Parrocchia di S. Ambrogio in Mignanego (GE)

 

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Introduzione alla Liturgia / 16

 

I Tempi liturgici : Maria e i Santi

 

Risposta esistenziale

L'anno liturgico è la celebrazione ciclica del Mistero di Cristo, tuttavia, accanto a Cristo, troviamo anche il culto dei Santi.

La riforma del calendario non si è certo proposta di oscurare la funzione dei Santi, ma piuttosto di precisarla. Essi sono di Cristo: non si possono considerare come separati e disgiunti da Lui. Sono persone in citi Cristo vive. Hanno un unico fine: quello di « congiungere a Cristo, da cui come da Fonte e da Capo promana ogni grazia e la vita stessa del popolo di Dio » (LG 51).

La santità è la risposta esistenziale che ognuno dà alla divina chiamata. Essa è propria ad ognuno, ma inserita in un grande disegno, entro il quale ci troviamo tutti accomunati. Al centro del disegno divino c'è Cristo: il ponte ardito che Dio getta sull'abisso che separa l'uomo da Dio. « Piacque a Dio di far abitare in Lui tutta la pienezza » (Col 1, 19), gli altri sono inclusi nel suo mistero. Egli « è pieno di grazia e di verità » (Gv 1, 14): e da quella pienezza ognuno attinge (Gv 1, 16). Non c'è altra strada per giungere al Padre, né altro mezzo per conoscerlo ed entrare in comunione con Lui.

Ne deriva che la vita cristiana conosce un'unica, suprema legge: in Christo Jesu. Non c'è che da rivivere i suoi misteri, riprodurre in noi i lineamenti del suo volto.

« Tu solo il Santo », gli diciamo nel « Gloria ». Noi lo siamo solo perché viviamo di Lui. È « santo » chi può dire con Paolo: « in me vive Cristo ». Tutto ciò che è fuori di questa linea è illusione. Gli fa eco Agostino quando esclama: « Viva sarà la mia vita tutta piena di te» (Conf. 10,29).

Ne consegue la prospettiva di Paolo quando dice: « Ci ha predestinati a divenire conformi all'immagine del suo figlio » (Rm 8,29). È il tema della imitazione o sequela di Cristo che include in sintesi tutta la spiritualità e la morale. Ecco come il Concilio formula questo tema tradizionale: « Nei vari generi di vita e nei vari uffici un'unica santità è coltivata da quanti sono mossi dallo Spirito di Dio... e seguono Cristo povero, umile e carico della Croce per meritare di essere partecipi della sua gloria » (LG 41).

L'imitazione sgorga da un impulso dello Spirito di Cristo che ci anima dal di dentro. Per dirlo con il Concilio: « Il Signore Gesù, Maestro e Modello divino di ogni perfezione, a tutti e ai singoli suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato la santità della vita, di cui Egli stesso è autore e perfezionatore : « Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste » (Mt 5,48). Mandò infatti a tutti lo Spirito Santo, che li muova internamente ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, con tutte le forze, e ad amarsi a vicenda come Cristo ha amato loro. I seguaci di Cristo, chiamati da Dio e giustificati in Gesù Cristo, non secondo le loro opere, ma secondo il disegno e la grazia di Lui, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi quindi devono, con l'aiuto di Dio, mantenere e perfezionare, vivendola, la santità che hanno ricevuta » (LG 40). La santità è un dinamismo divino, immesso nel cuore dell'uomo, destinato a trasformarlo ad immagine di Cristo. Evidentemente questo avviene con la libera cooperazione dell'uomo che accetta il dono, e le sue supreme e concretissime esigenze.

Imitare Cristo richiama un'altra esigenza: quella dei suoi Misteri da rivivere in noi.

Paolo per esprimerla ha coniato una terminologia nuova con la preposizione « con » (in greco sun): con-mortui, cosepulti, conresuscitati, complanctati, concedere fecit. il senso profondo di questi termini intraducibili è che noi eravamo presenti in lui quando viveva i suoi misteri: essi perciò si ripercuotono in noi.

Questa logica di Paolo penetra nel cuore del mistero cristiano. Tutto ciò che è di Cristo, è dunque anche nostro, per diritto di com-proprietà.

Il senso di tutta la vita spirituale, che ha come traguardo la santità, è di tradurre questo nella concretezza dei fatti. Molti sono i mezzi che la vita cristiana offre per raggiungere questo obiettivo. Ma tra tutti emerge la celebrazione liturgica. La Liturgia « ricordando in tal modo i misteri della Redenzione, apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del Signore, in modo tale da renderli come presenti a tutti i tempi, perché i fedeli possano venirne a contatto ed essere ripieni della grazia della salvezza » (SC 102). Questo ciclo cristologico, che dispiega il mistero di Cristo dalla natività all'attesa della beata speranza del suo ritorno per farcelo vivere, è in fondo l'oggetto unico dell'anno liturgico.

