Parrocchia di S.
Ambrogio in Mignanego (GE) |
Introduzione
alla Liturgia / 14 |
I Tempi liturgici :
Tempo Pasquale |
Nel mistero cristiano si
colgono due movimenti. Col primo, la « condiscendenza » di Dio si abbassa
fino a noi. Col secondo, la fragilità della nostra natura è innalzata fino ai
fastigi di Dio. Nascita, passione, morte,
discesa agli inferi: ecco le tappe di quella successiva e progressiva discesa
con cui Dio entra nel nostro mondo, si annienta nell'abisso della nostra
miseria. La Croce è lo sviluppo logico
dell'incarnazione: logica divina, di cui solo l'amore ci dà la chiave di
comprensione. « Avendo amato i suoi, li amò fino alla fine » dice Giovanni
(13, 1), introducendo il racconto della passione. Quel Verbo che « era presso
Dio » (Gv 1, 1), si è umiliato fino alla morte di Croce (cf. Fil 2,6-8). Toccato il fondo, è cominciato
il movimento inverso di esaltazione, il Figlio è nuovamente «rapito presso
Dio e il suo trono» (Ap 12,5). Giovanni riprende in questo testo le parole
del prologo pròs tòn Theòn. Le tappe di questo movimento
ascendente sono: la risurrezione, l'ascensione al cielo, la sessione alla
destra del Padre. C'è ragione di credere che
questi tre aspetti del mistero siano molto più ravvicinati l'uno all'altro di
quel che solitamente crediamo. Tutto fa pensare che l'ascesa di Gesù al Padre
preceda le apparizioni del Risorto. Il racconto degli Atti, che ci
mostra Gesù nell'atto di salire sensibilmente verso il cielo, non significa
che egli non fosse ancor salito alla destra di Dio: dice solo che in quel
momento il Risorto si sottraeva definitivamente all'esperienza dei suoi. In
tal modo si coglie ancor meglio l'unità del mistero. In ogni caso, il Verbo non
risale solo presso il Padre; trascina tutta l'umanità, con la quale si è reso
solidale, nel suo movimento di ascesa. Lo dice bene Giovanni
Crisostomo in un Sermone dell'Ascensione: « La nostra natura è stata elevata:
sicché l'uomo, che si trovava così in basso da non poter ulteriormente
discendere, è stato elevato così in alto da non poter ulteriormente ascendere
». Con l'incarnazione era il
cielo che scendeva sulla terra. Con l'Ascensione è la terra stessa che entra
nel cielo. Il risultato dei due movimenti è che il cielo ha invaso la terra,
e la vita ha debellato la morte, l'ha assorbita: « La morte è stata assorbita
nella vittoria », come dice Paolo (1 Cor 15,54). È così che la Pasqua di Cristo
diventa la nostra Pasqua, la Pasqua della chiesa e del mondo. Con la
risurrezione Dio chiama in vita una nuova creazione. Si ha come l'aprirsi di
una diga misteriosa che, prima di allora, impediva alla vita di Dio di
conquistare il mondo. Cristo abbatte vittoriosamente
questo « muro di separazione » ; e allora l'eternità di Dio irrompe nel
tempo, l'oceano immenso della sua gloria dilaga e sommerge ogni cosa, la sua
luce trasfigura ogni realtà, la vita del Risorto entra con forza sempre più
grande nella vita terrena, e conquista spazio per sé in essa. Il Crisostomo, con termini
arditi e paradossali, esprime così questa novità totale della risurrezione: «
Cristo è risorto e nelle tombe non vi sono più morti ». La Chiesa a sua volta
canta: « Questo è il giorno che ha fatto il Signore ». È « l'ottavo giorno », dicono
i Padri: quello cioè che porta a compimento l'opera creativa dei sette
-giorni: e insieme prelude alla consumazione finale, verso cui siamo
incamminati: quando i poveri giorni, che scandiscono quaggiù il nostro tempo,
cederanno il posto al giorno senza tramonto, ed entreremo in modo pieno e
