Parrocchia di S. Ambrogio in Mignanego (GE)

 

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Introduzione alla Liturgia / 5

 

Eucaristia : linee teologiche

 

Prima di analizzare il rito, è importante cogliere le realtà teologiche che entrano in gioco, e che il rito ha la funzione di esprimere e di rendere presenti.

Questa « teologia » non c'è più bisogno di andarla a cercare nei manuali o negli studi specializzati. È lo stesso documento introduttivo al rito, la Institutio, che ce la presenta, sia pure in termini sobrii ed essenziali. E in questo consiste la novità di maggior rilievo della riforma.

Nel passato le « rubriche » non comportavano mai, o quasi mai, motivazioni di ordine teologico e pastorale. Si presentavano come un complesso di norme, rigide e complesse. Si aveva l'impressione che il rito fosse una cosa e la dottrina un'altra: in ogni caso essi venivano elaborati in sede separata e in modo indipendente.

Ora questo « divorzio » tra dottrina e rito è stato sanato dalla ricomposizione, che li ha profondamente rinnovati. La rubrica sgorga dalla dottrina e sfocia nella partecipazione vissuta. La teologia è in osmosi col rito e lo comanda.

Ogni valore si incarna nell'espressione visibile: il fedele poi, partecipando non solo esteriormente, ma soprattutto interiormente, deve giungere a tradurre quel valore in attitudine vitale. Per questo il Leitmotiv che ritma tutto il documento è l'espressione: « Lo scopo (o il senso) di questo rito è quello di... ». Tutto deve essere « autentico ». Ogni rito senza « perché » attuale è destinato a cadere.

La dottrina è quindi implicata in tutti gli elementi della celebrazione, che sono di capitale importanza (i numeri l, 7 e 48 della Institutio, da accostarsi, per essere pienamente compresi, al numero 7 della Eucaristicum Mysterium).

Dall'insieme di questi testi emergono con chiarezza le realtà in gioco: ed è possibile anche cogliere il nesso che li compone in una realtà unica a modo di cerchi concentrici.

 

a - L'Eucaristia è anzitutto azione di Cristo. « Azione », cioè intervento di Dio nella vita degli uomini. Ora Cristo con il suo mistero è il supremo atto divino, la peripezia decisiva di tutta quell'economia che egli ha messo in atto per salvarci. Secondo le parole di Ireneo, egli « ricapitola in sé il lungo svolgimento della storia sacra offrendoci, condensata in lui, la salvezza. Cristo è tutto l'agire di Dio ».

Se l'Eucaristia è « azione di Cristo », vuol dire che Cristo è presente. L'atto implica sempre la presenza dell'agente. È una presenza molteplice e dinamica, senza cessare di essere sostanziale.

È lui che parla quando si leggono le scritture, è lui che prega nel suo popolo, è « in sua persona » che il ministro agisce: dunque e le scritture e il popolo e il ministro diventano segni della sua presenza viva. Quella nei segni del pane e del vino è solo il vertice di un'economia di presenza, che si trova implicata in tutti gli elementi della celebrazione (cf. SC 7).

La presenza nei segni del pane e del vino si distingue soprattutto per la sua permanenza al di là della celebrazione. La comunità riunita deve tendere a percepire nella fede questa presenza del Cristo vivente, con la stessa immediatezza con cui

la percepivano i primi cristiani, i quali ne erano inondati di gioia, considerandola un anticipo della sua apparizione gloriosa.

 

b - Ma la Messa è pure azione della Chiesa, ossia del popolo di Dio. E poiché la Chiesa è « il Cristo diffuso e comunicato » - come diceva Bossuet - è proprio nel suo agire che si rende presente l'azione di Cristo. Il soggetto della celebrazione però non è una chiesa astratta e lontana: è quella porzione concreta del popolo di Dio che è lì radunata per celebrare il memoriale del Signore.

Il « popolo riunito », che è il punto di partenza della celebrazione (IG 2), rende presente la Chiesa universale (LG 28) e insieme la rende visibile e concreta. Ne rivela il mistero, che è appunto - come diceva Cipriano - un « popolo radunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ». L'assemblea domenicale è chiamata dunque a prendere coscienza di questo suo « essere Chiesa » ; a sentire che l'agire di tutti è uno strumento e un riflesso dell'azione di Cristo.

Tutto il popolo di Dio è perciò soggetto della celebrazione: è il protagonista che si pone davanti al « Tu » divino, come il popolo ebraico ai piedi del Sinai: perché il dialogo e l'alleanza avvengono tra Dio e il suo popolo.

Certo, i ministeri sono differenziati. Ognuno deve compiere tutta e solo la sua parte. Il popolo di Dio infatti non è una massa informe: è strutturato gerarchicamente. E perciò tra i ministeri emerge quello di colui che presiede « rivestendo la persona di Cristo » (IG 60). Ma anch'esso si pone all'interno del popolo di Dio come un servizio necessario. « Per voi sono un vescovo, con voi sono un cristiano », diceva Agostino ai suoi fedeli di Ippona. Un vincolo di piena solidarietà deve intercorrere tra l'assemblea e chi presiede: egli infatti « si associa il popolo nell'offerta del sacrificio a Dio Padre » (IG 60).