 

Maria

Accogliere Dio nella propria casa, poterlo contemplare faccia a faccia, è sempre stato il desiderio innato dell'uomo. Desiderio non appagato, ma piuttosto acuito dalla Rivelazione che Dio ha fatto di se stesso nella storia della salvezza ai Padri della fede: Abramo, Mosè... Il peccato ha sempre impedito che l'anelito dell'uomo trovasse il suo pieno appagamento.

Preservata da ogni macchia di peccato e rivestita di un manto di santità, la Vergine Maria si colloca al compimento della storia d'Israele.

In lei il « sogno » dei Padri diventa realtà palpitante: la casa di Maria di Nazareth accoglie Dio perché prima ancora il suo cuore, anzi tutto il suo essere, è diventato degna dimora del Figlio Unigenito.

In Maria però si fa presente nella storia tutta la chiesa, la « sposa senza macchia e senza ruga, splendente di bellezza », quella chiesa che continua a rifulgere nei suoi figli eletti, i santi. La grazia che alla Madre di Dio era stata elargita nella concezione verginale, ai figli della chiesa è donata, per una interecessione, nella nascita battesimale.

Qui si apre il cammino che vede gli uomini andare incontro a Cristo in « santità e purezza di spirito ». Il tocco della grazia liberatrice di Dio provoca necessariamente nel cuore una letizia incontenibile: tutto l'essere « esulta e gioisce nel Signore », la vita rifulge di luce.

Il Concilio di Efeso definisce Maria « Madre di Dio ». Legati a Lei da un amore filiale, perché la sappiamo anche madre nostra, contempliamo con gioiosa ammirazione la sua dignità che sconfina nel divino: « Sempre intatta nella sua gloria verginale ha irradiato sul mondo la Luce eterna ». In Lei tutte le antinomie si risolvono: la verginità si allea alla fecondità materna, il creatore della vita prende vita umana nel suo grembo e l'eternità si fa giovane.

La stessa chiesa « Madre dei viventi », che genera tutti noi alla vita divina, la chiama Madre sua perché vede in Lei l'incarnazione visibile più splendida della sua soprannaturale fecondità. Tutto questo mette le ali alla nostra speranza: se le primizie della salvezza ci offrono già tali meraviglie, che cosa non sarà allora dei suoi frutti maturi?

 

Testimoni per il mondo

Già la liturgia della Festa dei Santi, offre ai nostri occhi, in tutte le sue dimensioni e in tutta la sua varietà, lo spettacolo esaltante della santità della chiesa. Questa nostra Madre ci appare come « Madre di Santi »: essi non le sono mai mancati e non le mancheranno mai, perché lo Spirito non abbandona mai la sua Sposa.

Il nostro rapporto con i Santi è stretto: siamo compagni di viaggio, diceva Ignazio d'Antiochia. Siamo legati a loro da un rapporto di ammirazione e di amicizia, come con persone vive. Li invochiamo come nostri intercessori; nei pericoli e nelle insidie del cammino ci affidiamo alla loro protezione; guardiamo a loro come a modelli di vita.

Uno stupendo prefazio « dei Santi » (il 1) riassume così i nostri rapporti con essi: « Nella loro vita (Tu, o Dio) ci offri un esempio, nell'intercessione un aiuto, nella comunione di grazia un vincolo di amore fraterno ».

Lo sguardo di fede si volge spontaneamente alla Città santa del cielo, comunione di Santi, ove il Signore ci tiene preparato un posto, ove ci attende un destino di gloria. E incoraggiati da quelli che hanno già raggiunto la meta, « affrettiamo nella speranza il nostro cammino ».

Su molteplici piani si pone la concretizzazione della esistenza cristiana, ma unica è la santità vita-di-Cristo che rifulge nei « giusti » e che esige, quale terreno favorevole alla crescita, la fedeltà e la purezza del cuore.

In un servizio sapiente e perseverante, il battezzato è chiamato a dare testimonianza a Dio della sua vocazione: l'adesione alla voce del Padre è il supremo impegno assunto nella disponibilità a far tacere le proprie « ovvie » aspirazioni. E, cosa più difficile, si deve soprattutto saper giudicare gli eventi secondo le imprevedibili mozioni dello Spirito piuttosto che in base alla « sana » logica dell'intelletto e della scienza umana.