definitivo nella gloria del Risorto. Pensando alla nostra
glorificazione, siamo soliti proiettarla tutta nel futuro: non è esatto. Essa
è già in atto quaggiù: attende solo di consumarsi e di rivelarsi. La vita
eterna è già in mezzo a noi, presente nel Risorto. Più ancora: come dice
Giovanni, è già presente dentro di noi poiché viviamo della sua vita. Il suo « ritorno » alla, fine
dei tempi non sarà che la rivelazione di una presenza che è già sovranamente
attiva, anche se velata, poiché i nostri occhi mortali non ne sopporterebbero
lo splendore. In quel giorno cadranno i veli e apparirà nella gloria ciò che
già siamo. Lo ha detto stupendamente Paolo: « La vostra vita è nascosta con
Cristo in Dio. Quando Cristo, vostra vita, apparirà, apparirete anche voi con
Lui nella gloria » (Col 3,4). È la Pasqua dunque il momento più decisivo
della storia della salvezza. La Pentecoste, che celebra
l'effusione sulla Chiesa dello Spirito Santo, non è un mistero a parte, quasi
inaugurasse una nuova era, quello dello Spirito, distinta da quella di
Cristo. Basta una formula, di densità tipicamente paolina, a dissipare ogni
equivoco: lo Spirito Santo è « Spirito di Cristo ». Per il cristiano, vivere « è
Cristo » (Gal 2,20), e vivere « è lo Spirito » (Rm 8,2. 10). C'è perfetta
equivalenza tra le due formule. La gloria del Risorto è continuamente
presente in mezzo a noi, e in noi, per mezzo del « suo Spirito ». L'azione
dello Spirito è dunque del tutto relativa al fatto unico e decisivo della
Pasqua di Cristo. Egli non reca nulla di inedito per rapporto a Lui. Qual è allora in definitiva la
sua azione specifica? Ecco: egli realizza in noi ciò che si è compiuto in
Cristo: interiorizza il suo mistero e ce ne applica i frutti: fa sì che
diventi il nostro mistero. Il Concilio l'ha detto in
termini densi e precisi: « Cristo inviò da parte del Padre lo Spirito Santo, perché
compisse dal di dentro la sua opera di salvezza » (Ad Gentes, 4). L'aveva già
sottolineato san Bernardo in una sua lettera: « Abbiamo un doppio pegno della
nostra salvezza: la doppia effusione del sangue e dello Spirito; a nulla vale
l'una senza l'altra... Non mi gioverebbe il fatto che Cristo è morto per me,
se non mi vivificasse con il suo Spirito» (Ep. 107,9). Struttura rinnovata del tempo pasquale Come il resto dell'anno
liturgico, la struttura di questo tempo è stata rinnovata e resa più lineare.
Esso si apre con il « triduo pasquale ». Tale denominazione, che non era
usuale nel nostro linguaggio, è già di per sé molto espressiva. Esso esprime l'unità granitica
che lega insieme i tre giorni che vanno dalla Messa vespertina in Coena
Domini con cui si apre la celebrazione della « beata Passione », fino ai
Vespri della Domenica di Risurrezione. Non è dunque una preparazione alla
solennità di Pasqua, ma - secondo la celebre espressione di Agostino - « il
santissimo triduo del (Cristo) crocifisso, sepolto e risorto ». Tale unità di celebrazione,
che afferra i giorni e li unifica, sottolinea di riflesso l'unità del Mistero
celebrato: risulta più evidente che nella Pasqua di Cristo, morte e
risurrezione sono inseparabili. La novità di vita scaturisce
dalla morte redentrice. Vengono presentati successivamente i vari aspetti del
Mistero, senza però che questo si trovi frammentato, perché ognuno di essi
implica e contiene anche gli altri. Il sacro triduo ha la sua
logica continuazione nel tempo pasquale, la cui struttura ha subito alcuni
cambiamenti. Un primo riguarda la durata.
