Parrocchia di S.
Ambrogio in Mignanego (GE) |
Introduzione
alla Liturgia / 6 |
Eucaristia : struttura
e svolgimento del rito |
Nel suo insieme la
celebrazione si articola intorno a due poli: Liturgia della Parola e Liturgia
eucaristica. È l'unica grande distinzione all'interno della celebrazione. Lo
sottolineano le due sedi diverse i due libri diversi (il lezionario - il «
sacramentario » o libro del celebrante). Tuttavia sono intimamente
connesse perché, in forma diversa, ci presentano un unico Cristo: è lui il
contenuto ultimo delle Scritture e del segno sacramentale. Diceva Origene: «
È preparato a mangiare il Verbo del sacramento chi ha mangiato il Verbo della
Scrittura ». La liturgia della Parola ha un
prologo; quella eucaristica ha un epilogo. I. RITI INIZIALI Comprendono tutto ciò che si
svolge dall'ingresso fino alla proclamazione della Parola. « Hanno il
carattere di esordio, di introduzione e di preparazione. Il loro scopo è
quello di fare sì che i fedeli, riuniti insieme, costituiscano una comunità,
e si dispongano rettamente ad ascoltare la Parola di Dio e a celebrare
degnamente l'Eucaristia » (IG 24). Concretamente essi si articolano. così: a - Il popolo si raduna. Non è
questo solo un fatto materiale rispondente a una necessità: il fatto di
radunarsi esprime e realizza il mistero della Chiesa, che è « un popolo
radunato », e rende presente Cristo in mezzo ai suoi riuniti nel suo nome.
Tutto questo è un'epifania della Chiesa. La celebrazione comincia già quando,
al suono della campana, i fedeli escono di casa e si avviano verso la chiesa. b - Accesso dei ministri
all'altare, che il popolo accompagna con il canto di ingresso. c - Con un saluto, per cui
esiste una triplice formula, il sacerdote inizia il dialogo con l'assemblea e
« significa alla comunità radunata la presenza del Signore » (IG 28). Il
saluto può essere prolungato da una monizione. Questa non dà spiegazioni, ma
guida i fedeli alla preghiera. d - Dietro invito del
celebrante si compie tutti insieme l'atto penitenziale, che si conclude con
l'assoluzione del sacerdote (IG 29). Questo atto esisteva già, ma veniva
spesso soppresso per vari motivi, o fatto dai soli ministranti mentre
l'assemblea eseguiva un canto. Ora invece accomuna tutti e prende un rilievo
nuovo. Sottolinea un'esigenza di fondo: per accostarsi al Dio tre volte Santo
è necessaria là purificazione interiore del cuore, ci vuole il sacrificio del
« cuore contrito » che scava nell'intimo lo spazio vitale per la grazia di
Cristo. Solo questo ci rende atti a « celebrare i santi misteri ». e - Segue il « Signore, pietà
», e nei giorni festivi il « Gloria ». f - Con la colletta, questi
riti trovano il loro culmine e la loro conclusione. Essa ha lo scopo di
raccogliere (probabilmente dal latino colligere) la preghiera interiore dei
singoli in una formula comunitaria in cui viene espressa « l'indole della
celebrazione », si crea così il clima spirituale in cui ognuno è chiamato ad
entrare. II. LITURGIA DELLA PAROLA La Chiesa è stata definita
anche come « una comunità in ascolto ». Nella prima assemblea, ai piedi del
Sinai, il sacrificio dell'alleanza viene a sanzionare l'ascolto e
l'accettazione della Parola di Dio. Nell'assemblea eucaristica le realtà in
gioco, e l'ordine con cui si presentano, è lo stesso. Il nuovo popolo di Dio è
chiamato ad ascoltare Cristo: è lui infatti, presente, che parla al suo
popolo quando nella chiesa si leggono le Scritture (IG 9). Deve accoglierne
le parole e rispondergli con la preghiera e col canto. Il dialogo è poi
sanzionato da un sacrificio: ma non è sangue di giovenchi; è il sangue di
Cristo, che sigilla la « nuova alleanza ». Qui si vede quale stretta unione
vi sia tra l'ascolto della Parola e l'innesto nel sacrificio (cf. IG 8). Il dialogo concretamente si
snoda nel modo seguente: a - Letture. È Dio che parla. L'iniziativa
deve sempre partire da lui, perché da lui viene la verità e insieme la
