ci fa toccare il mondo di Dio. Ma chi può tenersi su queste vette? Intravedendole, come a ciò a cui siamo chiamati, misuriamo tuttavia meglio la nostra debolez­za e veniamo spronati a implorare la misericordia annunciataci nel vangelo con insistenza eguale alla chiamata al superamento.

Del resto, soltanto l'incontro con la grazia di Dio, sotto la figura di Colui che sulla croce ha trionfato del peccato e della morte, ci rende capaci di mirare all'amore incondizionato a cui ci chiama il vangelo.

Il Comandamento nuovo di Cristo fa appello direttamente alla fede, ai cui occhi «ciò che è impossibile all'uomo è possibile a Dio» (Mc 10,27).

Il luogo per eccellenza dove la fede trova la sua sede e la sua sicurezza, il luogo in cui essa si attesta e prende forma più perfetta­mente che altrove, è l'eucaristia. Questo è il luogo dove le barriere dell'impossibile cadono; dove la legge del peccato che ci tiene le­gati a noi stessi e ai nostri limiti viene abolita; il luogo dove si rea­lizza, nel cuore stesso della nostra vita terreste, il mondo nuovo di Dio e della sua grazia.

Nel discorso dopo la Cena Gesù formula davanti ai discepoli il suo Comandamento, o «Comandamento nuovo, illustrato egregia­mente dalla scena della lavanda dei piedi. Il suo Comandamento - legge della sua vita - Gesù ci propone semplicemente di farlo nostro nutrendoci del suo corpo dato e del suo sangue versato.

 

 

 

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