La tradizione antica e universale della Chiesa gli assegna una durata di
cinquanta giorni « O Dio, Tu hai voluto che il sacramento pasquale fosse
racchiuso nel mistero di cinquanta giorni », dice il Sacramentario Gelasiano.
Oriente e occidente si accordavano in passato nel vedere in questo tempo
un'unica grande solennità, che si chiude la sera della Domenica di
Pentecoste. I Sermoni di Leone Magno attestano quest'uso e S. Basilio parla
delle «sette settimane della Santa Pentecoste». A partire dal secolo VII si
cominciò a vedere nella Pentecoste solo l'anniversario della discesa dello
Spirito Santo sugli Apostoli; la sua importanza spinse ad assegnare anche ad
essa un'ottava; venne così oscurato il nesso vitale della Pentecoste con il
tempo pasquale. Il « mistero dei cinquanta giorni » perse i suoi contorni e
la sua unità: si cessò di considerarlo come « una grande Domenica ». La riforma attuale ha
restituito al tempo pasquale la sua struttura classica. L'ottava di
Pentecoste è stata soppressa; in compenso acquistano particolare importanza
le ferie che la precedono, le quali vengono arricchite di formulari proprii,
che richiamano i testi in cui Cristo promette l'effusione dello Spirito. La solennità dell'Ascensione
si colloca nel quarantesimo giorno dopo Pasqua. Perché appaia chiaramente che
tutto il periodo è come « un solo giorno» (Sant'Atanasio), le Domeniche che
esso comprende non sono più chiamate «Domeniche dopo Pasqua», ma « Domeniche
di Pasqua », contraddistinte con un numero progressivo. A sottolineare l'importanza di
questo tempo forte, ogni feria avrà nel messale definitivo la sua orazione
propria. Le celebrazioni del grande Triduo Nella nuova revisione, la
Settimana santa ha subito alcuni cambiamenti. Si è introdotto nella liturgia
della « Missa chrismatis », in cui il Vescovo consacra gli olii nella
cattedrale, qualche mutamento per permettere ai sacerdoti di riaffermare la
fedeltà al loro ministero, e di rinnovare pubblicamente le loro promesse
sacerdotali. Quella celebrazione è infatti
una manifestazione liturgica particolarmente importante della comunione dei
sacerdoti col loro vescovo. Anche il popolo cristiano vi si potrà associare
per dare ai suoi sacerdoti il sostegno della preghiera, e implorare dal
Signore un'abbondante effusione dei suoi doni su di loro. In realtà però questa
celebrazione non entra nella struttura del grande triduo, che inizia solo con
la Messa vespertina della Cena del Signore. Questa, come pure i riti del
Venerdì della Passione, hanno subìto pochi cambiamenti. La celebrazione della Veglia
pasquale ha subìto invece notevoli ritocchi. Si è determinato in modo più
tassativo il suo carattere di veglia notturna: non può essere anticipata
prima del tramonto, né posticipata dopo l'alba. Si sono poi resi più brevi e
più semplici quasi tutti i suoi riti (benedizione del fuoco, processione del
cero, annuncio della pasqua...) per concedere più tempo alle letture. La principale innovazione è
però il trasferimento della celebrazione del battesimo (o almeno della
benedizione del fonte con la rinnovazione delle promesse battesimali) dopo il
vangelo e l'omelia della Messa. La liturgia della Parola, in
questa notte santa che è il cuore di tutto l'anno liturgico, si presenta
particolarmente ricca: con le numerose letture del Vecchio e del Nuovo
Testamento essa ha lo scopo di preparare internamente i fedeli a celebrare
con fede i sacramenti dell'iniziazione cristiana. Il Battesimo, collocato ora
dopo l'annunzio della Risurrezione, appare più chiaramente come un innesto
