Parrocchia di S.
Ambrogio in Mignanego (GE) |
Introduzione
alla Liturgia / 1 |
La dimensione
teologica della Liturgia |
La preghiera partecipa del Mistero di Dio; e il « Mistero » è
una realtà che ci supera da ogni parte di fronte alla quale ogni tentativo di
comprensione rimane sempre deficiente. Tenteremo umilmente di accostarci e di « entrare » nel mistero
della preghiera, attingendo la luce all'unica sorgente: la Parola di Dio e
della Chiesa. Nel suo aspetto di esperienza immediata, la preghiera appare
come realtà umana: erompe dalla vita, sgorga dal cuore, e trova la sua
espressione nel « frutto delle labbra ». In realtà essa è prima ancora realtà
divina che irrompe nella nostra vita di uomini. La nostra attività umana appartiene alla sfera sensibile del «
segno »: salmi, letture, canti, preghiere, ne sono gli elementi. Ma l'intimo
contenuto ci supera; è più grande di noi quanto più « Dio è più grande del
nostro cuore » (cf. 1 Gv 3,20); appartiene all'ordine divino e viene
dall'alto: è grazia. La nostra celebrazione è solo lo spazio umano in cui Dio entra
per compiere, oggi, in mezzo a noi, il suo mistero di salvezza. È un bene
divino che si incarna nella Chiesa in preghiera. Con ciò la realtà umana
della nostra preghiera viene divinizzata, e il dono trascendente di Dio viene
umanizzato. La Costituzione liturgica, in termini densi e suggestivi, aveva
già tracciato la parabola divina di questa incarnazione, ispirandosi forse a
una delle pagine più belle di Dom Marmion: « Gesù, prendendo la natura umana,
ha introdotto in questo esilio terrestre quell'inno che viene eternamente
cantato nelle sedi celesti » (SC 83). Ma che cosa è concretamente questo inno che risuona nel seno del
Padre? Quell'inno non è una melodia, ma una Persona; non ha parole, ma
ha un'unica Parola infinita: è A Verbo « splendore della gloria del Padre »
con cui Dio canta a se stesso un inno di perfezione infinita: da sempre e per
sempre. Poi Iddio ha squarciato i cieli ed è disceso: ha posto in mezzo
a noi la sua tenda. Quel cantico eterno scende allora sulle nostre strade;
l'umanità di Cristo è il tempio in cui esso risuona. Cristo lo traduce « con parole umane di adorazione, di
propiziazione, di intercessione » (IG 3), di lode soprattutto: nelle notti
trascorse in preghiera sui colli di Galilea dalla sera fino alla quarta
vigilia (Mt 14, 23.25; Mc 6, 46.48), nelle preghiere rivolte al Padre prima
di sanare i malati, nei Salmi celebrati con i connazionali durante il servizio
sinagogale, nel grido che ha innalzato dalla croce prima di « emettere lo
spirito ». Egli può dire, nella grande preghiera « sacerdotale » che si pone
al vespro della sua esistenza terrena: « Padre, io ti ho glorificato » (Gv
17,4). Ora Gesù non si può mai separare dal suo corpo mistico che è la
Chiesa. Ad essa prima di risalire al Padre ha affidato integra la sua
missione: oltre al suo sacrificio, fonte suprema della salvezza, le affida la
sua preghiera. Anche la sua preghiera infatti appartiene all'economia della
salvezza: deve dunque prolungarsi nella Chiesa sino alla fine dei tempi, allo
stesso modo del suo sacrificio. La lode del Verbo continua dunque a «
risuonare in questo esilio terrestre », « oggi per mezzo della Chiesa », come
un giorno sulle labbra di Gesù di Nazareth (cf. SC 83). La Chiesa la innalza « stando davanti al trono di Dio » (SC 85):
proprio come gli angeli e i santi nella liturgia celeste che l'Apocalisse ci
prospetta in scorci suggestivi. È come un coro a due voci tra la Chiesa ancora
pellegrina in cui canta 1'« amor esuriens » e la Chiesa ormai entrata nella
gloria in cui canta 1'« amor f fruens », per riprendere le espressioni
agostiniane. Insieme cantiamo « a colui che siede sul trono e all'agnello:
lode, onore, gloria e potere nei secoli dei secoli » (Apoc 5, 13). Liturgia
terrena e celeste, in simbiosi, ai piedi dell'unico Signore. Tuttavia bisogna eliminare una impressione spontanea della
immaginazione. Si dice: i Santi lodano lassù in cielo; noi lodiamo quaggiù in
terra. E la terra e il cielo si immaginano come infinitamente distanti. In realtà le cose non stanno così. Quel Cristo che alla destra del Padre è « sempre vivo per
intercedere a nostro favore » (Eb 7,25), è presente con lo stesso realismo
alla nostra preghiera. Il nostro radunarci per l'orazione è uno stringerci intorno al
Risorto presente. Come nell'Eucaristia, la sua presenza afferra ogni
celebrazione, assumendo forme varie: è presente nell'assemblea che diventa
comunità orante, lui che ha detto « Dove sono due o tre riuniti nel mio nome,
io sono lì in mezzo a loro » (Mt 18,20). È presente nelle pagine bibliche, perché è Lui che parla ed
annunzia oggi il suo vangelo quando si leggono le Scritture. È presente in colui che presiede la celebrazione: egli «
rappresenta » (in senso forte: rende presente) Cristo che prega nella sua
Chiesa. |