Questo vivere la giustizia e la santità di Dio è già di per se stesso un cooperare al compimento dell'opera di salvezza. Ma il bene inevitabilmente traspare all'esterno sul piano della testimonianza al mondo. Il che non comporta affatto un ricercare convulso di forme e gesti incisivi.

La vera testimonianza al mondo è il servizio fedele al Cristo, un servizio che il mondo non riesce sempre a comprendere, che forse irride e dal quale, al limite, rimane scandalizzato. Fino al giorno in cui sotto l'urto di questa testimonianza il cuore dell'uomo si apre alla mozione dello Spirito e riesce a comprendere il senso profondo e il valore inestimabile di una vita condotta alla sequela di un povero carpentiere di Nazareth. Una vita in cui il « segno » diviene tanto trasparente da comunicare in modo immediato la realtà testimoniata: l'Amore incarnato del Padre.

Nell'economia della salvezza Dio ha edificato la chiesa sulla pietra del pescatore di Galilea e l'ha fecondata col sangue dei testimoni della fede perché potesse essere Madre dei credenti. Ora, la maternità ecclesiale si costituisce nella rigenerazione battesimale e trova la propria pienezza nell'opera educatrice che la chiesa « apostolica » svolge verso tutti i suoi figli.

Dagli apostoli, « amici di Dio », l'uomo conosce la verità, e in primo luogo la verità su se stesso:

a - la propria povertà: la debolezza della creatura accecata dalla passione omicida di un Saulo, o la debolezza tentennante, rinnegatrice come in Simone, figlio di Giovanni.

Povertà che la « conversione » di Paolo e di Pietro nella gioiosa fraternità del servizio all'unico e medesimo Signore, mette in nuova luce: non si tratta di uno stato permanente di precarietà, ma

soltanto di un'occasione perché rifulga il perdono e l'amore di Colui che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva;

b - la ricchezza dell'uomo. Essa non è data dalle doti pratiche.

I santi ancora oggi predicano con la loro vita che la vera e unica ricchezza dell'uomo è Cristo: un Cristo posseduto appassionatamente nel professare con sincerità la fede, nel contribuire all'edificazione del suo corpo mistico, nel penetrare le profondità del mistero di Dio per poter infine annunciare la salvezza a tutte le genti.

È il trionfo del Crocifisso. Alla parabola discendente (« discese dal Cielo » « fino alla morte di Croce ») succede la parabola ascendente: è « esaltato » fino a raggiungere la gloria del Padre (« siede alla sua destra », professiamo nel Credo).

Con Cristo la fragile natura umana, unita alla sua Persona, è entrata in Dio. Il Capo salendo trascina con sé tutto il Corpo. Ci precede, aprendo la strada e segnando il tracciato. « Hai aperto ai credenti il Regno dei cieli » (Te Deum), come un personaggio che taglia il nastro di una nuova strada e la apre al traffico.

Dobbiamo immaginarlo, il Cristo glorioso, come il motore anteriore della storia, come il « punto Omega » che attrae a sé tutti e tutto (Teilhard de Chardin). Attrae e impegna. Il mistero dell'Ascensione chiude i Vangeli e apre gli Atti.

La terra, allora, non è un esilio, ma il vestibolo della patria. Il cristiano ha i piedi ben fermi sulla terra, ma il cuore afferrato dalla nostalgia struggente della patria definitiva. Il cielo non è un luogo: è il mistero abissale della vita di Dio.

Dio non è una deserta, infinita solitudine. Nell'unità infrangibile della sua natura scorgiamo delle Persone. Le prime due sono chiamate con nomi familiari alla nostra esperienza umana. Padre e Figlio. La terza con un termine più misterioso e inafferrabile: Spirito. Il Figlio è generato dal Padre. Lo Spirito procede da entrambi per impulso d'amore. Ma tutti e tre sono accomunati in un'unica, trascendente grandezza.

Dall'una all'altra intercorre un flusso di vita e d'amore. Li avvolge un'unica gloria che non ha avuto inizio e mai avrà fine.

Di là è sgorgata tutta la meravigliosa storia con cui Dio ci ha salvati e di cui abbiamo celebrato le tappe sul ritmo dell'anno della chiesa. Il Padre « ha tanto amato il mondo, da mandare a noi, nella pienezza dei tempi, il suo unico Figlio » (Gv 3,16). Così la « Verità » di Dio è scesa in mezzo a noi. Il Verbo, che da sempre è nel seno del Padre, è venuto a rivelarci i segreti dell'intimità divina (Gv 1, 18). Anche lo Spirito è stato inviato a noi per comunicarci la santità di Dio.