nella morte e nella risurrezione di Cristo (cf. Rm 6,3-11). Un primo rilievo globale si
impone a proposito di queste celebrazioni. Occorre distinguere in esso due
nuclei di importanza disuguale a - Il primo, quello
primitivo, che è oggetto delle catechesi mistagogiche dei Padri, è
essenzialmente una celebrazione sacramentale. I cristiani si riuniscono la
notte del Sabato santo per celebrare il Battesimo e l'Eucaristia, per cui «
vive e cresce continuamente la Chiesa » (LG 26). Sono questi sacramenti
dell'iniziazione che fanno rivivere ai cristiani la Pasqua di Cristo,
inserendoli nel mistero della redenzione. È una visuale realistica, gravida
di opzioni personali. Infatti questo rinnovamento sacramentale esige di
trovare un'espressione concreta nella vita. Partecipi in Cristo di una «
vita nuova », bisogna manifestarla nelle opere: con una condotta libera dalle
passioni del « vecchio uomo », illuminata dalla fede, animata dalla carità,
impregnata di spirito filiale. b - Il secondo nucleo, di
origine posteriore, è stato introdotto nella liturgia romana sotto l'influsso
delle liturgie celebrate a Gerusalemme, come ci attesta il diario di viaggio
della pellegrina Eteria. Esso consta di un simbolismo ricco e suggestivo, che
« mima » gli eventi storici della Passione di Cristo: processione delle
palme, lavanda dei piedi, adorazione delle reliquie della Santa Croce,
liturgia del Cero pasquale, simbolo del Cristo risorto. Lo scopo di questi riti è
quello di ricostruire il più fedelmente possibile gli eventi che si sono
svolti negli ultimi giorni della vita del Signore, e di farceli rivivere
giorno per giorno, in comunione intima con i sentimenti con cui Cristo stesso
li ha vissuti. È un procedimento di indubbia
efficacia psicologica. Ma non deve oscurare l'importanza della partecipazione
sacramentale; deve al contrario condurre ad essa e stimolare un impegno più
totale. C'è il rischio di concretizzare l'oggetto della fede negli elementi
materiali intorno a cui si svolge questo simbolismo suggestivo: rami
benedetti, acqua battesimale e cero pasquale. È chiaro che, se la Passione
deve rinnovarsi, è nel cuore e nella vita dell'uomo che si rinnova, non negli
elementi materiali del rito e i Sacramenti ne sono lo strumento. Mai come in questi santi
giorni, in questo momento tanto significativo dell'anno ecclesiale, la Chiesa
appare così luminosamente come il luogo di incontro tra Dio e gli uomini,
come un vessillo innalzato tra le nazioni, come « il simbolo di quella carità
e unità del Corpo mistico, senza la quale non può esserci salvezza » (LG 26). È in stretta connessione con
queste dimensioni ecclesiali e sacramentali che la celebrazione di questi
giorni rivela tutta la sua densità di salvezza, e appare come il fulcro e la
sintesi vivente di tutto l'anno liturgico. È evidente che tutto in queste
celebrazioni è polarizzato alla grande Veglia del Sabato santo, che riunisce
tutta la comunità, sacerdoti e fedeli, per una festa di gioia e di luce: essa
culmina nell'atto in cui tutta la comunità rivive il Battesimo che l'ha
innestata nel mistero pasquale. Il rito avrà una maggior pienezza se di fatto
qualche neofita riceverà in essa il Sacramento della rigenerazione. Questa
grande notte trova la sua preparazione remota in tutta la Quaresima, e quella
immediata nell'azione liturgica del Venerdì santo, e nel « silenzio »
eucaristico del Sabato santo. Cristo crocifisso, sepolto e risorto Il Venerdì celebra la passione
che culmina nella morte. Ci permette così di misurare fino a che punto
l'incarnazione va presa sul serio. Cristo ha assunto la nostra vita e la