salvezza. Non è solo la lettura di un libro. È una parola viva, perché è
Cristo glorioso, presente, che parla. Perciò essa è « forza divina di
salvezza»: ha la stessa forza creatrice che aveva il « Fiat » della
creazione, o che aveva sulla bocca di Gesù l'intimazione: « Lazzaro, vieni
fuori ». Col nuovo ordinamento, i
tesori biblici sono stati aperti più abbondantemente, secondo l'indicazione
del Concilio. Ogni domenica ha tre letture: dal profeta, all'apostolo, dal
vangelo. E c'è un ciclo triennale di letture. Così vengono presentate tutte
le pagine centrali della Bibbia. Nel rito assumono un rilievo
più marcato gli onori resi all'evangeliario e alla sua lettura: ambone stabile,
consono alla dignità della Parola di Dio, processione accompagnata dal canto
dell'Alleluia, incenso, e acclamazione del popolo a Cristo, presente e
parlante (IG 35 e 92-94). b - Riflessione e preghiera
silenziosa. Non è imposta, ma è
raccomandata (IG 23). È il momento personale e meditativo della risposta: una
libera effusione dell'anima. c - Canto o preghiera
responsoriale. È la risposta comunitaria, il
momento lirico del dialogo: quello in cui la parola nuda si rivela impotente
a esprimere l'emozione di un popolo in attuale ascolto del Dio vivo. Questa
risposta è attinta normalmente dalla raccolta dei Salmi e dei Cantici della
Scrittura, perché - come diceva Pascal - « solo Dio parla bene a Dio ». d - L'omelia, che commenta la
Parola, la adatta alla situazione degli ascoltatori, li aiuta ad accoglierla
e ad « entrare » pienamente nella celebrazione. È parte integrante della
Messa e spetta al celebrante come tale. e - Il Credo (nei giorni
festivi). È un « sì » gridato con gioia
a Dio. Esprime l'adesione alla Parola ascoltata. Dopo l'« ascolto della fede
», l'« obbedienza della fede », che prepara al sacrificio, la cui anima è un
atto di suprema ubbidienza al Padre. f - La preghiera universale o
dei fedeli, che, facendo da cerniera, conclude la prima parte della
celebrazione e introduce alla seconda. Il suo carattere è appunto
l'universalità. Permette varietà di formulari, e una sollecita attenzione
alle necessità locali, che pastore e gregge devono guardare insieme: ma ciò
va contemperato con le esigenze della Chiesa universale e di tutto il mondo,
secondo questo quadruplice schema: la Santa Chiesa, coloro che ci governano,
quelli che si trovano in varie necessità, tutti gli uomini. III. LITURGIA EUCARISTICA È già stato sottolineato,
nell'esposizione teologica, il suo carattere conviviale. Per comprendere il
rito è essenziale riferirsi alla Cena. Si metterebbe invece su una via
sbagliata chi volesse vedere corrispondenze visibili tra i gesti della Messa
e la tragedia del Golgota. Certo: il contenuto è il sacrificio di Gesù. Ma la
forma rituale con cui questa realtà è rivestita, è quella di un banchetto
gioioso, allietato dalla presenza del Risorto. Ed ecco le principali
componenti del rito: a - Preparazione dei doni. Eravamo abituati alla parola «
offertorio »: ma questo termine oscura la fisionomia essenziale di questo
momento rituale. Verso il 150 san Giustino ne dà questa descrizione: « Si
portano pane e una coppa di vino mescolato con acqua, a chi presiede
l'assemblea dei fratelli ». Il nuovo Ordo si riallaccia a
questo rito semplicissimo che si svolge così: prima di tutto si prepara
l'altare che è il centro della celebrazione, collocandovi l'occorrente.
Quindi si portano le offerte e si depongono sopra l'altare. È bene che siano
recate dai fedeli, in forma processionale, mentre si canta l'antifona
destinata ad accompagnare il rito. Anche questo serve ad esprimere la parte
attiva che ognuno prende al sacrificio: all'altare viene offerto e consacrato
ciò che ogni fedele ha portato: non tanto e solo in beni materiali, quanto
con quel « complemento alle passioni di Cristo » che Paolo domanda. Quindi i doni vengono
presentati a Dio e poi deposti sull'altare con la formula di «benedizione ».