 

c - Ma cosa fa concretamente l'assemblea nel rito eucaristico? Fa quello che ha fatto Cristo quando ha celebrato la prima Eucaristia (IG 48). E Cristo ha fatto una Cena. L'Eucaristia è un rito conviviale. Tutto nelle nuove disposizioni tende a sottolinearlo. È questo il segno globale che riconduce all'unità da un capo all'altro tutti i riti della Messa.

Il n. 48 sopra citato rileva la corrispondenza tra i gesti compiuti da Cristo nella Cena e le varie parti della Messa. Egli prese il pane e il calice: è la preparazione dei doni; rese grazie: è la grande preghiera eucaristica; lo spezzò: è la frazione del pane; lo diede ai suoi discepoli: è la comunione. Non è esclusa neppure la liturgia della Parola: perché anche nella Cena Cristo ha parlato lungamente nel grande discorso sacerdotale che alla fine si traduce in preghiera al Padre.

Ogni segno conviviale si situa in un clima di densità umana straordinaria. La cena domenicale avrà dunque quel calore psicologico, fatto di intimità, di fraternità e di letizia che si ha intorno a ogni desco familiare. Questo è vero, ma non è l'essenziale. La dimensione ultima dell'Eucaristia si pone su un altro piano. Quel segno è aperto sul Mistero. È un convivio pasquale (IG 56).

 

d - E' aperto sul mistero perché il suo contenuto trascende quello di ogni banchetto. Riproduce la Cena, ma contiene la Croce. La Cena fatta da Gesù anticipava la Croce; la nostra la ritualizza, cioè la rende presente ora. Evidentemente ciò che si rende presente non è l'atto della morte di Cristo e della sua risurrezione, che sono avvenute una volta per tutte: ma il contenuto salvifico di quell'evento. Il rito mette alla mia portata la salvezza della Croce: mette in contatto con essa la mia vita, perché da essa sia afferrata e redenta.

Banchetto e sacrificio si trovano così legati l'uno all'altro da un vincolo indissolubile (EM 3b).

Quel banchetto è unicamente ordinato a rendere presente il Calvario. E la presenza di Cristo in atto sacrificale si situa tutta nell'ambito del segno conviviale: è lì infatti per essere cibo.

 

e - Ma come si fonda obiettivamente questo rapporto tra il banchetto e la Croce, che sono due realtà di ordine così diverso? Sono evidentemente la volontà di Cristo e la sua divina potenza che hanno creato il rapporto. Ma poiché l'azione di Cristo si incarna in un'azione ecclesiale, qual'è l'elemento della celebrazione che fonda il rapporto? È quel grande « memoriale », inserito in un clima di lode esultante e di azione di grazie, che è tutta la prece eucaristica. Il culmine di tutta quella grande preghiera è appunto la memoria della passione, morte e risurrezione di Cristo.

In italiano il termine memoria sembra avere solo una connotazione psicologica: quella del ricordo. Ma quando Gesù ha detto: « fate questo in memoria di me », non ci chiedeva certamente un ricordo. Chiedeva di ripetere quel memoriale da lui istituito in quel momento, e che ha la sorprendente efficacia di rendere presente la cosa ricordata. Ciò si rende evidente nel culmine della celebrazione: nel racconto della Cena, si usano i verbi al passato: prese il pane, lo spezzò ecc...

Sembra quasi che si racconti una storia; ma mentre la si racconta, si traduce in realtà: Gesù presente ripete la Cena, come in quella sera. Come allora, l'atto redentivo, l'unico sacrificio posto una volta per tutte al vertice della storia umana, si fa presente nei segni del pane e del vino. Sollevandoli in alto in un gesto di offerta, la Chiesa sa di stringere nelle sue mani Cristo stesso e il suo atto redentore.

La Messa è sacrificio proprio grazie a questa presenza e a questa offerta. In quel gesto di offerta sta l'espressione rituale del sacrificio eucaristico.

Ecco dunque tutte le dimensioni di quel memoriale: esso è legato alla storia di-ieri; ma, con la sua efficacia ne fa l'oggi della nostra salvezza, mentre ci protende verso il domani che speriamo e attendiamo: la salvezza definitiva, con l'avvento glorioso del Signore. Per questo i primi cristiani ritmavano il memoriale con il « maranatha : Vieni, Signore Gesù ». E il nuovo rito, in parecchi suoi elementi, sottolinea questa tensione escatologica dell'Eucaristia.

 

f - In questa visuale la comunione acquista la pienezza delle sue dimensioni. Nel passato la sua spiritualità si è spesso alimentata a temi esclusivamente individuali: la visita dell'amico,- l'indegnità della dimora che gli presentiamo. Sono temi legittimi, ma non ne esauriscono l'aspetto essenziale.

Ecco la vera fisionomia della comunione: se l'Eucaristia è essenzialmente un rito conviviale, parteciparvi significa prendere parte a questa mensa. Per partecipare a un banchetto, « si prende e si mangia »: così infatti ha ordinato Gesù. Siamo qui al livello del rito. Ma poiché quel rito contiene la Croce, comunicando ad esso, io comunico al mistero pasquale di Cristo. E qui siamo a livello misterico. Comunico all'atto con cui Cristo « qui e ora » si offre al Padre in supremo atto di obbedienza e di amore. A tanto mi impegna la comunione: si impara ad offrire se stessi con lui.

 

 

[tratto da: LA LITURGIA - M. Magrassi - 1979 Marietti Editori]

 

 

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