nostra morte, tutto il nostro essere, fino a caricarsi sulle spalle i nostri
peccati. Ha offerto la nostra sofferenza ed è morto della nostra morte. Questo mistero paradossale non
è privo di agganci con la mentalità dell'uomo contemporaneo. Egli fugge la
sofferenza, la privazione e la morte, con tutti i mezzi di cui dispone. Ma
l'esperienza quotidiana gli insegna che, malgrado tutti gli sforzi,
sofferenza, infermità e morte permangono, quale patrimonio comune
dell'umanità. Questo lo porta a prendere
coscienza della sua radicale caducità. Bisognerà che la fede lo spinga ad
abbracciare la sofferenza come l'ha abbracciata Cristo, con atto di amore
pienamente volontario, per farne un mezzo di redenzione. Il mistero della sepoltura di
Cristo, celebrato nel Sabato santo, sottolinea l'importanza della speranza
nel cristianesimo. Il Sabato del sepolcro vuoto prepara il trionfo al di là
di tutte le apparenze. È un'attesa impregnata di pace e carica di speranza. Ciò sembra in antitesi con la
nostra psicologia che non sopporta i temi vuoti e le pause di attesa. Siamo
nell'era della fretta: rapidità ed efficacia sono il nostro orgoglio e la
nostra preoccupazione. Per altro aspetto però ci troviamo più di ieri
ancorati alla storia, e aperti al futuro. E questo non può non renderci
assetati di speranza. L'uomo moderno è dunque
decisamente aperto alla speranza cristiana, ma a una condizione che cioè
riesca a vederla non come attesa passiva, ma come preparazione attiva a un
trionfo che appartiene ad un tempo a Cristo e all'uomo. In questa prospettiva
è possibile cogliere il senso cristiano del progresso. La notte e il giorno di Pasqua
presentano il terzo aspetto del mistero cristiano: il trionfo di Cristo sulla
morte, che conferisce a tutto il cristianesimo il suo carattere decisamente
positivo. L'iter cristiano passa per la sofferenza e per la morte, ma sfocia
nella risurrezione e nella vita. È necessario però comprendere
il senso esatto di questa vittoria di Cristo e dei cristiani. Il trionfo è
stato conseguito pienamente da Cristo, ma non è ancora esteso a tutti gli
uomini. È compito della chiesa attuare questa estensione: il suo tempo, che
si colloca tra la vittoria della Croce e quella finale, è tutto riempito di
questa grande opera. A parlare di trionfo, c'è il rischio
oggi di essere tacciati di trionfalismo. Ma basterà riflettere che esso ci
libera da ogni servilismo e si attua in un servizio generoso e disinteressato
dei fratelli, pronto a donare, se occorre, anche la vita sull'esempio del
Salvatore. Questa è la vita dei risorti con Cristo che si lasciano animare
dal suo Spirito. Le apparizioni del Risorto e i « segni » ecclesiali È importante per la vita
cristiana cogliere il senso di questa testimonianza apostolica, che si fonda
sulle « apparizioni » del Risorto. « Lo abbiamo visto e abbiamo mangiato con
lui » (cf. At 10, 40-41) : questo è il grande Vangelo che gli Apostoli recano
al mondo. Nel tempo pasquale la terza
lettura ci presenta il racconto di queste apparizioni. Esse danno un
fondamento alla nostra fede, che sarebbe vana, se Cristo non fosse veramente
risorto, come afferma Paolo energicamente (1 Cor 15,12 s). Ma non si
esaurisce qui la loro portata. Sono certamente fatti storici, ma la Chiesa
non li confina nel passato; la proclamazione liturgica ha sempre un aggancio
col presente. Quei testi stanno li ad
indicare che Cristo continua ad « apparire » nella vita della Chiesa. Il
cristianesimo non è una religione di ricordi: è la ricerca di un incontro con