Essa è nuova nel rito, ma è antica quanto la Bibbia. La « benedizione », in
linguaggio biblico, è un'esclamazione di ammirazione e di riconoscenza
gioiosa, è una confessione di lode per tutto quello che Dio fa per noi. «
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell'universo: dalla tua bontà abbiamo
ricevuto questo pane... ». L'oggetto, come si vede, sono
il pane e il vino, che qui sono il simbolo di tutto il creato. Quindi la
nuova formula « presenta » a Dio questi doni, come per affermare il suo
sovrano dominio su tutte le cose. E poiché sono anche « frutto del nostro
lavoro », è il senso stesso della nostra esistenza che viene percepito in
quel momento: essa è fatta per essere donata a lui in un gesto d'amore, come
« ostia vivente ». Questi doni, il Padre nella sua bontà ce li restituirà
poco dopo, sublimati nel Corpo e Sangue del suo Figlio; e allora potremo
offrire al Padre « il Figlio del suo amore ». Dopo questa « presentazione »
il rito culmina e si conclude con una orazione del celebrante (l'« orazione
sopra le offerte ») che, in riferimento al mistero o alla festa
celebrata, raccomanda a Dio le offerte dell'assemblea perché le accetti e le
trasformi nell'unico sacrificio di Cristo. b - Preghiera eucaristica. Si giunge così al centro della
celebrazione: la grande preghiera eucaristica, proclamata dal ministro a nome
di tutta l'assemblea, e durante la quale si ripete la Cena del Signore. Essa
ci dà la chiave per afferrare la portata del rito: e insieme, con l'efficacia
che le è conferita da Cristo, fa l'Eucaristia, cioé apre quel gesto umano sul
mistero di Dio. Permette all'assemblea dei fedeli di unirsi a Cristo nella
confessione delle meraviglie di Dio e nell'oblazione del sacrificio (IG 54). Eccone gli elementi: 1 - Un inno di azione di
grazie e lode esultante al Padre per tutta l'opera di salvezza che ha messo
in atto per noi. 2 - Il « Santo », che è un
grido di gioia e di riconoscenza, cantato da tutti, a conclusione dell'inno
di azione di grazie. 3 - L'epiclesi, con cui si
chiede a Dio di sacralizzare i doni con l'effusione del suo Spirito, trasformandoli
nel Corpo e nel Sangue di Cristo; e - in un secondo momento - di santificare
coloro che li riceveranno, producendo un frutto di grazia nelle loro anime. 4 - Il racconto dei gesti
compiuti e delle parole dette da Gesù alla Cena, quando ha istituito il
sacramento della sua Pasqua, e ha dato ordine ai suoi discepoli di
perpetuarlo. 5 - L'anamnesi con cui la
Chiesa, in ubbidienza al comando di Cristo, celebra il memoriale della sua
Pasqua (passione, morte, risurrezione e ascensione) in attesa della sua
venuta nella gloria. 6 - L'offerta con cui la
Chiesa presenta al Padre Cristo presente in atto sacrificale, e con lui offre se stessa, per consumare i
suoi figli nell'unione con Dio e tra loro. 7 - Le intercessioni con cui
la Chiesa, in comunione con i Santi del Cielo, implora per tutti i suoi
membri sparsi ai quattro venti, chiedendo che abbiano parte alla salvezza di
Cristo. Superando i confini di spazio e tempo, la supplica abbraccia anche
quelli che hanno già incontrato lo Sposo. 8 - La formula finale di
glorificazione a Dio, che il popolo conclude con un Amen corale, che, al dire
di san Gerolamo, dovrebbe avere il fragore di un tuono. È la ratifica
dell'intera assemblea a tutta la grande preghiera. Questi elementi che
strutturano la prece, non sono evidentemente dei frammenti di preghiera,
posti l'uno accanto all'altro. Si inseriscono al contrario in un movimento di
preghiera che ha un'unità infrangibile. Ecco come si concatenano. Il nucleo centrale, l'asse
dominante che attraversa tutta la preghiera e la sostiene da un capo
all'altro é l'azione di grazie: la proclamazione, nel giubilo e nella fede,
delle meraviglie di Dio. La supplica nasce spontaneamente da questa lode:
perché si realizzi con la pienezza ciò che è oggetto dell'azione di grazie.