E così di quella divina « società » non siamo più estranei spettatori, ma membri. In quell'oceano di luce e di gioia dovrà sfociare la esistenza terrena, e l'intera vicenda della chiesa e della storia, quando tutto sarà compiuto.

Ciò che Dio prepara a quelli che lo amano supera ogni desiderio ed ogni aspettativa: « Occhio non vide, né orecchio udì, né cuore d'uomo mai comprese... » (1 Cor 2,9).

Siamo chiamati a possedere Dio stesso, ed Egli trascende immensamente ogni nostra capacità. P - inesauribile. Eppure siamo fatti per Lui: un desiderio insopprimibile ci sospinge verso Colui che è la fonte stessa della vita.

L'esistenza si fa ricerca instancabile. Ogni scoperta è parziale. Non sazia la sete di lui, ma la rende più ardente. « Lo si trova per cercarlo più avidamente » (S. Agostino). Ma verrà un giorno in cui si donerà a noi nell'amore, totalmente e senza veli.

E nell'attesa l'amore inaugura già quel possesso nell'oscurità della fede. Ogni cosa è traccia della sua presenza invisibile: Lui dunque amiamo in ogni cosa. Ma nulla riesce a legarci: perché poniamo Lui al di sopra di tutto.

Osiamo chiamarlo « Padre ». Ma quale cuore occorre per usare una simile parola. Quale audacia e quale confidente libertà: chi oserebbe farlo se Cristo non ce lo avesse insegnato?

« Non è presunzione, ma fede. Come un figlio tu lo chiami Padre », diceva Ambrogio ai neofiti. Nel battesimo infatti, con la nuova nascita in Cristo, abbiamo ricevuto lo Spirito di adozione. Non è un tesoro inerte da conservare nello scrigno. E' realtà vitale, e dunque dinamica, che tende verso « la piena statura di Cristo ». È soggetta quindi a crescita continua.

Ma per questo non basterà, certo, il nostro impegno.

La «grazia» è un soccorso divino che suscita l'atto, prevedendolo, accompagnandolo e conducendolo a termine, permeandolo di forza soprannaturale. Solo così esso può orientarsi a Dio e diventare l'atto di un « Figlio di Dio », destinato alla gloria.

Nessuna azione buona può essere posta indipendentemente dalla grazia. Questa certezza ci tiene umili: da noi non possiamo nulla. Ma ci colma insieme di coraggiosa fiducia: con la sua grazia, che è insieme luce e forza, possiamo tutto. Chi cerca il Signore non manca di nulla.

L'essere deve precedere l'azione. La grazia trasforma dunque anzitutto il nostro essere ad immagine di Dio. Ci offre una partecipazione alla sua stessa natura (secondo una espressione ardita della 2 Pt 1, 4). Ci fa vivere della sua stessa vita.

Una intuizione ci viene incontro, folgorante nella sua semplicità: una cosa sola basta, l'amore. Tutta la legge vi è riassunta. « Ama e fa' quel che vuoi » diceva Agostino. Non c'è allora altra strada per osservare i precetti: senza amore la perfezione morale è irraggiungibile.

A chi ama invece, tutto diventa possibile. La via della salvezza si apre, la piena salute ci è restituita. Non può essere che opera del suo stesso Amore. Che poi non è altro che il suo Spirito.

La vita produce dispersione e instabilità, e divide gli animi. Ancorare il cuore a Dio, Bene supremo e sorgente unica di gioia, è come poggiare sulla roccia: unifica, stabilizza, affratella.

La via per giungervi non è la fredda osservanza dei precetti: è piuttosto l'amore che ne coglie lo spirito. Ma per questo bisogna vivere con intensità tutto il rapporto teologale. Chiediamo dunque a Dio un aumento delle virtù che ne sono l'espressione: la fede, che ne scopre la presenza e ne ricerca il volto; la speranza, che gli grida col salmista: « Sei Tu il mio bene, nessun altro all'infuori di Te » ; la carità che con impulso irresistibile si dona e anela alla unione.

Allora fare la volontà del Padre diventa un bisogno, una gioia. Si comprendono le parole di Gesù: « Faccio sempre ciò che a Lui piace » (Gv 8,29).

L'inesauribile generosità del Padre ci mette tra le mani il mezzo più efficace: il memoriale della passione del suo Figlio. È la testimonianza più commovente del suo amore.

Al contrario di tutti i capi e propugnatori di movimenti ideologici che si propongono la « liberazione » dell'uomo, promettendogli il paradiso sulla terra, il Signore Gesù invita a entrare nel suo regno attraverso il faticoso cammino della passione e della croce.

 

 

[tratto da: LA LITURGIA - M. Magrassi - 1979 Marietti Editori]

 

 

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