il Signore nel presente. Il modo è certamente diverso: là si è trattato di
una conoscenza e di una visione sensibile - qui è un incontro nella fede; là
i « segni », con cui si rivelava, erano miracoli - qui sono i segni ordinari
della vita ecclesiale. E tuttavia si tratta di differenze accidentali,
perché, per gli Apostoli come per noi, il riconoscimento non può avvenire se
non per un dono di Cristo, che illumina lo sguardo interiore. Senza fede, anche i discepoli
sono incapaci di « vederlo ». La Maddalena lo scambia per un ortolano, e
trasalisce prorompendo in un grido gioioso, solo quando Gesù la chiama per
nome. Nel lago di Tiberiade, ove stanno pescando, tutti gli Apostoli lo scorgono
sulla sponda; ma lo riconoscono solo quando Giovanni grida: È il Signore. I discepoli di Emmaus compiono
al suo fianco un lungo cammino, ma i loro occhi si aprono solo quando Gesù
spezza il pane. Cristo stesso, in questo episodio suggestivo dipinto da Luca,
ci indica quali sono i nuovi segni in cui la nostra fede deve cogliere la sua
attuale presenza in mezzo a noi: la catechesi (lui stesso l'ha impartita ai
due pellegrini lungo la strada, cominciando da Mosè e percorrendo tutta la
Bibbia) ; la celebrazione eucaristica (che egli ha adombrato spezzando il
pane) ; la professione comune di fede nell'assemblea dei fratelli (a
Gerusalemme i due trovano i discepoli riuniti che proclamano: « E' vero, il
Signore è risorto ed è apparso a Simone »). Sono questi i segni
privilegiati; ma in fondo, nella vita della Chiesa e del mondo, tutto porta
la traccia di questa presenza viva del Risorto. La nostra stessa vita deve
portare tale traccia, se vuole rispondere alla sua vocazione. Tutto nella Chiesa è
testimonianza al Risorto: ed è così luminosa che neppure le nostre miserie
arrivano a velarne lo splendore. Non c'è che da spalancare gli occhi della
fede, per gridare con Giovanni: « È il Signore ». LETTURE DEL TRIDUO PASQUALE Nella Messa in Coena Domini è
stato aggiunto il brano di Es 12,1-8.11-14, che spiega il Vangelo (Gv
13,1-15), in cui Cristo si paragona all'agnello della Pasqua gìudaica. Nell'azione liturgica del
Venerdì santo sono state mutate le due prime letture: viene ora proclamato il
quarto Cantico del « Servo di Jahve », che descrive la sua passione e la sua
gloria (Is 52,13-53,12); e un brano della lettura agli Ebrei (4,14-16; 5,
7-9), che esprime il senso teologico del sacrificio di Cristo. Il racconto
della Passione secondo Giovanni si armonizza bene con questo senso pasquale
della morte di Cristo che impregna tutta la liturgia del Venerdì santo. Per la Veglia pasquale si
propongono ora sette letture, oltre l'Epistola e il Vangelo: esse si
inseriscono tutte nella struttura di un'unica celebrazione della Parola. Per
ragioni pastorali si può ridurre il numero delle letture dell'Antico
Testamento, purché se ne leggano almeno due e non si ometta mai quella
dell'Esodo, che è di capitale importanza per cogliere la portata del
Battesimo cristiano. In ciascuno dei tre cicli si legge il racconto della
Risurrezione del Signore, secondo uno dei Vangeli sinottici. Anche per la seconda Messa del
giorno di Pasqua si propongono nuove letture: la prima, dagli Atti
(10,34.37-43), riferisce il discorso pasquale di Pietro; la seconda, dalla
lettera ai Colossesi (3,14: era prima assegnata alla vigilia), sottolinea le
supreme esigenze della nostra solidarietà con il Risorto; la terza (Gv
20,1-9) ci presenta i discepoli stupefatti di fronte al sepolcro vuoto. Letture delle Domeniche di Pasqua L'unica grande solennità
pasquale, cui la Pentecoste pone il suggello finale, abbraccia sette