Si dice in fondo a Dio: Tu che hai fatto tutto questo nella storia della
salvezza, compilo nuovamente ora per mezzo di questi segni sacramentali.
L'epiclesi si rivolge allo Spirito Santo, perché solo la sua potenza
santificatrice può attualizzare l'opera della redenzione. Il racconto dell'istituzione,
in cui culmina l'azione di grazie, è considerato come il riassunto
sacramentale di tutte le meraviglie del passato. Tutto ciò che Dio ha
compiuto in favore degli uomini confluisce in quei segni sensibili, ove si
rende presente Cristo con tutte le ricchezze del suo regno. Il memoriale riprende poi il
nucleo centrale di questa economia, il mistero pasquale: mostra che esso è reso presente nei segni
sacramentali che Cristo ci ha lasciato, e lo presenta al Padre in un gesto di
offerta: « Ti offriamo, o Padre... ». Il movimento della preghiera si placa
poi nella glorificazione finale, che si ricollega all'inno iniziale, a modo
di inclusione. c - Riti di comunione. Si trovavano prima della
riforma intricati l'uno nell'altro, tanto da riuscire difficile il
distinguerli. Con leggeri e sapienti ritocchi, ora ogni elemento ha
riacquistato la sua fisionomia. 1 - La preghiera del Signore,
il « Padre nostro ». È sempre stata considerata la preghiera classica di
preparazione alla comunione. Tutti « osiamo » rivolgerci a Dio chiamandolo
Padre, perché il sacrificio di Gesù ci ha fatti figli di adozione. In quel
momento ci sentiamo tutti fratelli intorno alla mensa dell'unico Padre.
L'ultima richiesta: « liberaci dal male », è sviluppata da una preghiera del
celebrante, cui l'assemblea si associa alla fine con una antica acclamazione
(già contenuta nella Didaché e in uso presso i fratelli protestanti), che
inneggia alla gloria di Cristo Re. 2 - L'abbraccio di pace. Ha lo
scopo di « significare l'unità » dei cuori (IG 112). Bisognerà preoccuparsi
di renderlo autentico, eliminando tutti gli spazi di indifferenza che
separano; facendo della vicinanza fisica, che ci pone nella chiesa gomito a
gomito, un segno dell'unanimità spirituale. 3 - La frazione del pane. Essa
non è un gesto funzionale, ma simbolico; ed è accompagnata dal suo canto
proprio, l'Agnus Dei, che era per gli antichi un vero « confractorium »,
ossia un canto in fractione panis. La sua portata è tale che nell'epoca apostolica
ha dato il nome all'Eucaristia: riproduce il gesto di Cristo che nella cena
spezzò il pane, gesto al quale i discepoli di Emmaus riconobbero Cristo loro
ospite la sera di Pasqua. Esprime la profonda unità che ci amalgama insieme
in un unico corpo, dal momento che comunichiamo a un unico pane (IG 56; cf. 1
Cor 10,16-17). È qui che trova la sua
radicazione soprannaturale quel senso di fraternità così acutamente vissuto e
sofferto dalla nostra generazione, come la sua esigenza di tradursi in gesti
concreti: « Poiché - come dice la Didaché - se comunichiamo al pane celeste,
come non comunicheremo anche al pane terreno? ». Questi tre elementi
preparatori significano dunque in modo convergente una realtà unica: la
carità che ci vincola tra di noi, mentre ci unisce a lui, e ci inserisce nel
suo sacrificio. La comunione è una comunione-unione a Cristo. È questo il
frutto ultimo dell'Eucaristia, ed è l'anima stessa della Chiesa. 4 - La comunione. Mentre i
fedeli si recano processionalmente alla mensa eucaristica, si esegue un canto
che vuole esprimere l'unità dei cuori traboccanti di gioia, attraverso
l'unità delle voci. È desiderabile che le ostie a cui si comunica siano
consacrate nella stessa Messa, « affinché la comunione appaia meglio, anche
attraverso i segni, come partecipazione al sacrificio che si sta attualmente
celebrando » (IG 56 h e i). Poi l'azione si arresta. Ci si
siede e si rimane in silenzio. È un silenzio carico di tensione spirituale,
perché segna il momento personale dell'incontro con il Salvatore. 5 - Conclusione. Il rito della
comunione termina con una preghiera del celebrante a nome di tutti. Esprime
l'azione di grazie per il dono ricevuto, chiede i frutti del mistero
celebrato, e proietta la luce dell'Eucaristia sulla vita quotidiana. IV. RITI CONCLUSIVI Sono semplicissimi: un saluto
e una benedizione dell'assemblea: « La Messa è finita; andate in pace ». È
come se dicesse: Il rito è concluso, ma ora comincia un'altra celebrazione,
in cui è impegnata tutta la vostra vita. Andate, per le strade del mondo, e
siate in mezzo ai fratelli « i testimoni della morte e della risurrezione di
Cristo »: con la parola, con l'azione e con la vita. Un ritmo
più contemplativo Bisogna togliere alla Messa il
carattere di azione meccanica, che spesso le abbiamo impresso, e imprimerle
un ritmo di preghiera. In un'azione meccanica si infilano i pezzi uno dopo
l'altro ed è tanto meglio quanto più presto si fa: interporre delle pause è
uno sprecare tempo. Sembra che sia spesso questa la regola che presiede alle
nostre celebrazioni: i riti si succedono l'uno all'altro come se fossero
pezzi da montare. Ora la preghiera è una delle poche cose a questo mondo che
non si possono fare in fretta: né bene, né male. È un fatto che la celebrazione
eucaristica è stata alleggerita in molti suoi elementi. Certamente non lo si
è fatto per abbreviare ad ogni costo, quanto piuttosto per pregare meglio e
di più: per immettere cioè la celebrazione in un ritmo contemplativo, per
darle un respiro di preghiera. Ci sono ora alcuni mezzi a
disposizione per creare questo clima. Eccone i principali: a - Le monizioni del
celebrante. Una è prevista espressamente dopo il saluto iniziale, per
introdurre nella Messa del giorno (IG 86) ; ma non è escluso che in date
occasioni se ne possa opportunamente aggiungere qualche altra. La monizione
non è una spiegazione, ma piuttosto una guida alla preghiera su una linea
mistagogica : si tratta di prendere per mano i fedeli (e per questi, di
lasciarsi prendere) e di condurli ad incontrarsi con Cristo nella fede, a
dialogare con lui, e a consumarsi con lui nell'offerta. b - L'omelia, la quale dovrà
avere il calore di un « vangelo », cioè di un lieto annuncio; quel calore che
aveva la Maddalena quando andò ad annunciare agli apostoli, col fiato
mozzato, che aveva visto il Signore risorto. Allora si crea nella comunità
radunata quel calore di fede che è capace di afferrare l'interiorità dei
singoli. c - Le pause di silenzio. Il
silenzio non è vuoto non è infatti assenza di parola, ma colloquio
primordiale di fronte a una suprema presenza. E' un grido del cuore, spesso
senza voce. Inteso così costituisce un tempo forte della celebrazione, e
permette di armonizzare con il senso comunitario la partecipazione intima di
ciascuno all'azione sacra. È previsto (IG 23): - dopo l'invito all'atto
penitenziale: per misurare le dimensioni del nostro peccato e ancor più
quelle della misericordia di Dio; - dopo l'invito alla
preghiera: per prendere coscienza della presenza di Dio e formulare le
proprie richieste; - dopo le letture: per «
personalizzare » il messaggio ascoltato, e creare nell'animo uno spazio
interiore di risonanza alla Parola di Dio; - soprattutto dopo la
comunione: per inscrivere nel cuore la grazia del sacramento, prolungando la
lode eucaristica e il dialogo personale. In un passato non molto
lontano, l'impressione che un estraneo avrebbe riportato entrando in una
chiesa alla domenica, era che il sacerdote facesse tutto e gli altri fossero
« estranei e muti spettatori », come diceva già san Pio X. Ora l'Eucaristia « è posta
nelle nostre mani ». Ogni domenica deve vedere radunata intorno all'altare
una vera famiglia di figli di Dio, conscia di costituire « un popolo di
sacerdoti », intelligentemente attiva con l'anima e con il corpo: per
attingere alla sua fonte primaria il vero spirito cristiano. [tratto da: LA LITURGIA - M. Magrassi - 1979 Marietti Editori] |