settimane, che sant'Atanasio chiama « Domeniche grandi ». In esse la prima
lettura è tratta sempre dagli Atti degli Apostoli, in forma parallela e progressiva
per i tre cicli. Questo libro è una
testimonianza viva della Chiesa primitiva, che nasce (come dicono i Padri)
dal costato di Cristo, cioè dal suo mistero pasquale. Il libro ce ne presenta
la vita e il progressivo sviluppo: non siamo perciò sorpresi che un'antica e
costante tradizione liturgica lo assegni alle celebrazioni di questo tempo. La seconda lettura è tratta,
nel ciclo A, dalla prima Lettera di Pietro, che sembra portare in sé l'eco di
una catechesi pronunciata nel corso di una celebrazione pasquale, ed enuclea
le ricchezze della grazia battesimale, sottolineandone le esigenze. Nel ciclo
B, è tratta dalla prima Lettera di Giovanni, in cui l'Apostolo condensa
l'essenziale della sua esperienza religiosa: partendo da temi paralleli
successivi (luce, giustizia, amore, verità) mostra il legame intimo ed
essenziale che intercorre tra il nostro stato di figli di Dio e la
rettitudine della nostra vita, che si incentra tutta nella fede in Cristo e nell'amore
fraterno. Nel ciclo C, è tratta dall'Apocalisse. Si tratta di brani che si
intonano bene a quel clima di fede gioiosa e di ferma speranza, che sono
caratteristici di questo tempo. La terza lettura è tratta
normalmente dal Vangelo di Giovanni, la cui lettura è iniziata nelle ultime
settimane di Quaresima: è il Vangelo « spirituale », che più di ogni altro
permette di cogliere in profondità le dimensioni del Mistero di Cristo. Letture feriali Una tradizione antica, che
accomuna l'oriente all'occidente, assegna al tempo pasquale il libro degli
Atti. Basti per tutti, in occidente, la testimonianza di Agostino: « Si
incomincia a leggere questo libro dalla Domenica di Pasqua, secondo la
consuetudine della chiesa ». Dall'oriente, Giovanni Crisostomo ne addita le
ragioni, vedendo negli Atti la vera catechesi della Risurrezione di Cristo.
La chiesa primitiva infatti vive con una meravigliosa freschezza la comunione
con il Cristo risorto. Un'identica tradizione
assegnava a questo tempo il Vangelo di Giovanni, la cui lettura era già
iniziata nell'ultima parte della Quaresima. Ciò è motivato senza dubbio dal
fatto che esso è Vangelo « spirituale », che ci presenta la più approfondita
riflessione sul Mistero di Cristo, celebrato in questo tempo. Il nuovo lezionario ha
rispettato questa tradizione e l'ha reintegrata in pienezza. Come per le
domeniche, la prima lettura è tratta sempre dal Libro degli Atti. Per la
seconda, durante l'ottava di Pasqua si leggono i vari racconti delle
apparizioni del Risorto. A partire dalla seconda domenica di Pasqua, si
riprende la lettura del Vangelo di Giovanni: in Quaresima erano state
presentate le sezioni più atte ad illuminare il senso del suo sacrificio; qui
si riprendono le altre parti, con speciale riguardo ai testi di indole
pasquale. Particolare rilievo assumono il discorso eucaristico del capitolo 6
e il sermone dell'ultima Cena, ripresi quasi per intero. Il criterio è quello della
lettura semi-continua, che non si preoccupa di armonizzare le due pericopi
intorno a un tema, ma piuttosto di presentare nell'ordine i brani più
significativi dei due libri. Questo metodo contiene un
invito implicito a completare la lettura in privato, colmando le lacune della
lettura pubblica, e accostando per intero i libri da cui le pericopi sono
tratte. La lettura semi-continua è un invito a quella continua. [tratto da: LA LITURGIA - M. Magrassi - 1979 Marietti Editori] |